ESG e strategie di business

Sostenibile e digitale, così l’azienda del futuro: strumenti e persone per farla bene

Incorporare i fattori ESG nella strategia aziendale è, sempre più, una priorità ineludibile. In questo contesto la trasformazione digitale, oltre che una necessità, rappresenterà anche un prerequisito strategico cruciale. Tutte le opportunità della twin transformation e le qualità che servono ai leader che vogliono attuarla

Pubblicato il 21 Dic 2021

Barbara Calderini

Legal Specialist - Data Protection Officer

green pass rubati

Sostenibilità, digitale e inclusione sociale costituiscono le sfide da cogliere per il successo delle organizzazioni e, allo stesso modo, rappresentano i fattori chiave di un’imprescindibile sinergia strategica da favorire in vista della creazione di un circolo virtuoso che si riveli in grado di accelerare tanto la ripresa economica quanto la previsione di modelli di business di valore e di progresso sostenibile.

Entriamo quindi nel vivo delle opportunità aperte dalla twin transformation legata alla sostenibilità economica, sociale e ambientale: la transizione digitale organizzativa e la valutazione degli obiettivi green.

Ovvero aree strategiche cruciali in cui CEO e CFO potranno misurare la loro leadership in modo costruttivo e vantaggioso per tutti.

Quanto è di moda l’ESG: perché la sostenibilità è diventata un valore aggiunto per le aziende

ESG e strategie di business: i dati a conferma del trend

La rapida ascesa della sostenibilità nell’agenda globale rappresenta, a tutti gli effetti, una sfida chiave per molte aziende. Le metriche ESG, acronimo per Environmental, Social and Governance (ovvero attenzione ai fattori ambientali, sociali e di buon governo), indicatori ambientali e sociali della riduzione del rischio e del miglioramento delle prestazioni finanziarie, sono diventate mainstream e stanno catturando la migliore attenzione dei consigli di amministrazione.

Ciò perché l’integrazione dei fattori ESG nel processo decisionale e nella gestione delle transazioni aziendali esercita un peso sempre più rilevante in termini di successo delle strategie di business sostenute da imprenditori, CEO e CFO, lungimiranti, dirette verso investitori e operatori finanziari.

In modo particolare, secondo il recente studio intitolato The Impact of Impact Investing – di cui sono autori i professori di finanza Jonathan B. Berk alla Stanford University e Jules H. van Binsbergen a Wharton, gli investitori che sposano i principi ambientali, sociali e di governance sanno di poter avere maggiori chance di successo[1] se concentreranno le loro risorse su quelle cosiddette azioni “sporche”, coinvolgendo i dirigenti delle medesime società nel percorso verso l’adozione di politiche favorevoli ai fattori ESG.

È, dunque, in piena fase evolutiva la percezione della sostenibilità che, per quelle organizzazioni che vogliono rimanere attraenti per gli investitori, da mero adempimento cogente di conformità, diviene abilitatore strategico e catalizzatore di primaria importanza.

Il report “Sustainability goes mainstream – BlackRock Global Client Sustainable Investing Survey. July – September 2020” stima che, a livello globale, nei prossimi cinque anni, gli investimenti green ambientali, sociali e di governance (ESG) raddoppieranno.

Non è un caso, la domanda di informazione ESG sia salita quasi del 150% nel 2020 rispetto all’anno prima e quella di informazioni sulla sostenibilità dei prodotti finanziari del 141,5%.

A luglio 2021 Morningstar stimava come oltre il 24% dei fondi in Europa fosse stato classificato dagli asset manager come sostenibile in base agli artt. 8 e 9 della Sustainable Finance Disclosure Regulation i cui obiettivi chiave, come noto, sono tre: 1) riorientare i flussi di capitale verso un’economia più sostenibile, 2) integrare la sostenibilità nella gestione del rischio e 3) promuovere la trasparenza.

E anche Bloomberg Intelligence, a febbraio 2021, riportava valori riferibili agli asset under management ESG globali pari a 53 mila miliardi di dollari entro il 2025: ed è un livello record.

La nuova indagine EY: Future Consumer Index mostra una chiara preferenza dei consumatori verso quelle aziende che garantiranno prodotti e servizi orientati a risultati sociali e ambientali positivi.

Fonte immagine

Secondo lo studio PricewaterhouseCoopers (PwC)[2]The economic realities of ESG” una larga percentuale degli investitori smetterà di acquistare prodotti non ESG entro i prossimi 24 mesi ed entro il 2025, 7,6 trilioni di euro saranno investiti in prodotti ESG.

Ciò, tuttavia, a patto che le aziende intraprendano la giusta direzione implementando by design processi trasparenti e veritieri, destinati tanto agli obiettivi di creazione di valore a lungo termine, quanto alle modalità di gestione dei rischi, compresi quelli imprevisti.

L’80% degli intervistati da PwC ha affermato che l’ESG è un fattore importante nel processo decisionale di investimento; quasi il 70% ha ritenuto che i fattori ESG debbano figurare negli obiettivi retributivi dei dirigenti; e circa il 50% ha espresso la volontà di disinvestire da società che non hanno intrapreso azioni sufficienti sulle questioni ESG.

“Quando comunichi agli investitori e agli altri stakeholder come hai intenzione di reimpostare la tua strategia, reimmaginare i tuoi rapporti, reinventare le tue operazioni e guidare verso nuovi risultati, crei fiducia mentre crei sostenibilità e valore a lungo termine” conclude il report PwC.

I grandi investitori globali come Columbia Threadneedle Investments, TCI, l’hedge fund attivista gestito da Christopher Hohn, Blackrock, e State Street guardano con vivo interesse alle strategie politiche pensate per la lotta contro il cambiamento climatico e lo sviluppo di un’economia a emissioni zero.

E, dunque, se i dati ESG rappresentano la nuova valuta degli investimenti basati sulla sostenibilità, allora incorporare i fattori ESG direttamente nella strategia aziendale diverrà, sempre di più, una priorità ineludibile da trasmettere in modo efficace ed olistico a tutte le parti interessate: dagli stakeholders, alle figure professionali dell’ecosistema-impresa, fino all’intera supply chain management.

Tutto ciò pur nel contesto dei difficili compromessi imposti, giocoforza, dall’allocazione delle risorse necessarie alla progettazione di modelli operativi più sostenibili, idonei alla creazione di valore a lungo termine, e alla scelta dei giusti strumenti di accountability, fondamentali per “dimostrare di essersi meritati la fiducia”.

Trasformazione digitale prerequisito strategico per la sostenibilità aziendale

In tal senso accelerare la trasformazione digitale, oltre che una necessità[3], rappresenterà anche un prerequisito strategico cruciale, giocando un ruolo strumentale di primo piano a vantaggio non solo della conformità, del corretto tracciamento e della rendicontazione ESG, come della creazione trasparente, pertinente, affidabile, tempestiva e comparabile dei relativi reporting (dati di qualità uniforme, aggiornati regolarmente e privi di distorsioni, derivanti dalle dimensioni dell’azienda, dall’area geografica o dal settore), ma anche di efficaci presentazioni destinate a promuovere tanto la rilevanza della questione ESG rispetto al modello di business della specifica azienda, quanto la validità della strategia di sostenibilità agli occhi degli investitori, in vista di processi decisionali convinti ed efficaci.

Ciò a maggior ragione alla luce della proposta CSRD – Corporate Sustanability Reporting Directive della Commissione UE che, oltre ampliare il numero di entità tenute alla rendicontazione della sostenibilità, estendendo i requisiti a tutte le grandi aziende e a tutte le società quotate (la Commissione ha proposto lo sviluppo di una serie di standard per queste grandi aziende e di una serie meno rigorosa per le PMI, che le PMI non quotate potrebbero applicare volontariamente), prevede anche l’uso di un formato elettronico unico di comunicazione (standard di reporting XBRL “eXtensible Business Reporting Language”) per riportare dati strutturati dettagliati e coerenti.

La proposta CSRD dell’UE

Da tanto derivano impatti significativi per enti di interesse pubblico, banche, assicurazioni e istituti finanziari che, a partire dal 2017, con l’entrata in vigore della Direttiva 2014/95/UE, sono già tenuti a redigere bilanci di sostenibilità[4].

Ma non saranno i soli.

Le organizzazioni coinvolte nel processo verso la sostenibilità volontariamente, come scelta “di responsabilità” del management, saranno sempre di più, comprese le PMI che, in quanto acquirenti e fornitori di grandi aziende e attori dell’economia reale coinvolte negli adempimenti ESG, sono chiamate alla percezione delle opportunità legate alla svolta green e all’adozione di modelli di business sostenibili.

Al riguardo, come già anticipato poco sopra, lo scorso 21 aprile, la Commissione UE ha presentato ufficialmente la proposta CSRD – Corporate Sustanability Reporting Directive (plasmata da un gruppo multi-stakeholder guidato dall’European Financial Reporting Advisory Group – EFRAG), che si inserisce nel quadro normativo del Green Deal Europeo attraverso cui la UE si è impegnata ad azzerare le emissioni di gas ad effetto serra entro il 2050.

La proposta, rispetto alla Direttiva 2014/95/UE, prevede, oltre a) all’ampliamento delle informazioni ESG che dovranno obbligatoriamente essere ricomprese nell’informativa non finanziaria e a requisiti di rendicontazione più dettagliati e uniformati agli standard di rendicontazione di sostenibilità (che saranno nel frattempo condivisi all’interno della UE e che consentiranno la comparazione a livello internazionale), b) all’obbligo dell’inserimento della rendicontazione non finanziaria all’interno del documento relativo alla Relazione sulla Gestione e alla verifica delle informazioni fornite da parte di una società di revisione; c) anche di estendere l’obbligo della rendicontazione di sostenibilità a tutte le grandi imprese (aziende con più di 250 dipendenti) e a tutte le società quotate sui mercati regolamentati, incluse appunto le PMI, con la sola esclusione delle microimprese quotate, cioè imprese con meno di 10 dipendenti e fatturato o attivo di stato patrimoniale inferiore ai 2 milioni di euro[5].

Inoltre, prospetta nuove soluzioni sul reporting non-finanziario, introducendo una novità di assoluto rilievo in ottica di transizione digitale.

Le società che soddisfano certi requisiti dovranno, infatti, “etichettare” digitalmente le informazioni di carattere non finanziario in modo che siano leggibili in un format digitale e che alimentino un unico punto di accesso Europeo previsto anche all’interno del Piano d’Azione dell’Unione dei Mercati dei Capitali: una piattaforma in cui le società dovranno caricare il proprio report e la relativa relazione sulla gestione, secondo uno standard predefinito ed in conformità con il regolamento ESEF (European Single Electronic Format).

L’applicazione della nuova Direttiva dovrebbe scattare dal 01 gennaio 2023 con obblighi per le aziende di uniformarsi a partire dai bilanci di esercizio pubblicati nel 2024 e relativi all’anno 2023 con possibile ulteriore slittamento per le PMI al 2026.

Ad ogni modo, spinte dall’esigenza di strategie di risposta alla crisi post-covid, dalle tensioni sui dilemmi legati all'(ab)uso delle tecnologie associate alla quarta rivoluzione industriale, dai drammatici cambiamenti nel commercio internazionale e dall’incertezza causata dagli eventi politici, le organizzazioni con una capacità di visione più a lungo termine, hanno intuito l’importanza di prepararsi al meglio per la gestione dei grandi rischi sistemici.

Rischi, tra cui, oltre a quelli attinenti al rispetto dei diritti umani e le molteplici forme di corruzione sia attiva che passiva, rientra senza dubbio anche il rischio climatico, e che divengono a pieno titolo parte del risk management aziendale.

Altrettanto i leader aziendali hanno percepito i vantaggi derivanti dalla corretta declinazione dei criteri previsti nell’ambito della valutazione della sostenibilità degli investimenti e della redazione della reportistica non-finanziaria: dai bilanci di sostenibilità[6]ai Report Integrati.

Le tre declinazioni della sostenibilità: interna, finanziaria ed esterna

Sostenibilità che, a cominciare da quella interna, legata alla governance e ad approcci proattivi validi a prevenire problematiche e a gestire i rischi, si estende a quella di tipo finanziario, tesa a produrre i risultati economici e i vantaggi competitivi promessi dalla matrice strategica di Michael Porter; fino alla sostenibilità esterna, legata sia all’impatto sull’ambiente, sia alla comunicazione e percezione che segnano il percorso di valore e responsabilità dell’organizzazione verso quello che è l’imperativo categorico della società digitale di oggi: la costruzione e la difesa della reputazione. Conoscere e progettare i sistemi di creazione del consenso e della fiducia è, infatti, fondamentale in ogni processo, tanto di customer intelligence quanto di tutela della reputazione e posizionamento strategico.

Steve Forbes, editore statunitense, nonché caporedattore della nota rivista economica Forbes, scrive «Your brand is the single most important investment you can make in your business».

Tuttavia, branding – “what you want people to know about you and how you want them to relate to you” è un concetto diverso da reputazione – “what your stakeholders think of you”.

E soprattutto, nel mondo reale, la reputazione non ha nulla a che fare con la realtà, avendo invece a che fare con la percezione della stessa; ed è proprio la reputazione, e non invece il branding, che riveste una funzione determinante nel mantenere alto, nel lungo periodo, il livello della percezione positiva o altrimenti negativa negli stakeholders e del valore dello specifico brand rispetto a come lo stesso è stato comunicato e raccontato.

Il World Economic Forum[7] parla di economie di reputazione e di reputation management, dove trust, advocacy e stakeholder sono gli elementi portanti.

Fonte immagine

Il quadro regolatorio: una proliferazione normativa complessa e poco armonizzata

Da quando nel 2015 sono stati firmati l’Accordo di Parigi e l’Agenda 2030, dal G20, dalle Nazioni Unite, dalla Commissione europea e dalle banche centrali, ma anche nel settore finanziario, la riallocazione del capitale verso investimenti sostenibili è considerata elemento essenziale per il futuro delle economie globali.

A livello internazionale, l’attenzione verso forme di governance societaria sostenibile era già al centro dei principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani del 2011, delle linee guida dell’OCSE destinate alle imprese multinazionali e anche della dichiarazione tripartita di principi sulle imprese multinazionali e la politica sociale dell’OIL; tuttavia questi strumenti, sebbene utili in termini di promozione e consolidamento di una cultura responsabile, non sono mai andati oltre la dimensione di elementi guida normativi ma non vincolanti.

Tanto con il Green Deal europeo (annunciato a dicembre 2019 dalla Commissione Europea, ha come obiettivo quello di trasformare l’Europa nel primo continente climaticamente neutro entro il 2050), quanto con il Piano d’azione per la finanza sostenibile, l’UE ha inteso dunque intraprendere una serie di iniziative concrete nella promozione della trasparenza e della sostenibilità, rivelandosi uno tra gli attori più convinti e puntando molto in alto in vista dello sviluppo di comportamenti responsabili da parte delle organizzazioni.

Il contesto normativo europeo è in continuo fermento: a) alla Direttiva 2014/95 (NFRD), meglio conosciuta come Non-financial reporting directive, b) alla Sustainable finance disclosure regulation (SFDR), in vigore da marzo 2021, ovvero il Regolamento (Ue) 2019/2088[8], che insieme alla norma relativa c) alla Tassonomia UE della finanza sostenibile (regolamento (UE) 2020/852 pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 22 giugno 2020 ed entrato in vigore il 12 luglio)[9], costituiscono gli assi portanti a sostegno della trasparenza alla base degli investimenti green, si prevede possano presto aggiungersi d) la proposta lanciata dalla Commissione UE (CSRD), già menzionata, finalizzata alla revisione della Direttiva 2014/95/UE, e) oltre alle diverse iniziative avviate tra i framework di riferimento volte alla predisposizione di linee guida comuni e standard di riferimento universali. In tal senso gli standard GRI – Global Reporting Initiative – sono ancora oggi uno dei principali modelli di riferimento internazionale per la rendicontazione di sostenibilità destinati a supportare le nuove esigenze del contesto specifico.

A tale riguardo è interessante lo studio Aggregate Confusion:The Divergence of ESG Ratings condotto da un team di ricercatori del MIT Sloan – Florian Berg, Julian Koelbel e Roberto Rigobon, che documenta il disaccordo tra i rating ESG di cinque importanti agenzie in tutto il mondo: KLD, Sustainalytics, Video-Eiris, Asset e RobecoSAM. L’analisi rivela come la correlazione tra i rating ESG di quelle agenzie fosse in media dello 0,61; in confronto, i rating creditizi di Moody’s e Standard & Poor’s sono correlati a 0,99: “Ciò significa che le informazioni che i responsabili delle decisioni ricevono dalle agenzie di rating ESG sono relativamente rumorose” afferma il documento.

I ricercatori la chiamano “confusione aggregata” e, certo, non giova alla trasparenza e compresione della relativa reportistica.

La forte proliferazione normativa incidente a livello internazionale, comunitario e nazionale[10], l’insieme di regole destinate ad integrare provvedimenti e linee guida già implementati (NFRD, MiFID II, SHRD II, IDD,UCITS, AIFMD, Solvency II) e tutte le disposizioni hard law e soft law, costituiscono, quindi, un perimetro di legittimità di difficile armonizzazione che sta rendendo estremamente complesso (oltre che fonte di frustrazione e confusione), per le organizzazioni coinvolte, progettare adeguatamente i processi aziendali legati sostenibilità, a cominciare proprio dalle modalità di comunicazione delle informazioni c.d. di carattere non finanziario.

La confusione sulle metriche di reporting

Il numero di framework di reporting ESG esistenti è vario così come le metriche di reporting.

E malgrado un certo impegno ad allineare molti dei principali quadri di riferimento internazionali, e ad estendere l’area dei soggetti tenuti alla predisposizione dei report di sostenibilità, al momento le aziende sono ancora prive di un chiaro riferimento condiviso sugli indicatori impiegati per aumentare la trasparenza delle prestazioni aziendali di sostenibilità ambientale e sociale e supportare gli investitori nella quantificazione di questi rischi.

La diffusione, volontaria o meno, di un’informazione non finanziaria artefatta o non veritiera, come l’incidenza delle pratiche note come greenwashing, possono costare molto caro alle organizzazioni e comportare assunzioni di responsabilità – a carico degli organi di gestione e controllo – di natura penale, oltre che onerose pretese risarcitorie da parte di investitori che reclamano il ristoro per danni da “alterazione informativa”.

Non ultimo, va considerato il rischio grave di un crollo reputazionale dagli effetti imponderabili ma certamente molto pesanti, se non addirittura catastrofici, poiché incidenti direttamente sulle revenues, sulla perdita di valore del marchio e sull’impatto delle conseguenti indagini normative.

Una delle sfide della twin transformation: digitalizzazione della strategia e del piano della sostenibilità

Per le organizzazioni, la digitalizzazione dei dati sulla sostenibilità è un fattore di supporto interessante, non solo per esigenze di compliance bensì in quanto driver per la creazione di valore. In tal senso, la trasformazione digitale dei processi aziendali si inserisce a pieno diritto nel processo che mira a migliorare la trasparenza, la conservazione in formato digitale, la qualità e la comparabilità delle informazioni richieste dalla taxonomy, così come la rendicontazione sulla performance, il rispetto delle garanzie minime, la condotta aziendale e il monitoraggio ESG continuo. Favorisce, in tal modo, il grado di responsabilità dell’intero ambiente societario, finanziario ed economico da cui dipende l’esercizio di scelte strategiche consapevoli e la creazione di valore a lungo termine.

Lo studio The European Double Up di Accenture, presentato nella cornice di Davos 2021, evidenzia come lo scenario sociale ed economico post Covid-19 non potrà prescindere da una trasformazione guidata dagli elementi di sostenibilità e digitalizzazione. Un cambiamento ad oggi divenuto inevitabile e necessario.

Fonte Immagini

“Anche le aziende che riconoscono le opportunità che derivano dall’accelerare la propria transizione al digitale e alla sostenibilità incontrano degli ostacoli nei diversi stadi del percorso verso la “twin transformation”, ha commentato Fabio Benasso, Presidente e Amministratore Delegato di Accenture Italia. “Fra le maggiori sfide, troviamo sicuramente la definizione di un modello di business efficace per realizzare prodotti sostenibili, la liberazione di risorse e la capacità di passare rapidamente da progetti pilota ad iniziative su grande scala che coinvolgono l’intera società”

Un ruolo di primaria importanza viene rivestito dai responsabili finanziari delle organizzazioni: CFO – Chief Financial Officer, non a caso, ritenuti figura ideale per guidare il cambiamento in atto.

Secondo l’ultimo McKinsey Global Survey i leader finanziari sono, infatti, profondamente coinvolti nel determinare come le aziende si adattano ai cambiamenti imposti dalla pandemia di COVID-19 e alla maggiore attenzione rivolta alle questioni sociali e ambientali, in particolare nei luoghi in cui digitale e finanza si intersecano.

Fonte Immagine: https://www.mckinsey.com/business-functions/strategy-and-corporate-finance/our-insights/mastering-change-the-new-cfo-mandate

“Negli ultimi anni, le responsabilità del CFO sono cresciute in alcune aree importanti, in particolare nel digitale. Tra il 2016 e il 2021, la quota di leader finanziari che si dichiarano responsabili delle attività digitali delle proprie aziende è più che triplicata. Anche le relazioni con gli investitori sono cresciute notevolmente come area di interesse per i CFO. Quasi due terzi dei leader finanziari affermano di essere responsabili di queste attività, rispetto al 44% del 2016.”

Fonte Immagine: https://www.mckinsey.com/business-functions/strategy-and-corporate-finance/our-insights/mastering-change-the-new-cfo-mandate

Le aree organizzative coinvolte nella trasformazione digitale e strettamente connesse a sotto-processi che hanno un peso di rilievo nella determinazione di obiettivi non-finanziari e di parametri e indicatori ESG sono spesso sprovviste di adeguati strumenti.

È ovvia la necessità di raccogliere e gestire informazioni qualitative su larga scala, in modo economico e rapido in modo che siano pienamente tracciabili e dimostrabili, ad esempio in ambiti che riguardano la salute e sicurezza dei lavoratori, la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra (i cosiddetti GHG) ed il trattamento dei rifiuti, il coinvolgimento della catena dei fornitori e la relativa sostenibilità, la redazione di un report in modo efficiente ed in tempo reale.

Tutto a beneficio della qualità complessiva dei dati ESG a disposizione: dalla raccolta dei dati, allo screening, all’inserimento dei dati estratti nel database; dall’analisi e successiva conversione di un enorme volume di tali dati non strutturati in dati strutturati attendibili e prontamente utilizzabili, alla selezione di informazioni preziose dal set di dati strutturati, fino all’elaborazione degli stessi in chiave di classificazione e tassonomia.

Un bilancio sociale di sostenibilità così come un Report Integrato richiedono informazioni che riguardano l’uso e la tipologia di materiali utilizzati, l’efficientamento energetico, l’utilizzo di acqua e lo scarico idrico nei processi produttivi, il rispetto della biodiversità, la conformità alle normative cogenti sugli aspetti ambientali, la valutazione ambientale dei fornitori e le pratiche di approvvigionamento, il comportamento anticorruzione ed anticoncorrenziale. E ancora, in ambito sociale e di gestione delle risorse umane, possiamo evidenziare la rilevanza di aspetti riguardanti le relazioni tra lavoratori e il management in termini di pari opportunità e non discriminazione nell’accesso alle cariche, di pratiche per la sicurezza, di rispetto della privacy, di rispetto dei diritti in termini di gender gap, lavoro minorile, di formazione ed istruzione, etc…

Ciascuno di questi aspetti comporta la necessità di raccogliere evidenze e registrazioni, di analizzare rischi, individuare contromisure ed effettuare azioni preventive o migliorative, di indicatori tempestivi, il tutto in maniera tracciabile, sicura ed incontrovertibile.

È pertanto evidente l’utilità di strumenti digitali che siano un valido supporto operativo e decisionale, in grado di fornire notifiche, avvisi, approfondimenti e suggerimenti utilizzabili per migliorare un programma ESG e costruire roadmap aziendali che allineino gli obiettivi aziendali e climatici.

Le iniziative in ambito ESG coinvolgono molti stakeholder aziendali ed è, dunque, di vitale importanza semplificare la raccolta dei dati, la collaborazione e l’allineamento alle pratiche, ai framework ed alla tattica decisa, generando report e dashboard centralizzati e condivisi a livello di consiglio di amministrazione, ma anche documenti divulgativi trasparenti, per mostrare l’aderenza alla strategia ed il successo delle iniziative ESG.

Conclusioni

Il Rapporto Brundtland, un documento pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED), descrive la sostenibilità come quel modello di sviluppo “che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Oggi il binomio rivoluzione digitale-transizione 4.0 e new green deal evidenza tanto l’urgenza di un uso intelligente delle risorse, al fine di garantire un sistema sociale più equo e inclusivo, quanto la sua importanza in ottica di competitività, reputazione e di conseguenza di redditività delle imprese.

Per le organizzazioni poter contare su leader dotati delle giuste capacità di intuizione e di mediazione, consapevoli che la trasformazione della società in atto necessita di approcci sistemici e di “interazioni” – che sebbene in certa misura siano orientati da leggi e normative, per buona parte invece dipendono da buoni comportamenti che vanno molto oltre la legislazione – si rivelerà fondamentale.

Tanto richiederà l’avvio, all’interno delle aziende, di un percorso evolutivo e improntato ad una cultura digitale che, favorito dal management, porti allo sviluppo di processi e modelli performanti, controllabili, circolari ed efficienti. Sostenibili e vantaggiosi per tutti.

In tal senso proprio la reportistica non finanziaria, da criterio di compliance, si trasforma in leva di governance strategica di assoluta rilevanza da perseguire con competenza e convinzione.

Note

  1. Interessante a tal riguardo questo articolo 
  2. PwC’s Survey 
  3. Merita di essere evidenziato come la proposta della Commissione UE dell’aprile scorso per una nuova Direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità preveda che l’informativa di sostenibilità, insieme al bilancio di esercizio e alla relazione sulla gestione, siano resi disponibili sempre, anche in formato digitale, attraverso il cosiddetto “digital tagging”.
  4. La direttiva ha reso obbligatorio il reporting di sostenibilità solo per le aziende europee di interesse pubblico, o con più di cinquecento dipendenti, il cui bilancio consolidato soddisfi determinati criteri stabiliti dalla legge: il totale dell’attivo dello stato patrimoniale deve essere superiore a 20 milioni di euro oppure, in alternativa, il totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni deve superare i 40 milioni di euro
  5. Per rientrare nel perimetro delle imprese soggette all’obbligo di rendicontazione è necessaria la rispondenza ad almeno due dei tre seguenti criteri: a) € 40 milioni di attivo patrimoniale; b) € 20 milioni di fatturato netto; c) 250 dipendenti, in media nel corso dell’esercizio di riferimento. Saranno inoltre soggette agli obblighi di rendicontazione di cui alla proposta tutte le PMI quotate nei mercati regolamentati dell’UE
  6. Stando ai dati Consob aggiornati alla data del 2 novembre 2021, le imprese italiane che hanno pubblicato un bilancio di sostenibilità avente i requisiti richiesti dal D.Lgs. 254/2016 sono state oltre 200, e numerose altre hanno reso pubbliche informazioni sugli impatti ambientali e sociali dell’attività svolta con strumenti di comunicazione diversi. Si veda https://www.consob.it/web/area-pubblica/soggetti-che-hanno-pubblicato-la-dnf
  7. Disponibile qui
  8. Il Regolamento SFDR stabilisce regole sulla trasparenza al fine di promuovere sia l’integrazione dei rischi per la sostenibilità nei processi di investimento sia l’informativa agli investitori. Inoltre, mira ad armonizzare gli standard di informativa ESG per diversi tipi di prodotti e diversi tipi di investitori finali.
  9. La Tassonomia è un sistema di classificazione a livello di UE, finalizzato alla definizione uniformened armonizzata di quali attività economiche possono essere considerate eligibili per riorientare i flussi di capitale verso investimenti sostenibili, gestire i rischi finanziari derivanti dalle sfide ESG e promuovere la trasparenza, stabilendo una visione a lungo termine dell’attività finanziaria ed economica. Sarà in vigore dal 31 dicembre 2021. Ai sensi del regolamento sulla tassonomia, la Commissione doveva elaborare l’elenco effettivo delle attività sostenibili dal punto di vista ambientale definendo criteri di vaglio tecnico per ciascun obiettivo ambientale mediante atti delegati. Un primo atto delegato sulle attività sostenibili per gli obiettivi di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici è stato approvato in linea di principio il 21 aprile 2021 e adottato formalmente il 4 giugno 2021 per l’esame dei colegislatori. Un secondo atto delegato per i restanti obiettivi sarà pubblicato nel 2022. Il 6 luglio 2021 la Commissione ha adottato l’ atto delegato che integra l’articolo 8 del regolamento sulla tassonomia per l’esame da parte dei colegislatori. Questo atto delegato specifica il contenuto, la metodologia e la presentazione delle informazioni che le imprese finanziarie e non finanziarie devono divulgare in merito alla proporzione di attività economiche ecosostenibili nelle loro attività, investimenti o attività di prestito.
  10. In Italia il D. Lgs. 254/2016 impone a enti di interesse pubblico (tra cui banche, società emittenti e assicurazioni) di considerevoli dimensioni, di pubblicare una dichiarazione – c.d. di carattere non finanziario – circa le politiche adottate in materia di «temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva che sono rilevanti tenuto conto delle attività e delle caratteristiche dell’impresa…».

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

EU Stories - La coesione innova l'Italia

Tutti
Social
Iniziative
Video
Analisi
Iniziative
Al via il progetto COINS
Eventi
Un nuovo sguardo sulla politica di coesione dell'UE
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia
Iniziative
Al via il progetto COINS
Eventi
Un nuovo sguardo sulla politica di coesione dell'UE
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia

Articoli correlati