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PA, la vera transizione è culturale: sfide e obiettivi per il successo del PNRR

La vera scommessa del PNRR sarà fare in modo che le risorse introdotte possano far decollare una vera transizione culturale per poter disegnare una nuova PA, capace di superare le inefficienze pregresse, di innovare e di reagire alle future trasformazioni e che sappia fornire ai cittadini e alle imprese servizi migliori

Pubblicato il 09 Dic 2021

Michele Gentili

Responsabile progetti di migrazione documentale – Medas Solutions ICT e Digital transformation – Fatto24

servizi pubblici digitali

Il PNRR apre una nuova fase e punta diritto su due transizioni fondamentali: quella digitale e quella ecologica. Risulta evidente che non sarà possibile arrivarci solo attraverso l’investimento di risorse economiche, in gran parte provenienti dal Piano, ma scommettendo anche sull’ammodernamento e la sburocratizzazione della Pubblica Amministrazione e soprattutto su una vera e propria rivoluzione culturale, partendo dagli enti più piccoli fino alle posizioni apicali.

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Primo step: investire nelle competenze

Se da un lato sono sicure le disponibilità economiche per gli investimenti, derivanti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza PNRR, dall’altro infatti non c’è assolutamente certezza che sia possibile spendere efficacemente queste risorse e soprattutto che tutti gli attori coinvolti riescano ad attingere alle fonti di finanziamento.

Ricordiamo che i soggetti destinatari sono molto diversi tra loro e con un livello di preparazione e predisposizione verso la presentazione di progetti anche molto diverso tra loro: PA centrali, PA locali (dalle Regioni fino ai piccoli comuni, gli enti partecipati, etc.), le imprese e i cittadini.

Di sicuro è necessario fin da subito, per colmare il gap digitale e competitivo rispetto al resto dell’Europa, revisionare i processi della pubblica amministrazione a tutti i livelli, ma soprattutto investire fortemente nelle competenze.

Oltre il 25% delle risorse del PNRR riguarda il tema della transizione digitale, che interessa trasversalmente tutte le sei missioni del piano, a cominciare proprio dalla prima, che, non a caso, è denominata “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”.

La transizione culturale, prima di tutto

La vera scommessa sarà fare in modo che le risorse introdotte, possano far decollare quello che deve essere soprattutto una transizione culturale, perché in un’epoca in cui le tecnologie sono il mezzo, a fare davvero la differenza sarà la possibilità di avere professionisti e dipendenti delle PA in grado di farle rendere al meglio delle loro potenzialità. Questo porterà ad avere anche dei cittadini migliori, più informati, più capaci nel saper usare le tecnologie, più disponibili all’utilizzo di servizi delle PA semplici e fruibili. Il mercato, in fatto di tecnologia, offre già tutte le soluzioni che possono servire, il problema è saperle selezionare dopo che sono stati individuati i veri obiettivi che si vogliono raggiungere.

Da qui va subito capito come investire in modo proficuo sulla formazione, che coinvolgerà in primis proprio le strutture burocratiche erogatrici dei finanziamenti, chiamate ad assumere un atteggiamento più “agile” rispetto alle abitudini consolidate. Questo si traduce in una Pubblica amministrazione più “vicina” ai cittadini; quindi, in grado di ridurre la richiesta di documentazione e soprattutto azzerare la necessità di recarsi agli sportelli per produrla o sottoscriverla, mettendo in relazione gli enti centrali e locali non permettendo che vengano richieste informazioni che la PA, a qualsiasi livello, ha già. Per far questo servirà un rafforzamento delle competenze digitali del personale, ma soprattutto dei dirigenti per fare in modo che ci sia una uniformità di azione tra i vari enti a tutti i livelli.

Tutti i più recenti studi economici sull’Italia, certificano che accrescere l’efficacia e l’efficienza del settore pubblico è necessità impellente per rilanciare gli investimenti e la produttività e per migliorare l’accesso di cittadini ed imprese ai servizi pubblici, soprattutto da parte dei soggetti più vulnerabili.

Questa prima missione, dunque, punta a ridurre i divari digitali strutturali del paese, destinando più della metà dei quasi 50 miliardi di euro, per l’innovazione e la competitività del sistema produttivo. Il resto sarà destinato tra digitalizzazione e sicurezza nella PA, turismo e cultura in ottica 4.0. Tra le altre cose proprio il Piano transizione digitale eredita alcune misure del Piano industria 4.0 e le rafforza. Ad esempio, l’iper-ammortamento viene sostituito da crediti d’imposta di entità variabile a seconda degli investimenti compensabili con altri debiti fiscali e contributivi.

Il PNRR per gli enti locali

Un ruolo chiave per un utilizzo efficiente dei fondi sarà interpretato dagli enti locali più piccoli.

Ricordiamo che i comuni italiani sopra i 50.000 abitanti sono attualmente 140 su un totale di poco meno di 8 mila. Vale a dire che oltre il 98% dei comuni è di dimensioni medio piccole e con capacità di reperire le risorse umane necessarie alla gestione di progetti di digitalizzazione tutt’altro che scontate.

Gli interventi per incentivare la digitalizzazione degli enti locali (Regioni Province, Comuni, enti sanitari) saranno incentrati su:

  • rafforzamento delle competenze digitali
  • rafforzamento delle infrastrutture digitali
  • facilitazione alla migrazione al cloud
  • ampliamento dell’offerta di servizi ai cittadini in modalità digitale
  • la riforma dei processi di acquisto di servizi ICT
  • valorizzazione di siti storici e culturali, migliorando la capacità attrattiva, la sicurezza e l’accessibilità dei luoghi (sia dei ‘grandi attrattori’ sia dei siti minori).

Le risorse totali a destinazione esclusiva per Regioni, Province e Comuni saranno di 14,1 mld di cui 11 mld da PNRR e 3,1 mld da Fondo Complementare

Se il piano degli interventi a livello nazionale avrà una governance definita, strutturata e centralizzata, la parte del piano che prevede gli investimenti a beneficio delle amministrazioni locali, desta sicuramente molte preoccupazioni, per una certamente non semplice governabilità dei processi di attribuzione delle risorse.

La metodologia di attribuzione dei fondi

La metodologia di attribuzione dei fondi dovrebbe prevedere tre distinte call, dedicate a comuni, scuole e strutture sanitarie territoriali e saranno assicurati “pacchetti” completi che includono sia le necessarie risorse sulle competenze tecniche, sia quelle puramente finanziarie.

I pacchetti serviranno per supportare il trasferimento di banche dati e applicazioni dalle cabine di regia verso gli enti locali. Le PA locali saranno libere di scegliere, all’interno di una lista pre-approvata, a quale provider certificato rivolgersi, avendo a disposizione una specie di voucher a copertura dei costi di migrazione “end-to-end”, nei quali saranno inclusi anche lo sviluppo del piano, l’esecuzione e la validazione delle applicazioni. Sarà anche sviluppato il tema dell’interoperabilità dei dati, che è di fondamentale importanza anche in ottica futura, ricorrendo al principio “once only”, per consentire che le informazioni fornite dai cittadini, ad una qualsiasi PA, siano a disposizione per tutte le altre PA. Proprio per il raggiungimento di questo fine, sarà predisposta una “Piattaforma Nazionale Dati”, che offrirà un catalogo di “connettori automatici” (“API” – Application Programming Interface) consultabili e accessibili tramite un servizio dedicato. Questo proprio al fine di permettere al cittadino di fornire una determinata categoria di dati che lo riguardano, una sola volta e fare in modo che le altre amministrazioni vi possano accedere senza doverli richiedere nuovamente. Un’iniziativa che coinvolgerà una vasta platea di circa 12.000 amministrazioni centrali e locali, tra cui Regioni, Comuni, province e città metropolitane, università e altri enti pubblici. Per questo specifico intervento sono destinati circa 0.65 miliardi.

L’evoluzione verso la cittadinanza digitale poi, passa dall’intervento per il miglioramento della qualità e della fruibilità dei servizi da parte dei cittadini, mediante il rafforzamento delle piattaforme digitali nazionali già in essere, in primis “PagoPA”, l’app “IO” e il sistema di identità digitale (SPID e CIE), nonché con l’introduzione di nuovi servizi (piattaforma unica degli avvisi pubblici digitali) o sperimentazioni molto importanti e che hanno risvolti anche sulla transizione ecologica, tra cui la “Mobility as a Service”, che prevede integrazione di più mezzi di trasporto (e-bike, autobus, car-sharing) attraverso piattaforme di intermediazione, su cui ci saranno investimenti specifici per circa 2 mld di euro.

Proprio l’App IO, che in epoca Covid abbiamo imparato a conoscere, rappresenta un’opportunità per tutte le Pubbliche Amministrazioni di interagire con i cittadini in maniera più efficace, grazie a uno strumento in grado di offrire servizi in modo sicuro, con il sistema di autenticazione basato su SPID o Carta d’identità elettronica (CIE) proponendo un’esperienza semplice e intuitiva, allineata con la qualità offerta da altre app con cui le persone sono già abituate ad interagire (come ad esempio quelle per i trasporti e la mobilità urbana o per i pagamenti via smartphone). Molti Enti hanno già aderito alla piattaforma ma ancora sono relativamente pochi (o poco utilizzati) i servizi disponibili.

Qui un elenco degli enti attivi sulla piattaforma e l’elenco dei servizi disponibili per singolo ente.

Puntare fin da subito ad aumentare le competenze

Non da ultimo, anzi forse è necessario partire proprio da qui, il piano prevede interventi per le competenze digitali di base, in particolare a favore delle fasce di popolazione a maggior rischio di digital divide. Si farà ricorso al “servizio civile digitale”, con una rete di giovani volontari per fornire formazione alle persone a rischio di esclusione digitale.

Questo servizio ha l’obiettivo di far crescere le competenze digitali della popolazione e favorire l’uso dei servizi pubblici online per diffondere un approccio consapevole alla platea attuale (o potenziale) dei servizi digitali. Sono ad ora 1.000 gli operatori volontari che verranno formati e opereranno con il ruolo di “facilitatori digitali” nell’ambito dei progetti, presentati dagli Enti di Servizio Civile Universale, agendo sul territorio e negli spazi organizzati per assistere i cittadini che hanno bisogno di supporto nell’utilizzo delle tecnologie. Al termine del servizio, potranno veder riconosciute le competenze digitali acquisite, tramite una specifica certificazione.

Saranno 2.400 i nuovi centri di facilitazione digitale, punti di accesso fisici dove i cittadini potranno accedere a corsi sulle competenze digitali. Di questi circa 1.200 saranno nel Sud Italia (0,20mld/€). Nel complesso, un insieme di riforme e di investimenti che tracciano un percorso globale che, almeno nelle intenzioni, dovrà condurre, da qui al 2026, alla piena digitalizzazione della pubblica amministrazione e al conseguente rafforzamento dell’intera filiera di relazioni digitali tra enti, imprese e cittadini.

L’investimento sul “capitale umano” delle PA, passa da un adeguamento delle conoscenze e delle capacità organizzative per soddisfare le nuove esigenze di un’amministrazione moderna, proponendosi degli obiettivi sfidanti fin da subito, come il miglioramento della coerenza tra competenze e percorsi di carriera, l’attivazione dei percorsi formativi, individuati in base alle effettive esigenze dell’amministrazione, differenziati per target di riferimento, altamente qualificati e certificati all’interno di un sistema di accreditamento, un incremento della cultura “tecnico gestionale” degli amministratori, con misure volte a stimolare l’adozione di un approccio consapevole e proattivo alla transizione digitale.

Gli investimenti dedicati al raggiungimento di tali obiettivi, che saranno pari a 0,49 miliardi di euro, dunque, agiscono su diverse azioni complementari e sinergiche.

Con riguardo ai tempi di attuazione, le misure relative alla riforma sul rafforzamento delle competenze del personale, nonché al loro reclutamento, saranno prese già entro il 2021. Già con il DL 80/2021, sono state previste, fino al 31 dicembre 2026, 268 unità di esperti al fine di attuare gli interventi di digitalizzazione nella pubblica amministrazione. Inoltre, lo sviluppo della pianificazione strategica dei fabbisogni per le principali amministrazioni è previsto entro la fine del 2023, mentre la riforma dell’offerta formativa e le azioni a supporto delle medie amministrazioni saranno implementati per tutta la durata del programma fino al 2026.

Conclusioni

La reingegnerizzazione dei processi organizzativi e la tecnologia unita alla competenze delle persone che possano “pilotarla”, dovrà produrre un unico asset, a disposizione del Paese, che possiamo definire come: “gestione del cambiamento”.

Affiancare alla tecnologia dei servizi digitali, delle infrastrutture cloud e dell’interoperabilità delle banche dati, le competenze delle persone e la reingegnerizzazione dei processi organizzativi sarà indubbiamente la chiave del successo. Tutto questo senza mai perdere di vista gli obiettivi fondamentali di questa sfida: poter disegnare una nuova Pubblica Amministrazione, capace di superare le inefficienze pregresse, di innovare e di reagire alle future trasformazioni e che sappia fornire ai cittadini e alle imprese servizi migliori.

Questo è quello che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ci dovrà consentire, da un lato perseguendo la semplificazione delle procedure amministrative, con la cancellazione dei colli di bottiglia che potrebbero rallentare l’attuazione dei progetti e dall’altro l’investimento sul capitale umano, con le nuove modalità di reclutamento, le carriere, la formazione dei dipendenti pubblici.

Tutto questo è un dovere fondamentale per rafforzare e incoraggiare le competenze perché grazie al digitale possiamo costruire una società più moderna e inclusiva e questo non perché “è l’Europa che ce lo chiede”, ma perché è necessario farlo e dobbiamo essere consapevoli che ne va della sopravvivenza di famiglie e imprese.

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