PNSD

Se il Governo ha dimenticato la Scuola digitale

Nessun provvedimento e poche dichiarazioni: dopo le promesse elettorali del M5s, è calato il silenzio sulle iniziative per la digitalizzazione della scuola da parte del governo giallo-verde

Pubblicato il 02 Ott 2018

Paolo Maria Ferri

Università degli Studi Milano Bicocca

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Su Agendadigitale.eu abbiamo delineato, già a giugno, alcune proposte per il nuovo gruppo dirigente del Ministero dell’istruzione. Ora si tratta di fare il punto a scuola iniziata e a quattro mesi dall’insediamento del nuovo Ministro dell’istruzione (oltre che della ricerca e dell’Università) Marco Bussetti sulle iniziative intraprese da lui e soprattutto da Salvatore Giuliano, un preside “innovatore digitale” diventato Sottosegretario al MIUR.

Scuola digitale, il Governo completi e attui il piano nazionale: ecco come

Scuola digitale, segnali poco incoraggianti

Che il clima sia cambiato rispetto ai tempi del Piano Nazionale Scuola digitale lo si può rilevare da una serie di fatti che elenchiamo qui sinteticamente.

Non è un buon segnale, ad esempio, che abbiano abbandonato il ministero Damien Lanfrey e Donatella Solda – i quali avevano progettato e diretto il PNSD e possono essere considerati gli artefici – nello staff dei quattro ministri precedenti – dell’innovazione digitale in Italia.

Su questa stessa testata, quindi, autorevoli colleghi come Alessandro Bencivenni – anche lui docente e innovatore digitale – e Enrico Nardelli (innovatore e stimato docente di Informatica a Tor Vergata), hanno messo in discussione a vario titolo l’importanza di un approccio sistemico ed integrato all’innovazione e alle competenze digitali, come quello tracciato dal Piano Nazionale Scuola Digitale.

La posizione del Ministro Bussetti

La posizione del MIUR al momento è abbastanza “sospesa” perché quasi nulla è uscito di ufficiale in termini normativi o legislativi da Viale Trastevere sul rilancio delle iniziative del PNSD e del Piano Nazionale per la Formazione in servizio dei Docenti. Azioni messe in campo dai ministri precedenti, che dovrebbero sviluppare le differenti azioni rispettivamente fino al 2020 e al 2019. In realtà alcune “dichiarazioni” del Ministro Bussetti sono ampiamente condivisibili: “Il Piano Scuola Digitale è molto ambizioso. Gli investimenti sono partiti in questi anni. Ma dobbiamo accelerare. Lavorare per scuole con connessioni più veloci e strumentazioni adeguate, ma anche scuole ‘smart’ dal punto di vista della metodologia didattica. La tecnologia deve essere un’alleata. Credo che ormai tutto ciò sia imprescindibile”. Questo e altri interventi sull’auspicato uso dei tablet a scuola e sulla necessità di colmare il gap digitale con la scuola europea però fino ad ora sono rimaste solo dichiarazioni e ci auguriamo che trovino una pratica attuazione e soprattutto le adeguate coperture di bilancio (invero il governo Renzi aveva già accantonato queste risorse).

Il profilo defilato del sottosegretario Giuliano

Più difficile è capire la posizione di Salvatore Giuliano, ora in quota 5 Stelle, mentre in un passato recente era stato un dei più ferventi sostenitori della Buona Scuola. Su di lui si appuntavano le maggiori aspettative degli “innovatori” dal momento che in passato aveva progettato e diretto una delle scuole più “digitali” d’Italia, l’I.I.S.S Majorana di Brindisi ed ha ideato il progetto Book in progress per la creazione di contenuti digitali per la didattica. Ma sorprendentemente Giuliano è molto meno proattivo rispetto al digitale nella scuola di Bussetti e le sue dichiarazioni fanno prevalere la pars destruens su quella costruens: “La Buona Scuola? Tutta da buttare e da riscrivere da capo” e ancora, “occorre potenziare le nuove tecnologie sia per la didattica sia per l’amministrazione, perché nella mia esperienza ho imparato che uno studente non si distrae per colpa di uno smartphone, ma per una lezione che non lo coinvolge”. Le prese di posizione del sottosegretario sono molto rare: pare mantenere, cioè, un profilo molto defilato.

Promesse elettorali vs fatti

Tutto questo anche se il programma del Movimento 5 Stelle ha promesso molto alla Scuola (non quello del governo giallo-verde, molto più sfumato):

  • aumentare fino al 10% del PIL i fondi stanziati per la scuola e l’istruzione (sic!, ora siamo al 4% inclusa Università e Ricerca);
  • attivare le “connessioni a banda larga” in tutte le scuole;
  • dare la possibilità a tutti i docenti di creare i propri contenuti attraverso “piattaforme digitali per la consultazione di libri scolastici open source e prodotti direttamente dagli insegnati e dagli allievi;
  • creare una “piattaforma digitale degli spazi pubblici e privati per lo svolgimento delle attività educative sul territorio in modo da riconnettere scuola, famiglie e territori”.

Si sa tutti i programmi elettorali e le dichiarazione dei politici contengono promesse che non possono essere mantenute. Ma ci auguriamo davvero che al MIUR prevalga un volontà “riformista” e che le dichiarazioni del ministro trovino finalmente una conferma nei fatti, non vorremmo che la retorica populista “del faccio tutto nuovo” si trasformasse per questo Governo in una reinterpretazione della famosa “dichiarazione” di Tancredi il nipote del Principe di Salina del Gattopardo: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Per questo formuliamo l’appello a tutti gli “innovatori” a sollecitare e pungolare il MIUR nel prendere una posizione chiara sul tema fondamentale della digitalizzazione della scuola italiana.

Le critiche al PNSD

Bencivenni critica la necessità, a nostro avviso imprescindibile, dell’acquisizione da parte di docenti e allievi di competenze digitali avanzate. Questo sulla base del presunto “analfabetismo” digitale di docenti e allievi che richiede “ben altri” interventi. Non crediamo che docenti e allievi siano a questo punto, e in ogni caso, anche lo fossero, occorre un grande lavoro di formazione, come quella prevista nel Piano Nazionale Scuola Digitale. Ma gli insegnanti, i bambini e ragazzi italiani non sono “analfabeti”! Ci sono scuole molto avanzate nell’”aumento digitale” della didattica e moltissimi maestri e professori estremamente preparati che sanno insegnare le “competenze di cittadinanza digitale” ai loro allievi e studenti. Gli allievi, poi, che lo voglia o no Bencivenni, sono nativi digitali, e hanno sviluppato nell’interazione con le tecnologie digitali nuovi stili di apprendimento che poco si attagliano ad una scuola “nozionistica” e trasmissiva e men che meno a una scuola dove il web e lo smartphone sono banditi. Questo, ovviamente, non vuol dire che siano sapienti digitali o meno bisognosi di formazione critica e consapevole alle competenze di apprendimento e di cittadinanza digitale come del resto ne abbiamo bisogno noi “immigrati digitali” (Ferri, 2016). Il problema fondamentale è quello di gettare un ponte tra la loro fluency tecnologica e capacità tecnica di gestire i device digitali fin dalla prima infanzia e gli stili di insegnamento dei docenti, che spesso per ragioni di età, sono “Nativi Gutenberg”.

Nardelli, per contro, critica, non troppo generosamente, il grande lavoro svolto da molti maestri, maestre e docenti sul coding (che a ben vedere vuol dire programmare) e sul pensiero computazionale (inaugurato Seymour Papert) nell’ambito del Piano Nazionale Scuola Digitale. La sua tesi non mi convince perché troppo “disciplinarista”. Giocando sulle ambiguità linguistiche del termine Coding e della sua traduzione, in effetti, sostiene che attraverso questo approccio viene ridotto il dominio dell’informatica a quello della pura programmazione. Ora non credo sia vero, e le sue affermazioni non rendono ragione a tutti quegli animatori digitali, quei maestri e quegli insegnanti, che hanno lavorato in questi anni per far conoscere e diffondere la teoria e la pratica del pensiero computazionale. Non è detto che solo gli informatici siano in grado di farlo, e soprattutto che i docenti non siano in grado di diffondere quella cultura della scienza e della tecnologia che a sua volta non si riduce alle discipline informatiche. Ad esempio applicare le metodologie del pensiero computazione al coding con Scratch, o alla robotica educativa è un’operazione di diffusione della cultura scientifica e tecnologica prima ancora di quella informatica. Del resto il linguaggio Scratch è stato ideato al MIT di Boston che della cultura tecnologica è forse uno dei templi laici più autorevoli. Nardelli in realtà nella sua difesa dell’informatica (forse un po’ corporativa) non credo possa dissentire con me su questo obiettivo che deve essere garantito fin dalle prime età.

Ma quale coding, a scuola serve la vera informatica: per innovare il Paese

Cosa dice il framework europeo

Per altro le posizioni di Nardelli e Bencivenni paiono in contraddizione, se le ho ben intese, con il framework europeo di convergenza dei sistemi scolastici europei, che nei due documenti sulle competenze digitali DigiComp 2.0 e DigiCom.Edu sostiene la necessità di promuovere nei docenti la capacità di “pianificare e supportare il lavoro rivolto alla declinazione completa e articolata delle competenze digitali proprie e degli studenti”. Allo stesso modo per gli allievi e gli studenti delinea la necessità di costruire un modello di fruizione critica, attiva e consapevole del Web e degli strumenti digitali per tutti i futuri “cittadini europei” (a questo proposito si veda il bell’articolo di Antonio Fini, sempre su Agendadigitale.eu). Ora criticare il Piano Nazionale Scuola digitale è legittimo, ma gli va riconosciuto di aver messo in moto un cambiamento sistemico nella direzione dell’”aumento digitale della didattica” che non era mai iniziato in Italia prima della Buona Scuola. Qui veniamo al cuore della questione. Io, Bencivenni e Nardelli abbiamo tutti a cuore, forse con diversi accenti, il superamento del digital divide della scuola italiana. Ma cosa ne pensa il Governo giallo-verde, che sulla Scuola non si è ancora espresso, se non evocando l’abolizione della Buona Scuola e quindi anche del PNSD?

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