l'analisi

La crisi delle telco, le carenze della politica hanno fatto danni: ecco come rimediare

“Asimmetria” potrebbe essere la prima parola-chiave per guidare i policy maker alla ricerca di soluzioni e nuovi assetti per il mercato delle telecomunicazioni, gravato da una crisi generata da diversi fattori, uno su tutti l’avvento di prodotti sostitutivi fortemente concorrenziali. Il punto

Pubblicato il 23 Gen 2023

Roberto Basso

External Affairs & Sustainability Director, WINDTRE

comunicazioni elettroniche

L’industria delle telecomunicazioni non se la passa bene. Negli ultimi anni le istituzioni e la politica non sono sembrate sensibili alle linee di tendenza già chiare che avrebbero condotto alla situazione attuale. Complice la breve durata degli esecutivi (tra 2013 e 2022, prima dell’attuale, ben 6 per una durata media pari a 21 mesi), i politici che via via assumono responsabilità di governo hanno a che fare con emergenze sempre nuove e non affrontano nodi con implicazioni che vanno oltre l’orizzonte temporale cui possono fare riferimento.

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Il risultato è che spesso nel confronto con la politica ci si trova davanti a una percezione errata del settore, basata sui fondamentali di vent’anni fa: un’industria ricca, con ampi margini. Diversamente da oggi. Nel 2021 la differenza tra margine lordo e investimenti ha registrato appena 1,1 miliardi di lire (in discesa dagli 11 miliardi di dieci anni fa) ed è presumibile che nel corso del 2022 il cash flow del settore in Italia sia stato negativo (complice l’impennata del prezzo dell’energia e l’ultima rata delle esose licenze 5G).

Le cause dello stato di insostenibilità delle telecomunicazioni in Italia

Nel dibattito sulle cause dello stato di insostenibilità delle telecomunicazioni si sente spesso ripetere che la colpa è della guerra dei prezzi scatenata dagli operatori stessi. Certamente la competizione serrata sui prezzi è un fatto. Anzi, uno dei fattori determinanti il calo dei ricavi netti della filiera, passati da 33,2 miliardi di euro nel 2008 a 25,1 nel 2021 (lo ricordiamo per chi non avesse consultato l’edizione 2022 del Rapporto sulla filiera delle Telecomunicazioni in Italia realizzato dal Politecnico di Milano per conto di Asstel e delle organizzazioni sindacali di settore). Tuttavia, non è l’unico fattore: il mercato dei servizi ha registrato l’avvento di prodotti sostitutivi fortemente concorrenziali (per usare un eufemismo, dato che si tratta di servizi gratuiti, erogati in cambio di informazioni dell’utente), come la messaggistica istantanea che ha rimpiazzato gli SMS e le chiamate VoIP che hanno soppiantato la comunicazione vocale a commutazione di circuito. Ma soffermiamoci sulla “guerra dei prezzi”, ponendoci una domanda: causa prima o conseguenza di altri fenomeni?

Il dogma dei quattro operatori strutturati in ciascun mercato

Se riconosciamo che l’aggressività degli attori di un mercato dipende dalla densità sul lato dell’offerta (il numero di operatori in rapporto alle dimensioni del mercato, cioè il numero di clienti), allora nelle telecomunicazioni la guerra dei prezzi non può non essere la conseguenza di un affollamento eccessivo. Nel 2017, Wind e Tre hanno deciso di fondersi perché ritenevano che in Italia non ci fosse spazio per quattro operatori strutturati. Tuttavia, la Commissione europea ha subordinato l’approvazione della fusione all’ingresso di un nuovo operatore (Iliad), in ossequio a un principio che appare inscalfibile e continua a informare gli orientamenti dell’esecutivo europeo: il dogma dei quattro operatori strutturati in ciascun mercato come condizione ideale dell’assetto competitivo. Dopo la Brexit, il regolatore britannico Ofcom sembra aver adottato un approccio diverso, orientato a un’analisi “caso per caso”. Uno stimolo per la DG Comp e la vice presidente Margrethe Vestager a ripensare il proprio approccio. Nel frattempo, un quinto operatore ha avuto accesso allo spettro (Fastweb).

Come se non bastasse, il lato dell’offerta è andato affollandosi di operatori virtuali che svolgono in altri settori la propria attività economica principale e, pertanto, fanno dell’offerta di connettività uno strumento di fidelizzazione della clientela, accontentandosi di margini molto risicati e quindi praticando tariffe particolarmente basse. La stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ne prende atto, segnalando il peso di Poste Italiane come operatore distinto dal segmento MVNO (nel quale c’è anche un’insegna molto popolare della GDO quale Coop). Una situazione peculiare, dato che Poste Italiane detiene una posizione dominante nella distribuzione di servizi, dall’alto dei suoi 14mila uffici diffusi sul territorio nazionale, oggi inaccessibili agli altri operatori. Inaccessibili perché una legge dello Stato sospende la disciplina sulla concorrenza (DL 59/2021) per impedire esplicitamente che altri attori possano accedere alla rete di un’azienda che lo Stato controlla.

Lo stato dell’arte sul fronte della domanda

Lato dell’offerta affollato e “denso”, dunque. E la domanda? Ha avviato un processo di razionalizzazione, con una continua riduzione del numero di SIM attive. Questo processo può essere attribuito presumibilmente sia alla riduzione generalizzata delle tariffe – che riduce l’incentivo per gli utenti a cercare soluzioni sofisticate per ottimizzare la spesa attraverso SIM “dedicate” a funzioni specifiche, come il traffico dati, voce ecc. – sia alla semplificazione dell’offerta (in Italia le offerte degli operatori sono meno articolate rispetto ad altri mercati, a causa della propensione a proporre pacchetti flat, comprensivi di voce e traffico illimitati). In un mercato stabile per numero di utenti e in contrazione per numero di SIM, la dinamica largamente prevalente è quella della sostituzione. In assenza di nuovi spazi, gli operatori si contendono i clienti a colpi di offerte, aumentando l’allowance o diminuendo le tariffe. Spesso, usando entrambe le leve contemporaneamente.

Le conseguenze della mancanza di un’adeguata politica industriale

Come sottolineato in esordio, la politica ha ignorato queste linee di tendenza. In mancanza di una politica industriale volta a creare incentivi razionali a comportamenti funzionali per lo sviluppo del sistema Paese, il mercato ha assunto una forma determinata dalle spinte deflattive. In questo quadro, il regolatore ha dato esecuzione efficace al proprio mandato iniziale, che fin dall’esordio ha coinciso con l’obiettivo di una significativa riduzione dei prezzi. Dati alla mano, osserviamo che nel confronto con le altre utility in Italia, quello delle telecomunicazioni è l’unico settore che ha visto i prezzi calare drasticamente, mentre negli altri crescevano in modo continuo; nel confronto internazionale, il mercato italiano ha registrato il calo più marcato (secondo dati AGCOM, la riduzione è stata del 33,3 percento tra dicembre 2011 e dicembre 2021). Prezzi bassi? Obiettivo raggiunto, senza ombra di dubbio.

Ancora una volta dobbiamo rimarcare l’assenza di una politica industriale capace di affrontare le linee di tendenza in atto. Infatti, mentre in termini di concorrenza statica (riduzione delle tariffe a beneficio del consumatore) il risultato conseguito può essere considerato più che soddisfacente, in termini di concorrenza dinamica non si può dire altrettanto. Una logica di concorrenza dinamica assume che l’equilibrio da raggiungere debba garantire lo sviluppo futuro del settore, e quindi una marginalità sufficiente a sostenere un ritmo di investimenti adeguato al ciclo di innovazione caratteristico delle tecnologie impiegate. In questo modo si salvaguarda anche l’interesse dei consumatori – che oltre ad avere prezzi ragionevoli nel presente continueranno a godere di servizi di buona qualità in futuro – e delle imprese degli altri settori, le quali esprimono una domanda di servizi abilitanti grazie ai quali incrementare la produttività e conservare un grado di competitività elevato sui mercati globali (particolarmente importante per le imprese manifatturiere italiane, dato che l’Italia è il quinto paese al mondo per esportazioni).

L’asimmetria regolatoria tra le imprese di telecomunicazioni e gli OTT

Il quadro non sarebbe completo se non prendessimo in considerazione le dinamiche di competizione con altri comparti e con prodotti sostitutivi. Ne abbiamo accennato in apertura: servizi basati sulla commutazione a pacchetto come la messaggistica istantanea e la trasmissione VoIP hanno sostituito servizi offerti dalle imprese di telecomunicazione. A ben vedere, l’impatto di queste tecnologie è molto più radicale: hanno mutato strutturalmente il ruolo delle telco da aziende di “telefonia” a fornitori di accesso a Internet. Questo mutamento è stato sottovalutato dai policy maker, che avrebbero potuto accompagnarlo con modifiche dell’impianto regolatorio, orientando così le autorità verso l’aggiornamento degli obiettivi di lungo periodo, alla luce del ruolo degli over-the-top e degli hyperscaler.

L’asimmetria regolatoria tra le imprese di telecomunicazioni e gli OTT è ben rappresentata nella tabella che segue (da M.T. Bilbil, Methodology for the Regulation of Over-The-Top (OTT) Services: The Need of a Multi-Dimensional Perspective. International Journal of Economics and Financial Issues, 8(1):101-10). Il Digital Markets Act dell’Unione europea è un primo passo per affrontare la situazione ma ben lungi dall’essere sufficiente per riequilibrare lo strapotere delle grandi piattaforme.

“Asimmetria” potrebbe dunque essere la prima parola-chiave per guidare i policy maker alla ricerca di soluzioni e nuovi assetti. L’asimmetria si rinviene, come abbiamo appena visto, tra telco e OTT. Si ritrova tra costi in continua crescita per cause esogene, da un lato, e ricavi in continuo calo per cause endogene ed esogene, dall’altro. Tra utility diverse (con tariffe in aumento per tutte tranne che per le telecomunicazioni). E tra servizi diversi. Il confronto tra i servizi finanziari e quelli di telecomunicazioni è impietoso: in entrambi i casi è prevista la “portabilità” dei servizi tra fornitori. Tuttavia, mentre è possibile cambiare operatore di telecomunicazioni “portando” con sé il proprio numero, nel caso di cambio del conto corrente l’IBAN (l’equivalente identificativo del cliente, che ne determina la continuità nelle relazioni con terzi) cambia – comportando una serie di disagi (la comunicazione al datore di lavoro per la domiciliazione dello stipendio, ai fornitori per la domiciliazione delle fatture, alla società emittente della carta di credito ecc.) che fungono da dissuasori.

Conclusioni

Legislatore e regolatore dovrebbero cominciare ad affrontare queste asimmetrie seguendo un principio di analisi sistemica dei diversi fattori. Per fare un esempio: la portabilità del numero è una garanzia di elasticità per il cliente, certamente da preservare, ma combinata con la densità dell’offerta e la facilità di sostituzione in 24 ore produce un effetto frullatore, per cui il numero di clienti che cambia vorticosamente operatore è talmente alto da non avere paragoni in altri settori. Con conseguenze negative anche rispetto al rischio di frodi a danno dell’utente – rischio che ha indotto un recente intervento del regolatore a tutela dei consumatori. Interventi estemporanei del legislatore, apparentemente di scarsa rilevanza, si combinano con altri fattori determinanti. Pensiamo al CUP, il canone unico patrimoniale, che impone un importo minimo per i piccoli comuni, con l’effetto di dissuadere gli operatori dal portare il servizio di connettività laddove non sia possibile attivare centinaia di clienti (aggravando così il digital divide).

O l’imposizione di tempi stretti per l’intervento sugli IP che diffondono contenuti piratati, per i quali gli operatori dovrebbero mettere in piedi strutture dedicate, operative 24h su 24, 365 giorni all’anno, con costi che si calcolano in milioni di euro.

Ecco, visione sistemica e asimmetrie. Le due parole guida per un anno di lavoro proficuo negli interessi del Paese.

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