l'analisi

Il PNRR visto dalle PA locali: cosa si può fare e dove non intervenire

Obiettivi, misure e risorse previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza: cosa può fare la PA locale in autonomia, dove può farsi aiutare e dove non può agire

Pubblicato il 07 Giu 2021

Andrea Tironi

Project Manager - Digital Transformation

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Com’è il PNRR visto con gli occhi della PA locale? Esaminiamo gli obiettivi, le misure e le risorse stanziate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza cercando di valutare cosa può fare la PA locale e dove invece non può intervenire.

Figura 1 – Estratto dal PNRR dell’obiettivo M1C1

Le misure che interessano le PA locali

Vediamo punto per punto:

  • Supportare la migrazione al cloud delle pubbliche amministrazioni
    • per raggiungere questo obiettivo le PA locali, possono fare procurement intelligente, cercando di acquistare prima software a riuso (che nativamente dovrebbe essere cloud), quindi software dal marketplace agid in saas (che nativamente dovrebbe essere cloud), quindi in caso di procurement diretto richiedere software web e cloud (indi saas)
    • dal canto loro le software house devono progressivamente migrare tutti i loro applicativi al cloud, certificarsi nel marketplace agid o mettere a riuso i loro software
    • la difficoltà attuale del migrare al cloud della PA è che spesso i costi sono maggiori dell’on premise perché
      • non si sfrutta la scalabilità, ovvero non ci sono picchi di richieste da sostenere negli enti locali
      • i servizi sono diversi, ma a volte ad un livello “troppo elevato” per i comuni medio piccoli
      • i servizi cloud sono più affidabili ma non ne viene percepito il valore
      • in Italia non siamo abituati ai modelli americani di “pay per use” (es. le bande internet in uso misurate al giga che sai quantificare a posteriori non a priori), ma preferiamo come modello il canone mensile o trimestrale con certezza del costo
  • Garantire la piena interoperabilità tra i dati delle amministrazioni
    • tecnologicamente la questione è abbastanza semplice, si tratta di esporre API (application program interface). La parte più difficile è organizzativa.
    • Problema organizzativo 1: le software house nei loro software non espongono API
    • Problema organizzativo 2: le software house nei loro software non sanno che API esporre perchè non hanno idea di chi possa fruire dei loro dati
    • Problema organizzativo 3: mancano le profilazioni di accesso ovvero come si decide a chi dare accesso ad un dato? (cosa che sta bloccando ad esempio l’accesso ad ANPR?). Il punto 3 non è semplice da risolvere, del resto non può essere il blocco o la scusa per non fare niente.
  • Offrire servizi digitali ai cittadini (identità digitale, domicilio digitale, notifiche, pagamenti)
    • per l’identità digitale le pa locali si stanno muovendo grazie al fondo innovazione, attivando cie e spid
    • per i pagamenti sempre grazie al fondo innovazione c’è un massiccio utilizzo di pagopa che si spera diventi virale nel 2021
    • le pa locali non possono al momento fare nulla per le notifiche (la piattaforma non esiste al momento della scrittura dell’articolo)
    • del domicilio digitale ne abbiamo sentito parlare talmente tante volte che quasi vorremmo esistesse, del resto anche qui le pa locali non possono fare nulla fino a che non lo si definisce
  • Rafforzare il perimetro di sicurezza digitale del Paese
    • gli enti locali nel loro piccolo possono migliorare la propria sicurezza locale (antivirus, firewall …) e migliorare la competenza informatica e la consapevolezza sulla cybersecurity dei proprii dipendente, ma il grosso lo devono fare i fornitori fornendo servizi cloud sicuri
  • Rafforzare le competenze di base digitali dei cittadini
    • Qui i comuni possono dare una mano: quando viene lanciato un servizio digitale si possono attuare diverse iniziative
      • spiegarlo ai cittadini con serate, videocall, video registrati, altro
      • contestualmente spiegare le piattaforme abilitanti
  • Innovare l’impianto normativa per velocizzare gli appalti ICT e incentivare l’interoperabilità da parte delle amministrazioni
    • Sul primo punto dipende dalle PAC
    • Sul secondo punto, ne abbiamo già parlato nel punto Garantire la piena interoperabilità tra i dati delle amministrazioni
  • Abilitare gli interventi di riforma della PA investendo in competenze e innovazione esemplificando in modo sistematico i procedimenti amministrativi (riduzione di tempi e costi)
    • Molto interessante per la PA locale: la semplificazioni di numerosi procedimento potrebbe abbassare di molto i tempi di risposta al cittadino, anche se la riforma non dipende dagli enti locali che si troveranno come risultato procedimenti più snelli.
  • Sostenere gli interventi di riforma della giustizia attraverso investimenti nella digitalizzazione e nella gestione del carico pregresso di cause civili e penali
    • Poco interessante per i comuni

Le misure e risorse economiche per le PA locali

Figura 2 – Estratto dal PNRR dei fondi associati all’obiettivo M1C1

Nello specifico, la parte economica che interessa agli enti locali, riforma 1.2, è 0.16 miliardi ovvero 160 milioni dei 9.75 della voce M1C1 e degli oltre 40 sul digitale, ovvero circa il 0.4%. Poco o tanto dipende dall’impatto, visto che immaginiamo che anche altre voci ricadranno successivamente anche sugli enti locali. Questi sono i soldi dedicati, che se ci pensiamo non sono pochi.

Fino al pre-pandemia la convinzione era di poter fare innovazione e trasformazione digitale a invarianza di costi, addirittura risparmiando. Nel 2020 è apparso il fondo innovazione e il bando piccoli comuni, che hanno portato qualche decina di milioni, Ora si parla di 160 milioni, sicuramente un grande cambiamento.

E poi va considerato che, ribadiamo, altri investimento e riforme coinvolgeranno i comuni medio-piccoli, che riceveranno comunque benefici in miglioramenti ed economici.

Ad esempio, investimento 2.3 sul capitale umano e il 2.1 sul portale unico recruitment.

In particolare, valutando investimento per investimento e analizzando la spiegazione nel PNRR, possiamo fare le seguenti analisi:

Investimento 1.1: infrastrutture digitali

La trasformazione digitale della PA segue un approccio “cloud first”, orientato alla migrazione dei dati e degli applicativi informatici delle singole amministrazioni verso un ambiente cloud. Questo processo consentirà di razionalizzare e consolidare molti dei data center oggi distribuiti sul territorio, a partire da quelli meno efficienti e sicuri (il 95 per cento dei circa 11mila data center/centri di elaborazione dati distribuiti utilizzati dagli enti pubblici italiani presenta oggi carenze nei requisiti minimi di sicurezza, affidabilità, capacità elaborativa ed efficienza)19. La trasformazione è attuata secondo due modelli complementari. In funzione dei requisiti di performance e scalabilità e della sensibilità dei dati coinvolti, le amministrazioni centrali potranno migrare sul Polo Strategico Nazionale – PSN, una nuova infrastruttura dedicata cloud (completamente “privata” o “ibrida”), localizzata sul territorio nazionale e all’avanguardia in prestazioni e sicurezza, oppure migrare sul cloud “public” di uno tra gli operatori di mercato precedentemente certificati.

La strategia prosegue la strategia cloud italia in corso. Pare tornino in auge i PSN (il nome non è importante, è comunque chiaro servano data center per le PA più critiche, come esistono infrastrutture critiche sia pubbliche che private da difendere nel cyber spazio). Prosegue il percorso di eliminazione della maggior parte degli 11.000 data center pubblici sparsi in Italia (classificati dal censimento agid), che entro il 2026 si spera sia concretizzato completamente.

Investimento 1.2: abilitazione e facilitazione migrazione al cloud

Per accompagnare la migrazione della PA al cloud è previsto un programma di supporto e incentivo per trasferire basi dati e applicazioni, in particolare rivolto alle amministrazioni locali. Le amministrazioni potranno scegliere all’interno di una lista predefinita di provider certificati secondo criteri di adeguatezza rispetto sia a requisiti di sicurezza e protezione, sia a standard di performance. Il supporto alle amministrazioni che aderiranno al programma di trasformazione sarà realizzato con “pacchetti” completi che includeranno competenze tecniche e risorse finanziarie. In una logica di vera e propria “migration as a service” si aiuteranno le amministrazioni nella fase di analisi tecnica e di definizione delle priorità, con risorse specializzate nella gestione amministrativa, nella contrattazione del supporto tecnico esterno necessario all’attuazione e nell’attività complessiva di project management per tutta la durata della trasformazione. Per facilitare l’orchestrazione di questa significativa mole di lavoro è creato un team dedicato a guida MITD, incaricato di censire e certificare i fornitori idonei per ogni attività della trasformazione e, successivamente, di predisporre “pacchetti”/moduli standard di supporto (che ogni PA combinerà a seconda dei propri bisogni specifici). Per le PA locali minori, che non hanno la massa critica per una gestione individuale, verrà resa obbligatoria l’aggregazione in raggruppamenti ad hoc per l’esecuzione dell’attività di trasformazione/migrazione (secondo criteri specifici e predefiniti). La transizione al cloud favorita da questi primi due investimenti è funzionale anche lo sviluppo di un ecosistema di imprese e startup in grado di integrare e migliorare l’offerta e la qualità di prodotti software per la PA.

Passaggio molto interessante per diversi aspetti:

  • migration as a service: è chiaro che molti enti locali non sanno migrare al cloud, quindi è fondamentale che i pacchetti di migrazione includono competenze per la migrazione e fondi per la migrazione. Come dicevamo già prima ecco altri fondi che arriveranno agli enti locali anche se non sono nei 160 milioni specificati prima.
  • Presso il MITD verrà creare un team di lavoro a questo scopo (per anni le persone coinvolte su questo tema presso il TD erano 3-4 massimo).
  • I comuni comunque non in grado di procedere, causa ridotte dimensioni, dovranno aggregarsi per fare uno sforzo comune di migrazione. interessante sarà il come, anche se l’idea è sicuramente buon.
  • Utile anche l’apertura al progressivo miglioramento, mediante sviluppo di un ecosistema che includa imprese e startup per migliorare l’offerta.

Investimento 1.3: dati e interoperabilità

Il gap digitale della PA italiana si traduce oggi in ridotta produttività e spesso in un peso non sopportabile per cittadini, residenti e imprese, che debbono accedere alle diverse amministrazioni come silos verticali, non interconnessi tra loro. La trasformazione digitale della PA si prefigge quindi di cambiare l’architettura e le modalità di interconnessione tra le basi dati delle amministrazioni affinché l’accesso ai servizi sia trasversalmente e universalmente basato sul principio “once only”, facendo sì che le informazioni sui cittadini siano a disposizione “una volta per tutte” per le amministrazioni in modo immediato, semplice ed efficace, alleggerendo tempi e costi legati alle richieste di informazioni oggi frammentate tra molteplici enti. Investire sulla piena interoperabilità dei dataset della PA significa introdurre un esteso utilizzo del domicilio digitale (scelto liberamente dai cittadini) e garantire un’esposizione automatica dei dati/attributi di cittadini/residenti e imprese da parte dei database sorgente (dati/attributi costantemente aggiornati nel tempo) a beneficio di ogni processo/servizio “richiedente”. Si verrà a creare una “Piattaforma Nazionale Dati” che offrirà alle amministrazioni un catalogo centrale di “connettori automatici” (le cosiddette “API” – Application Programming Interface) consultabili e accessibili tramite un servizio dedicato, in un contesto integralmente conforme alle leggi europee sulla privacy, evitando così al cittadino di dover fornire più volte la stessa informazione a diverse amministrazioni. La realizzazione della Piattaforma Nazionale Dati sarà accompagnata da un progetto finalizzato a garantire la piena partecipazione dell’Italia all’iniziativa Europea del Single Digital Gateway, che consentirà l’armonizzazione tra tutti gli Stati Membri e la completa digitalizzazione di un insieme di procedure/servizi di particolare rilevanza (ad es. richiesta del certificato di nascita, ecc.).

Su questo punto ci giochiamo il futuro. Quando davvero riuscire ad innescare l’interoperabilità e la condivisione e uso efficace di dati della PA, capiremo che quanto fatto fino ad oggi era il primo tratto di una curva di crescita esponenziale o virale che di si voglia.

L’interoperabilità accelera a dismisura le attività che facciamo ogni giorno, mentre entrambe ci permetteranno di esplorare mondi che oggi nemmeno immaginiamo.

Gli esempi sono i soliti, ma molto efficaci: trovaprezzi è un sito che grazie ad interoperabilità con altri siti permette di trovare il miglior prezzo di un prodotto che cerchiamo. Pensate a quanto tempo guadagnato evitando di andare su 100 siti diversi e rischiando di non trovare nemmeno il prezzo migliore.

Così l’interoperabilità ci permetterà di avere già i nostri dati compilati, confermandoli semplicemente, senza sbagliare, senza doverli autocertificare ogni volta. Ci aspetta un mondo diverso, l’interoperabilità è la killer APP dei prossimi 5 anni.

Come detto nel punto associato all’interoperabilità ad inizio articolo, per i comuni le necessità sono tre per “unleash the beast” (lasciare libero il potenziale): normativa pronta, procurement efficace, fornitori pronti.

Investimento 1.4: Servizi digitali e cittadinanza digitale

Lo sforzo di trasformazione sugli elementi “di base” dell’architettura digitale della PA, come infrastrutture (cloud) e interoperabilità dei dati è accompagnato da investimenti mirati a migliorare i servizi digitali offerti ai cittadini. In primo luogo, è rafforzata l’adozione delle piattaforme nazionali di servizio digitale, lanciate con successo negli ultimi anni, incrementando la diffusione di PagoPA (piattaforma di pagamenti tra la PA e cittadini e imprese) e della app “IO” (un front-end/canale versatile che mira a diventare il punto di accesso unico per i servizi digitali della PA). In secondo luogo, sono introdotti nuovi servizi, come ad esempio la piattaforma unica di notifiche digitali (che permetterà di inviare notifiche con valore legale in modo interamente digitale, rendendo le notifiche più sicure e meno costose), per fare in modo che venga spostato sui canali digitali il maggior volume possibile di interazioni, pur senza eliminare la possibilità della interazione fisica per chi voglia o non possa altrimenti. Sono anche sviluppate sperimentazioni in ambito mobilità (Mobility as a Service) per migliorare l’efficienza dei sistemi di trasporto urbano. Inoltre, per permettere un’orchestrazione fluida di tutti i servizi sopra descritti, è rafforzato il sistema di identità digitale, partendo da quelle esistenti (SPID e CIE), ma convergendo verso una soluzione integrata e sempre più semplice per gli utenti. Infine, si prevede anche un intervento organico per migliorare la user experience dei servizi digitali e la loro l’accessibilità “per tutti”, armonizzando le pratiche di tutte le pubbliche amministrazioni verso standard comuni di qualità (ad es. funzionalità e navigabilità dei siti web e di altri canali digitali).

Grazie al fondo innovazione i comuni stanno attivando SPID e CIE sui loro servizi, pagopa per i pagamenti e IO per i messaggi. Non ci si illuda che il percorso finisca il 31.12, ma sicuramente una buona spinta è in corso. E dovremo proseguire sempre di più in questa direzione.

Investimento 1.5: cybersecurity

La digitalizzazione aumenta nel suo complesso il livello di vulnerabilità della società da minacce cyber, su tutti i fronti (ad es. frodi, ricatti informatici, attacchi terroristici, ecc.). Inoltre, la crescente dipendenza da servizi “software” (e la conseguente esposizione alle intenzioni degli sviluppatori/proprietari degli stessi) e l’aumento di interdipendenza delle “catene del valore digitali” (PA, aziende controllate dallo Stato, privati) pongono ulteriore enfasi sulla significatività del rischio in gioco e sull’esigenza, quindi, di una risposta forte. La trasformazione digitale della PA contiene importanti misure di rafforzamento delle nostre difese cyber, a partire dalla piena attuazione della disciplina in materia di “Perimetro di Sicurezza Nazionale Cibernetica”.

Gli investimenti sono organizzati su quattro aree di intervento principali. In primo luogo, sono rafforzati i presidi di front-line per la gestione degli alert e degli eventi a rischio intercettatati verso la PA e le imprese di interesse nazionale. In secondo luogo, sono costruite o rese più solide le capacità tecniche di valutazione e audit continuo della sicurezza degli apparati elettronici e delle applicazioni utilizzate per l’erogazione di servizi critici da parte di soggetti che esercitano una funzione essenziale. Inoltre, si investe nell’immissione di nuovo personale sia nelle aree di pubblica sicurezza e polizia giudiziaria dedicate alla prevenzione e investigazione del crimine informatico diretto contro singoli cittadini, sia in quelle dei comparti preposti a difendere il paese da minacce cibernetiche. Infine, sono irrobustiti gli asset e le unità cyber incaricate della protezione della sicurezza nazionale e della risposta alle minacce cyber. Tutto ciò è svolto in pieno raccordo con le iniziative Europee e alleate, per assicurare la protezione degli interessi comuni dei cittadini e delle imprese.

Questo tema è piuttosto macro e sentito lontano dai comuni. Per i comuni un buon backup, un buon antivirus, un buon firewall e della buona formazione per i dipendenti per la cyber security awareness possono essere già un punto di partenza. Del resto, rimangono le misure minima di sicurezza ICT come riferimento, che andrebbero aggiornate visto che ormai hanno qualche hanno e il cybercrime continua a crescere esponenzialmente come fenomeno, come tipologia di attacchi e come superficie di attacco (soprattutto con la pandemia e lo smart working)

Investimento 1.6: digitalizzazione delle grandi amministrazioni centrali

Le grandi amministrazioni centrali giocano un ruolo fondamentale nell’offerta di servizi pubblici, ma spesso i processi sottostanti questi servizi sono ancora inefficienti e non digitali. La trasformazione

digitale della pubblica amministrazione passa anche attraverso una serie di interventi “verticali” mirati a ridisegnare e digitalizzare un insieme di use-case chiave nelle grandi amministrazioni centrali, ordinati in virtù della criticità degli snodi che rappresentano nell’erogazione di servizi al cittadino e dell’impatto in termini di efficienza complessiva dell’apparato pubblico. Questi interventi investono vari ambiti della PA, dalla Giustizia (es. digitalizzazione del cartaceo residuo per completare il fascicolo telematico, progettualità di data lake per migliorare i processi operativi di Giustizia Ordinaria e Consiglio di Stato) al Lavoro (es. digitalizzazione di sistemi e applicazioni di INPS e INAIL); dalla Difesa (e.g. revisione dei processi interni e degli applicativi del Ministero) agli Interni (es. digitalizzazione di selezionati servizi offerti ai cittadini) e alla Guardia di Finanza.

Le amministrazioni centrali con uffici locali sono quelle che ti richiedono ancora la firma su carta, non accettano le email, non rispondono alle richieste. In alcuni casi è come se sentissero la digitalizzazione un problema della periferia e una cosa che non li tocca direttamente. Bene questo punto dice: care PAC il digitale e l’innovazione vi toccano talmente tanto che vi dedichiamo un punto. Del resto i comuni possono fare poco se i prefetti mandano ancora fax o email con scansioni di documenti e richiedono ancora firme su carta o registri da firmare (vedi riforma dello stato civile… se così si può chiamare: dopo 400 anni la riforma è stata cambiare la dimensione dei fogli in modo da usare le stampanti laser; certo un passo, eliminiamo le stampanti ad aghi … ma un minimo di pensiero laterale e togliere la carta del tutto anche in ottemperanza alle linee guida sul documento informatico?)

Investimento 1.7: competenze digitali di base

Gli sforzi di trasformazione digitale di infrastrutture e servizi sopra descritti sono accompagnati da interventi di supporto alle competenze digitali dei cittadini, per garantire un sostegno robusto e pervasivo al compimento del percorso di alfabetizzazione digitale del paese. In questo ambito il PNRR nel suo complesso prevede diverse linee di azione, tra loro sinergiche, che coprono tutti gli snodi del percorso educativo. Molte di queste iniziative sono descritte in altre componenti e, in particolare, nella Missione 4. Gli interventi descritti in questa sezione mirano a supportare le fasce della popolazione a maggior rischio di subire le conseguenze del digital divide, in qualche modo “l’ultimo miglio” delle conoscenze digitali. Oltre alle misure (più) tradizionali fornite dalle piattaforme educative, di istruzione e di supporto all’inserimento nel mondo del lavoro, con il PNRR si vuole rafforzare il network territoriale di supporto digitale (facendo leva su esperienze regionali di successo) e il Servizio Civile Digitale, attraverso il reclutamento di diverse migliaia di giovani che aiutino circa un milione di utenti ad acquisire competenze digitali di base.

Per rendere efficace l’implementazione di questi interventi di digitalizzazione nei tempi previsti, sono previste tre riforme chiave che li accompagnino:

Nelle PA locali qui di spazio ce n’è fino a che si vuole. Dagli amministratori, ai segretari, ai dipendenti, l’età che si ha, la mentalità, la generazione di appartenenza e il “si è sempre fatto così” o “è impossibile” hanno negli anni aperto profondi solchi tra la realtà del mondo che viviamo nel privato delle nostre case e la “fanta-carta-burocrazia che si vive negli enti locali (ma anche nei colossi bancari o assicurativi, e nemmeno tanto colossi). Quindi qui di spazio per formare le persone ce n’è a iosa. Sicuramente interessante l’approccio di creare community e reti per migliorare le competenze, basta che non diventino tavolate per raccontarsi chi ha fatto meglio questo e quello, ma siano tavoli operativi per migliorare problemi reali, comuni e standardizzati.

Riforma 1.1: processo di acquisto ICT

La riforma è mirata a rinnovare le procedure di acquisto di servizi ICT per la PA. Attualmente, l’acquisto di servizi ICT comporta dispendio di tempo e risorse per gli attori soggetti al “codice degli appalti”. Per semplificare e velocizzare questo processo saranno effettuate tre azioni. Primo, sarà creata una “white list” di fornitori certificati. Secondo, sarà creato un percorso di “fast track” per gli acquisti ICT, adottando un approccio semplificato per gli acquisti in ambito PNRR. In ultimo, queste azioni normative saranno accompagnate dalla creazione di un servizio che includa la lista dei fornitori certificati e consenta una selezione/comparazione veloce e intuitiva.

Quanto sopra è sicuramente interessante. Avere un accesso a fornitori qualificati è fondamentale per la velocità di messa a terra e la semplificazione delle gare, soprattutto se le gare ICT diventano più semplici da chiudere in ottica PNRR grazie a dei controlli pregressi. Del resto l’esperienza su altre liste di “fornitori certificati” (marketplace agid) porta a pensare che sia importante che sia snella la certificazione ma che qualcuno la verifichi, altrimenti si tratta di pura burocrazia e di un marketplace sicuramente ad accesso più veloce, ma meno efficace di quello che in volontà si vuole realizzare.

Riforma 1.2: supporto alla trasformazione della PA locale

È prevista la creazione di una struttura di supporto alla trasformazione composta da un team centrale (con competenze di PMO, amministrazione/gestione delle forniture e competenze tecniche sui principali “domini” interessati) affiancato da unità di realizzazione che si interfacciano con i fornitori locali delle PA. Il supporto esterno alle amministrazioni locali è preconfigurato in “pacchetti di migrazione”, definiti su aggregazioni di comuni per garantire una massa critica sufficiente. In secondo luogo, sarà creata una nuova società (“NewCo”) dedicata a Software development & operations management, focalizzata sul supporto alle amministrazioni centrali. La migrazione al cloud, infatti, creerà un’opportunità storica di miglioramento delle applicazioni che supportano i processi delle PA. Consolidare in questa NewCo le competenze tecnologiche oggi frammentate su più attori consentirà di supportare al meglio le amministrazioni in questo percorso.

Questo punto ha due aspetti focali:

  • la creazione di una struttura di supporto alla trasformazione coordinata da un team centrale che poi avrà bracci locali (team di realizzazione) con competenze di PMO. Sembra un’ottimo approccio laddove non ci siano società che possano aiutare i territori a generare cambiamento e trasformazione digitale.
  • la creazione di una newco per il supporto alle pa centrali per la migrazione al cloud e come braccio ict

La pa locale potrà quindi farsi aiutare da questi team di realizzazione per la messa a terra della trasformazione digitale della PA.

Da capire a questo punto come si interfacceranno:

  • MITD (come MITD e come nuovo team cloud)
  • pagoPA spa come riferimento per pagoPA, IO, piattaforma notifiche
  • Sogei (come fornitore delle PAC)
  • IPZS (per CIE)
  • newco sopra indicata
  • Ministero Interno (per ANPR e anagrafe)
  • Agid (Spid e Linee Guida)
  • PAC
  • Il pool di 1000 esperti (Per supportare l’implementazione di queste attività a livello di amministrazioni locali è previsto il ricorso a uno strumento di assistenza tecnica (TA) equivalente alla creazione di un pool di 1.000 esperti. I pool opereranno con il coordinamento delle amministrazioni regionali, che provvederanno, anche sentita l’ANCI e l’UPI, ad allocare le attività presso le amministrazioni del territorio (Uffici Regionali, amministrazioni comunali e provinciali) in cui si concentrano i colli di bottiglia nello specifico contesto. )
  • ANCI
  • UPI
  • Regioni

Perché se ben coordinate potranno dare un forte valore aggiunto tutte queste strutture, altrimenti diventeranno N entità a cui dare retta (e a nessuno piace avere N capi …).

Riforma 1.3: introduzione linee guida “cloud first” e interoperabilità

L’ultimo asse di riforma è mirato a facilitare gli interventi di digitalizzazione semplificando e innovando il contesto normativo. In particolare, sarà rivisto e integrato con l’anagrafe nazionale il domicilio digitale individuale per permettere corrispondenze digitali certe e sicure tra cittadini e PA. Inoltre, considerando che la migrazione al cloud ridurrà i costi ICT delle amministrazioni, saranno previsti disincentivi per le amministrazioni che non avranno effettuato la migrazione dopo un “periodo di grazia” predefinito. Saranno anche riviste le regole di contabilità che attualmente disincentivano la migrazione (al momento, infatti, la migrazione al cloud comporta di “tradurre” capex in opex). In ultimo, saranno semplificate le procedure per lo scambio di dati tra le amministrazioni, che attualmente richiedono documenti/autorizzazioni dedicati, per favorire una piena interoperabilità tra le PA.

ANPR integrata con domicilio digitale sarebbe un passo avanti enorme nella comunicazione con il cittadino. Come la creazione dell’INAD. Al momento si tratta solo di annunci ripetuti più volte sia per domicilio digitale che per INAD, anche se avere un domicilio digitale certificato sarebbe un grosso passo avanti, come l’uso di piccoli accorgimenti quali firma digitale e documenti creati in digitale. Per quanto riguarda il cloud, sicuramente è importante valutare opex e capex, perché i modelli attuali favoriscono gli investimenti e osteggiano i canoni, di conseguenze molte ragionerie sono contrarie a certe operazioni dal punto di vista finanziaro anche se hanno senso dal punto di vista ict.

Investimento 2.1: portale unico del reclutamento

Il miglioramento delle modalità di accesso/ingresso nella PA si sostanzia nel lancio di una nuova piattaforma digitale (già in corso di realizzazione), che metterà a disposizione delle amministrazioni i profili e i curricula dei candidati, velocizzando l’attività di “preselezione” propedeutica alla selezione vera e propria. La piattaforma faciliterà anche l’attività di gestione e pianificazione delle risorse umane, raccogliendo in un unico punto le informazioni riguardanti le competenze dei dipendenti della PA in servizio (obiettivo di avere – in forma standard – l’80 per cento dei dati di tutte le amministrazioni sulla

piattaforma entro il 2023). La realizzazione dell’infrastruttura sarà accompagnata dalla stesura di nuove procedure di assunzione mirate a facilitare l’introduzione di profili tecnici/specializzati. Grazie a queste nuove procedure il personale, così selezionato, sarà contrattualizzato a tempo determinato, a valere sui fondi che ciascuna Amministrazione coinvolta sarà chiamata a gestire per l’attuazione dei progetti del PNRR. Il Dipartimento della funzione pubblica potrà assumere – con contratti a tempo determinato – i profili tecnici e ad alta specializzazione necessari a garantire un abbrivio adeguato e un’implementazione di qualità dei progetti del PNRR. Le esperienze e competenze maturate nelle attività di supporto tecnico alle amministrazioni per l’attuazione del PNRR potranno essere valorizzate ai fini assunzionali, in relazione al raggiungimento di milestone e target collegati ai singoli progetti, previa specifica procedura di selezione. Ciò potrà avvenire al di fuori delle risorse del PNRR nell’ambito del naturale turnover della PA previsto a spesa costante per i prossimi anni. A questo investimento si accompagnano le riforme mirate a rilanciare e migliorare le procedure di selezione per i dipendenti pubblici.

Il portale unico del reclutamento è una grande occasione per permettere di trovare i migliori talenti in base a competenze, conoscenze, attitudini, abilità, motivazione. Il tutto a livello nazionale, se vogliamo considerare lo smart working. Quindi una grande occasione anche per progressivamente censire la popolazione della PA e permettere a tutta la PA di cross fertilizzazione, pescando non solo per zone (es. comuni da comuni) ma anche corss-silos (passare ad esempio da sanità a comuni, da regioni a comuni etc etc)

Investimento 2.2: task force digitalizzazione, monitoraggio e performance

Le azioni di riforma relative alla semplificazione e alla velocizzazione di alcune specifiche procedure amministrative propedeutiche all’implementazione del PNRR necessiteranno di un adeguata capacità e supporto tecnico (“force de frappe” amministrativa, per ridisegno/re-ingegnerizzazione delle attività in perimetro, set-up dei meccanismi di monitoraggio dei tempi di attraversamento e dell’impatto della digitalizzazione).

È creata una task force temporanea (3 anni) di circa 1.000 professionisti a supporto delle amministrazioni che, in particolare, si occuperà di: fare uno screening e produrre un catalogo completo delle procedure amministrative in perimetro/prioritizzate; identificarne i regimi di esercizio target; re-ingegnerizzare e semplificare le procedure, rivedendole in ottica digitale, estendendo i meccanismi di silenzio-assenso ove possibile, adottando gli strumenti Notifica Certificata (SCIA) e un approccio di semplificazione della comunicazione. Circa 200 procedure critiche saranno semplificate/ridefinite entro il 2023, e 600 entro la fine del PNRR. In questo contesto, particolare attenzione sarà dedicata alle procedure per l’edilizia e le attività produttive e all’operatività degli sportelli unici (SUAP, SUE), ridisegnando i relativi processi e assicurando l’interoperabilità delle informazioni tra amministrazioni. Tale azione verrà svolta in stretto coordinamento con Dipartimento per la Transizione Digitale/ AGID e in linea con Single Digital Gateway Europeo anche al fine di garantire la diffusione di punti unici di accesso sul territorio. Al fine di valutare l’efficacia di questi interventi di semplificazione e favorire il confronto con i cittadini, sarà sviluppato un nuovo, trasparente, sistema di monitoraggio dei tempi di attraversamento delle procedure per tutte le amministrazioni pubbliche. In ultimo, sarà introdotto un nuovo sistema di performance management per i dipendenti della PA, con chiari indicatori di performance e incentivi dedicati alle amministrazioni più efficaci.

Questi 1000 professionisti (che per analogia storica possiamo chiamare i 1000 garibaldini del digitale) avranno un compito molto importante: censire le procedure della PA e individuare prima 200 e poi 600 da semplificare per accelerare la macchina-pa. Se infatti gli enti locali qualche cambiamento possono attivarlo dal punto di vista tecnologico, il grosso dei rallentamenti deriva dai procedimenti, per come sono pensati a livello legislativo. Semplificare sarà fondamentale per trasformare procedimenti complessi in più semplici, efficaci, che richiedono meno tempo di esecuzione e soprattutto ridotte interazioni tra cittadino e pa, se non digitali o mediante interoperabilità tra PA.

Investimento 2.3: competenze e capacità amministrativa

Il rafforzamento della capacità amministrativa è completato da investimenti dedicati al rafforzamento delle competenze del personale della PA, agendo su tre aree di azioni complementari e sinergiche.

In primo luogo, è messa a disposizione un’ampia offerta di corsi online per il reskilling e l’upskilling del capitale umano (MOOC, i.e. Massive Open Online Courses). L’impiego di MOOC rappresenta un approccio innovativo e scalabile che consentirà di raggiungere un’ampia platea di beneficiari. Questi corsi saranno incentrati sulle priorità del PNRR (trasformazione digitale, transizione green, innovazione sociale) e sulle competenze manageriali necessarie per una pubblica amministrazione moderna ed efficace. Ne saranno attivati non meno di 100. I corsi rappresenteranno un patrimonio di contenuti per il training utilizzabili per molti anni a venire a fronte di uno sforzo di manutenzione relativamente contenuto. Saranno ingaggiati i migliori partner per lo sviluppo di questi corsi (ad es. la SNA) con cui verranno sviluppati anche meccanismi ad hoc di valutazione dell’impatto dei programmi di apprendimento.

Inoltre, sono introdotte “comunità di competenze” (Community of Practice) per sviluppare e contaminare best practice all’interno della PA (ad esempio, manager della trasformazione digitale o della transizione green). L’ambizione è di attivare circa 20 di queste community tematiche (ad es. su human capital, digital transformation, green transformation, ecc.), trasversali alle amministrazioni. I manager coinvolti (circa 100-150 per ogni community) saranno supportati nell’implementare progetti innovativi all’interno delle proprie amministrazioni. A tali azioni si aggiunge inoltre la possibilità data alle principali amministrazioni di usufruire di voucher formativi per completare il retraining del personale alla luce delle nuove esigenze organizzative e funzionali.

Infine, anche grazie al co-finanziamento dei Fondi Strutturali 2021-2027, sono supportate una serie di amministrazioni di medie/piccole dimensioni (target di 480 amministrazioni locali) con progetti dedicati di change management volti al rafforzamento e/o alla trasformazione del loro modello operativo, per far fronte alle nuove sfide di remote working, semplificazione e digitalizzazione delle procedure e allo stesso tempo di formazione delle competenze innovative.

Cambiare la cultura della PA sarà una grande sfida. Probabilmente serviranno più dei 5 anni del PNRR perché la generazione dei dipendenti pubblici attuali, ottimizzati come lavoro sulla parete amministrativa, vengano sostituiti o contaminati da project manager e tecnici. Del resto da qualche parte bisogna cominciare e le azioni descritte sono lodevoli:

  • formazione tramite mooc, disponibile in digitale a tutti i livelli
  • community di scambio di esperienza in modo da permettere crescita veloce di esperienze e condivisione
  • un gruppo sperimentale di amministrazioni (oltre 400) con cui provare a fare trasformazione digitale per creare (mi auguro) dei kit riusabili

Sicuramente approccio corretto. Da mettere in campo subito.

Riforma 2.1: accesso e reclutamento

La modernizzazione della Pubblica Amministrazione richiede una migliore e più efficiente selezione delle persone. Per questo saranno messi in campo interventi di carattere normativo volti a riformare le procedure e le regole per il reclutamento dei dipendenti pubblici. Obiettivo è rivedere gli strumenti per l’analisi dei fabbisogni di competenze delle Pubbliche Amministrazioni, migliorare i meccanismi di preselezione e le prove coerentemente con la necessità di valorizzare non soltanto le conoscenze ma anche le competenze, costruire modalità sicure e certificate di svolgimento delle prove anche a distanza, progettare sistemi veloci ed efficaci di reclutamento, differenziare le modalità di selezione coerentemente con i profili da assumere. In aggiunta, saranno previsti, accanto ai percorsi ordinari di reclutamento, programmi dedicati agli alti profili (giovani con elevato livello di qualifiche), e ai profili specialistici. Il percorso di riforma è stato avviato con l’art. 10 del DL n. 44/2021, che ha introdotto meccanismi semplificati per le procedure di concorso già bandite, con un ampio ricorso al digitale.

Il reclutamento fa parte di un tema molto più ampio: come cambiare la cultura e il materiale umano della PA. Semplificare i concorsi (prima ancora sbloccarli), permette di far arrivare nuove leve con competenze di project management e tecniche, permettere loro di fare carriera, inserirle nelle posizioni migliori perché possano sviluppare il potenziale e non essere schiacciati dalla macchina-pa esistente, è probabilmente IL tema del cambiamento della PA nei prossimi anni.

Riforma 2.2: buona Amministrazione e semplificazione

Le riforme che saranno realizzate in questo ambito hanno la finalità di eliminare i vincoli burocratici e rendere più efficace ed efficiente l’azione amministrativa, riducendo tempi e costi per cittadini e imprese. In particolare, obiettivo delle riforme è adottare misure volte a ridurre i tempi per la gestione delle procedure, con particolare riferimento a quelle che prevedono l’intervento di una pluralità di soggetti, quale presupposto essenziale per accelerare gli interventi cruciali nei settori chiave per cittadini e imprese, liberalizzare e semplificare, anche mediante l’eliminazione di adempimenti non necessari, reingegnerizzare e uniformare le procedure.

Su questo punto c’è poco da dire: è chiaro che è il sogno della semplificazione della burocrazia, ma come realizzarlo?

Riforma 2.3: competenze e carriere

Saranno adottate misure legislative puntuali volte a rimuovere alcuni impedimenti normativi all’apertura della mobilità dei dipendenti pubblici tra amministrazioni, nel rispetto delle esigenze delle amministrazioni, per favorire percorsi di carriera anche tra diverse amministrazioni. Questa misura è volta a rendere più attrattivi i ruoli non dirigenziali non solo per posizioni di ingresso, ma anche a metà carriera, nonché a offrire ai migliori funzionari prospettive di carriera alternative alla dirigenza. L’accesso dei funzionari nei ruoli dirigenziali avverrà con prove concorsuali capaci di tenere conto anche delle performance dimostrate e delle competenze maturate nei ruoli assunti. Infine, sarà rivisto il sistema degli incarichi dirigenziali, al fine di meglio ancorarlo ai fabbisogni organizzativi, assicurando flessibilità al sistema e una maggiore equità basata sui contributi effettivamente assicurati nei passati incarichi.

La mobilità può essere un buon aiuto per permettere percorsi di carriera a persone capaci che non trovino sbocco nel proprio ente. Fondamentale è anche permettere percorsi di carriera dentro il proprio ente, anche se nei comuni medio piccoli è complesso perché il massimo del ruolo è la PO, spesso in assenza dei dirigenti. Quindi c’è poco spazio di movimento, se non appunto mobilitarsi verso centri più grandi, in caso se ne abbiano le velleità.

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