Il 2021 appena cominciato sarà un anno chiave per la costruzione di una Pubblica Amministrazione più “semplice” e vicina al cittadino: l’innovazione digitale della PA è affrontata finalmente con un approccio pratico, che porterà risultati concreti e più immediati.
Per alzare l’asticella e far compiere alla PA il passo definitivo verso un modello più coerente e contemporaneo di digitalizzazione, bisognerebbe però uscire dalla logica “scadenza-adempimento” e puntare di più su investimenti, diffusione della cultura dell’innovazione e ricambio generazionale.
In questa direzione sembrano procedere gli ultimi interventi del legislatore e dell’Agenzia per l’Italia Digitale: ma la strada, sebbene sia stata tracciata, è ancora in parte da percorrere.
Innovazione digitale della PA: perché finora non ha funzionato
Il nuovo Millennio ha portato con sé una trasformazione repentina della società e dei costumi: l’avvento delle nuove tecnologie, le sfide della digitalizzazione e della data economy hanno reso sempre più centrale e veloce l’esperienza dell’utente e la relativa attenzione dei fornitori di servizi. Chi è riuscito a comprendere per primo il valore delle informazioni e ne ha sfruttato al massimo il vantaggio competitivo è oggi un colosso del “Big Tech”: i legislatori internazionali sono intervenuti con colpevole ritardo a regolamentare il settore.
E quando ciò è avvenuto, ad esempio, in Europa, con il Regolamento Europeo 679/2016, i paradigmi utente-centrici del “customer relationship management” si erano già consolidati attraverso le raccolte massive di informazioni, le analisi e i monitoraggi dei comportamenti, i modelli di patrimonializzazione dei dati.
Paradigmi che sono stati affrontati in maniera troppo marginale e poco coerente dalla Pubblica Amministrazione: il miglioramento dei rapporti tra erogatori e fruitori dei servizi, attraverso le semplificazioni e l’attenzione alle esperienze degli utenti e il contatto diretto attraverso i social, ha reso ancora evidente la distanza tra la PA, i cittadini e le imprese e ha amplificato l’“elefantiasi” dell’impianto burocratico e amministrativo statale.
Si è cercato di porre rimedio a questi aspetti critici attraverso interventi legislativi che non sempre hanno raggiunto risultati significativi per quattro principali ordini di motivi:
- il processo di trasformazione digitale non è stato accompagnato da incentivi e sanzioni efficaci;
- è stato privilegiato un approccio top-down che non ha tenuto sufficientemente conto delle molteplici differenze tra le amministrazioni;
- non è stato dato il giusto peso alla cooperazione tra i vari soggetti pubblici;
- non si è sufficientemente combattuta la resistenza all’innovazione delle parti che avrebbero dovuto promuoverla, con attività formative e di sensibilizzazione.
Alcuni momenti hanno costituito tappe fondamentali nel processo di digitalizzazione del Paese: l’approvazione del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ovvero del Codice dell’Amministrazione digitale; la fondazione nel 2012 dell’Agenzia per l’Italia digitale (AGID); la pubblicazione, a partire dal 2017, del “Piano Triennale dell’informatica”, ovvero del documento di indirizzo strategico-operativo di riferimento per le amministrazioni centrali e locali nello sviluppo dei propri sistemi informativi.
Ma il sogno di una PA connessa, innovativa ed integrata, più vicina ai cittadini e alle imprese, attenta alla valorizzazione e alla messa in sicurezza del proprio patrimonio di informazioni, non si è ancora realizzato.
Innovazione digitale della PA: cosa è successo nel 2020
Nel 2020, però, si è cominciata finalmente ad avvertire una spinta diversa proveniente dal legislatore, forse per una serie di concause: il contesto pandemico, i numerosi attacchi informatici subiti dalle PA, l’incessante attività di raccordo e di collante dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali. Ne è scaturita un’inversione di tendenza che ha rinunciato agli aspetti formali e poco coerenti fin qui attuati in favore di quelli sostanziali.
Nel giro di pochissimo tempo, infatti, si sono susseguiti: il dl 76/2020 (poi convertito in legge n.120/2020) “Decreto semplificazione e innovazione digitale”, che ha reso operativo “l’insieme di norme che ha il fine di ridisegnare la governance del digitale, accelerare la digitalizzazione dei servizi pubblici e semplificare i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione anche in ottica di diffusione della cultura dell’innovazione e superamento del divario digitale, con un’attenzione anche all’accesso agli strumenti informatici delle persone con disabilità” e la terza edizione del piano triennale dell’informatica (2020-2022). A questi, è possibile aggiungere i provvedimenti specifici inseriti nel decreto “Cura Italia” per aiutare la Pubblica Amministrazione a dotarsi di tecnologie innovative, agevolare il lavoro agile e la didattica a distanza.
Senza avere, per ragione di trattazione, pretesa di esaustività, cerchiamo, quindi, di analizzare alcuni punti chiave dei provvedimenti appena richiamati mettendo in evidenza le differenze con il passato.
Cosa prevede il “Decreto semplificazione e innovazione digitale” dal 2021
L’art. 24 del Dl 76/2020 obbliga tutte le Amministrazioni pubbliche entro il 28 febbraio del 2021 a consentire l’accesso ai propri servizi online esclusivamente mediante identificazione tramite SPID, CIE o CNS e vieta al contempo, il rilascio o il rinnovo di ogni altro tipo di credenziale per l’identificazione e l’accesso ai propri servizi (resta ferma soltanto la possibilità di utilizzare credenziali già rilasciate fino alla loro naturale scadenza e, comunque, non oltre il 30 settembre 2021).
Con la stessa scadenza temporale si obbligano tutte le Amministrazioni pubbliche ad avviare i progetti di trasformazione digitale necessari per rendere disponibili i propri servizi sull’App IO e a completare l’integrazione con la piattaforma PagoPA nei propri sistemi di incasso.
Le amministrazioni periferiche inoltre vengono coinvolte attivamente e sostenute attraverso:
- incentivi: a favore dei Comuni, in ragione della prossimità a cittadini e imprese, vengono attribuite risorse a sostegno degli investimenti attraverso l’istituzione del “Fondo per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione”;
- aiuto collaborativo: il team di esperti del Dipartimento per la Trasformazione Digitale e la società PagoPA Spa collaborano attivamente con qualunque Amministrazione lo richieda per fornire la soluzione, celere e specifica, di qualsivoglia difficoltà tecnica incontrata nell’integrazione delle piattaforme;
- formazione: viene pubblicata online una pagina che raccoglie tutto il materiale informativo disponibile, le risposte alle domande frequenti e i webinar realizzati a sostegno operativo della trasformazione digitale.
Le disposizioni appena richiamate cercano di ovviare alle inerzie delle amministrazioni periferiche attraverso una sequenza definita e scandita di passi per l’innovazione digitale della PA: gli sforzi sono coordinati con le logiche della standardizzazione, ovvero attraverso l’utilizzo di credenziali univoche di accesso a piattaforme già esistenti, e dei piccoli passi. Il presupposto di collaborazione è offerto più con gli incentivi che con le sanzioni.
Cosa prevede il nuovo Piano Triennale per l’Informatica nella PA 2020-2022
Il nuovo Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica amministrazione continua nel solco appena tracciato e rende ancora più evidente questo nuovo approccio all’innovazione digitale della PA.
Infatti, si pone in continuità con i precedenti piani (2017-2019 e 2019-2021) ma rivolge una maggiore attenzione alla realizzazione delle azioni previste e stabilisce attraverso una roadmap ben scandita quali siano le attività di competenza delle amministrazioni centrali e quali delle singole amministrazioni pubbliche e individua, inoltre, per la prima volta, target quantitativi misurabili su base annuale ed obiettivi incrementali da raggiungere nel triennio.
Inoltre, pone attenzione: allo sviluppo di servizi pubblici digitali accessibili, sicuri, che tutelino e siano a misura di ogni cittadino; alla valorizzazione del patrimonio informativo pubblico; all’interazione tra le PA per raggiungere gli obiettivi più facilmente e con costi minori.
Individua, poi, una serie di azioni per supportare le amministrazioni nel percorso di attuazione triennale, attraverso lo sviluppo delle competenze e delle risorse strumentali adeguate attraverso le cosiddette “leve per l’innovazione delle PA e dei territori”. Tutto passa dal coinvolgimento attivo delle amministrazioni e dei territori, incentivate a mettere in atto i Nodi Territoriali di Competenza (NTC).
Vengono anche previste azioni per consolidare il ruolo del Responsabile per la Transizione al Digitale (RTD) attraverso l’attivazione di: una piattaforma di community che faciliti il confronto e la diffusione delle best practice; percorsi formativi specifici; forme associate di nomina.
Nel piano 2020-2022 non resta in secondo piano nemmeno la diffusione delle competenze digitali sia con azioni mirate agli operatori della PA sia con progetti dedicati ai cittadini che dovranno usufruire dei servizi pubblici digitali.
Ampio spazio, infine, viene riconosciuto alle azioni di monitoraggio dei risultati conseguiti per ciascun obiettivo del Piano e per la rilevazione periodica delle spese ICT.
Cosa potrebbe andar storto nell’attuazione delle misure
Le iniziative poste in essere dallo Stato sembrano essere attuabili e piuttosto centrate sulle esigenze delle amministrazioni periferiche. Non è, però, tutto oro quel che luccica. Seppur con le migliori intenzioni di questo mondo, le misure previste non sono scevre da “effetti collaterali”.
Qualche esempio:
- La dialettica scadenza-adempimento, su Enti già oberati di adempimenti e scadenze, potrebbe favorire più che scongiurare il formalismo degli interventi;
- Le community non moderate, le attività formative a distanza e i webinar potrebbero rivelarsi non efficaci se non accompagnati dai giusti momenti di verifica e controllo;
- Le risorse messe a disposizione delle amministrazioni risultano essere fin troppo scarse, soprattutto se paragonate ai budget messi in campo da aziende private di pari dimensione per infrastrutture, competenze e tecnologie.
Ulteriore limite, infine, potrebbe rivelarsi il meccanismo di nomina del soggetto chiamato a dirigere la trasformazione: il Responsabile per la Transizione al Digitale.
Saper governare l’innovazione, infatti, richiede tempo e risorse non sempre disponibili, oltre che competenze elevate, effettive e non potenziali (come invece suggerirebbero i percorsi formativi ad hoc pensati per gli RTD).
Limitare, quindi, la scelta solo a soggetti interni dell’Amministrazione, (pur tenendo in debito conto i correttivi dedicati agli enti di piccole dimensioni – RTD di gruppo), non risulta sempre essere coerente.
Ad ogni modo, salutiamo per il momento con favore questo nuovo approccio ben consapevoli che solo il tempo potrà dimostrarne l’efficacia. Nel frattempo…alla prossima scadenza!