La mozione

Un “Desi” italiano per misurare le politiche digitali del Governo, la proposta PD-M5S

Analizzare l’andamento dello sviluppo digitale del Paese e valutare gli impatti delle politiche attuate dal Governo tramite un indice DESI italiano da inserire nel DEF. Questa la proposta PD-M5S. Ecco perché: serve misurare bene i progressi per cambiare l’Italia

Pubblicato il 09 Nov 2020

Enza Bruno Bossio

deputato, Partito Democratico

Skills

L’attuale pandemia di Covid-19 ha dimostrato quanto le risorse digitali siano diventate importanti per le nostre economie e come le reti e la connettività, i dati, l’intelligenza artificiale e il super calcolo, come pure le competenze digitali di base e avanzate, sostengano lo sviluppo, rendendo possibile la prosecuzione del lavoro, monitorando la diffusione del virus e accelerando la ricerca di farmaci e vaccini.

Ma oggi dobbiamo passare dalle parole ai fatti, utilizzando meglio di come abbiamo fatto finora, già in questa fase, algoritmi, big data, intelligenza artificiale, per analisi predittive su andamento epidemiologico, realizzando e monitorando quell’ecosistema digitale in cui deve essere inserita l’Italia e l’Europa.

La mozione proposta da M5S e PD: un “Desi” italiano nel DEF

Considero, pertanto, come primo passo essenziale, l’obiettivo che vuole raggiungere la mozione proposta dal collega Niccolò Invidia del Movimento 5 stelle e sottoscritta anche da me e da tutti i gruppi della maggioranza, affinché siano adottate iniziative normative che prevedano, a decorrere dall’anno 2021, nel Documento di economia e finanza, e in coerenza con il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza, l’andamento dell’indice DESI “al fine di analizzare l’andamento recente dello sviluppo tecnologico e digitale del Paese e valutare gli impatti delle politiche attuate dal Governo”.

“Immaginate per un attimo come sarebbe la nostra vita durante questa pandemia se non avessimo il digitale. Dalla quarantena, che trascorreremmo isolati dalla famiglia e dalla comunità e tagliati fuori dal mondo del lavoro, ai gravi problemi di approvvigionamento. Del resto, come ben sappiamo, così fu cento anni fa per chi si trovò ad affrontare l’ultima grande pandemia. Un secolo dopo, la tecnologia moderna è giunta a consentire ai giovani di apprendere a distanza e a milioni di persone di lavorare da casa, alle aziende di vendere i loro prodotti, alle fabbriche di continuare a funzionare e alla pubblica amministrazione di fornire a distanza servizi pubblici essenziali. Abbiamo visto svolgersi nell’arco di poche settimane un processo di innovazione e trasformazione digitale”. Ursula von der Layen dal discorso sullo stato dell’Unione 2020 il 16 settembre.

Gli strumenti messi in campo dal Governo per affrontare la crisi

Perché serva questo passaggio è, o dovrebbe essere, sotto gli occhi di tutti.

La grave situazione di emergenza sanitaria che si è abbattuta sull’Italia ha rivoluzionato, in poco tempo, i ritmi di vita e di lavoro di tutti gli italiani.

E ha evidenziato quanto siamo capaci di adattarci velocemente ai cambiamenti, sfruttando la tecnologia in modo attivo e non passivo. Questo passaggio mostra un forte cambio culturale, quello necessario per intraprendere il percorso di digitalizzazione.

Nella crisi ci siamo trasformati, abbiamo appreso nuove skill digitali, ci siamo evoluti e se il virus ci ha chiuso nelle nostre case, la tecnologia ci ha aperto verso nuove frontiere. Verso un nuovo modo di lavorare e di vivere.

Il Governo ha investito in questi mesi più di 100 miliardi, il Parlamento ha approvato in questi giorni la relazione della Commissione Bilancio che individua le priorità su l’utilizzo dei fondi del Recovery Fund e la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2020.

Dunque, oggi, abbiamo tutti gli strumenti per affrontare la sfida che ci ha lanciato l’Europa, ma dobbiamo essere in grado di misurare l’impatto di questi interventi dal punto di vista del livello di digitalizzazione e innovazione.

Se dobbiamo fare dei prossimi dieci anni il decennio digitale europeo, ogni euro investito dei prossimi finanziamenti nazionali ed europei deve essere misurabile nel percorso della transizione al digitale.

Il digitale tema trasversale del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza

Non a caso nella relazione della Commissione trasporti e telecomunicazioni, ripresa integralmente dalla Commissione Bilancio, relativamente ai rilievi sul Piano nazionale per la ripresa e la resilienza, abbiamo dato una indicazione molto netta: se vogliamo vincere la sfida di questi prossimi mesi, di questi prossimi anni, il digitale non può essere una questione settoriale, verticale, non può riguardare solo la missione 1 del PNRR né si può valutare la percentuale degli investimenti sia essa il 20% (o anche il 30 o il 40), ma deve diventare un “tema trasversale che riguarda, sia pure in modo differenziato ma senza eccezione, tutte le sei missioni di intervento previste nel PNRR”.

D’altra parte, per ottenere l’impatto strategico desiderato della digitalizzazione sulla società e sull’economia occorre estendere, per quanto possibile, l’impatto della trasformazione digitale oltre i confini dei singoli segmenti.

Già nella scorsa legislatura avvertimmo l’esigenza di fare questa verifica di impatto, istituendo la commissione d’inchiesta sul livello di digitalizzazione nella PA italiana, considerando che pure se l’Italia avesse speso dal 2007 al 2017 circa 5 miliardi l’anno, i risultati non sono stati adeguati al livello di questo investimento, se è vero quello che emergeva dal DESI (2016) che ci vedeva al venticinquesimo posto su 28 della Comunità europea. E già allora ci chiedevamo:” Come disegnare un percorso virtuoso che porti l’Italia almeno tra i primi dieci paesi nella classifica europea?”

L’impatto del digitale su economia e società

Il problema centrale del’Italia è sempre stato, dunque, quello di modificare in senso digitale i modelli organizzativi e i modelli di business.

Se non acquisiamo questa consapevolezza, non saremo mai in grado di superare quel drammatico eterno venticinquesimo posto in cui ci inchioda ora come allora l’indice DESI (Digital economy and society index) anche nel 2020. In particolare, negli indicatori del 2020 (che però analizzano i dati del 2019, cioè pre-covid), l’Italia risulta addirittura ancora una volta ultima soprattutto nel settore delle competenze digitali e del capitale umano.

La relazione della Commissione bilancio

Nella relazione della Commissione Bilancio abbiamo con forza messo in evidenza la strategicità dello sviluppo delle reti di telecomunicazioni che devono consentire una digitalizzazione pervasiva, ubiqua e inclusiva: dalla didattica a distanza, alla telemedicina, dalla spinta all’innovazione del tessuto imprenditoriale, fino alla coesione del tessuto sociale.

Ma diventa essenziale, al fine della piena attuazione del progetto strategico di Next Generation EU, una visione complessiva di trasformazione smart, incentrata sul digitale, sulle reti, sull’innovazione tecnologica. Gli elementi abilitanti di questa vision sono certamente le tecnologie di trasporto delle informazioni fra cui la banda ultralarga sia fissa che mobile, lo sviluppo degli accessi in fibra ottica e il 5G. Ma da soli non possono bastare: la qualità dello sviluppo dipende altrettanto da innovazioni come l’intelligenza artificiale, l’edge computing, il cloud di prossimità.

Per questo riteniamo essenziale che il PNRR si concentri sull’infrastruttura immateriale dei processi di digitalizzazione, intendendosi con questa innanzitutto lo sviluppo delle competenze e delle capacità digitali.

Si tratta di un prerequisito fondativo per mettere in atto piani di trasformazione digitale della società e dell’economia. Le competenze digitali non possono essere solo patrimonio degli specialisti, ma devono diventare patrimonio comune di tutti i cittadini, senza distinzioni di età, sesso e provenienza.

Non saranno i robot a rubarci il lavoro, ma la scarsa qualità della nostra formazione!

Il nodo delle competenze digitali

Attualmente l’Italia è intrappolata in un low-skills equilibrium, un basso livello di competenze generalizzato: una situazione in cui la scarsa offerta di competenze è accompagnata da una debole domanda da parte delle imprese”. Questo genera “un circolo vizioso”: una situazione in cui la scarsa offerta di competenze è accompagnata da una debole domanda.

Condivido pertanto l’opinione espressa dal ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi in occasione della presentazione del ‘Rapporto sulla Ricerca e Innovazione Ict’ organizzato da Anitec-Assinform. Ci troviamo davanti a una situazione molto difficile, ma la pandemia ha accelerato il processo di transizione digitale” che si pensava avrebbe preso “molti anni” e invece “non è più tempo di aspettare”.

Secondo il ministro, è importante arrivare a una “strategia condivisa” con mondo della ricerca, dell’innovazioni e delle imprese puntando sulle competenze. Dobbiamo fare in modo – ha aggiunto – che chiunque nella nostra società abbia competenze digitali, anche la popolazione adulta” grazie a “formazione continua e upskilling”.

L’approvazione del futuro quadro finanziario pluriennale e il programma Next Generation EU riconoscono dunque l’ampiezza della sfida davanti a noi e ne indicano l’orizzonte: l’importanza di prendere le decisioni di oggi attraverso gli occhi della prossima generazione.

Del resto, non possiamo consentire che la prossima generazione di italiani e di europei sia una “generazione lockdown” e non possiamo che vivere con allarme i dati dell’ISTAT che segnalano una disoccupazione giovanile in crescita al 31% in Italia.

Conclusioni

Le prossime riforme devono garantire opportunità per giovani e giovanissimi nei campi dell’istruzione, della sanità, dell’alimentazione, lavoro e alloggio. Politiche, insomma, che colmino il gap generazionale anche grazie al trasversale contributo dei movimenti internazionali in favore della transizione verde e digitale.

Abbiamo la responsabilità morale e materiale di assicurare ai giovani una formazione adeguata alle sfide che li attendono, di offrire loro gli strumenti per poter costruire una società nella quale il digitale rappresenti un luogo favorevole allo sviluppo integrale della persona e di tutte le sue facoltà.

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