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Digital Services Act, le risoluzioni dal Parlamento europeo e il loro impatto

Dal Parlamento europeo tre risoluzioni, approvate il 20 ottobre, con cui si riconosce la necessità del Digital Services Act, si invita la Commissione a proseguire con la presentazione del pacchetto e si dettano alcune condizioni su alcuni aspetti essenziali di questa nuova normativa

Pubblicato il 26 Ott 2020

Riccardo Berti

Avvocato e DPO in Verona

Franco Zumerle

Avvocato Coordinatore Commissione Informatica Ordine Avv. Verona

Cyber security concept businessman Lock on digital screen, contrast, virtual screen with a consultant doing presentation in the background Closed Padlock on digital, cyber security, key WannaCrypt

Il Parlamento europeo ha appena approvato tre risoluzioni che incideranno sul cosiddetto Digital Services Act, un pacchetto di misure promosso dalla Commissione Europea e che dovrebbe essere presentato per l’approvazione il prossimo dicembre (il processo di approvazione delle varie iniziative occuperà comunque molto tempo e per la sua conversione in direttiva o regolamento dovremo verosimilmente attendere la fine del 2021 o l’inizio del 2022).

Cos’è il Digital Services Act

Il Digital Services Act è un insieme di misure che mira a modernizzare l’attuale quadro giuridico in cui vengono forniti i servizi digitali nell’Unione attraverso due iniziative principali:

  • da un lato la Commissione vuole che vengano implementate regole chiare per definire gli oneri dei fornitori dei servizi digitali per tutelare i propri utenti, così da creare un moderno sistema di cooperazione per la supervisione delle piattaforme digitali.
  • dall’altro lato vengono proposte regole che incidano su quelle grandi piattaforme online che oggi agiscono come “gatekeeper” (ovvero i soggetti in grado di stabilire le regole del gioco per utenti e altri player), garantendo un comportamento equo da parte dei soggetti dominanti e una sana concorrenza nel settore.

Il Digital Service Act, dopo aver superato una prima fase di consultazione pubblica, verrà presentato (verosimilmente a dicembre) in Parlamento.

Con questa serie di misure la Commissione intende replicare quanto fatto nel campo della protezione dei dati personali con il GDPR, ovvero definire uno standard di riferimento a livello non solo europeo ma mondiale, plasmando così l’economia digitale europea sulla base dei principi e delle libertà fondamentali previste nel diritto dell’Unione.

Nel frattempo, di sua iniziativa, il Parlamento Europeo ha emanato il 20 ottobre scorso tre risoluzioni con cui riconosce la necessità del Digital Services Act, invita la Commissione a proseguire con la presentazione del pacchetto e detta alcune condizioni su alcuni aspetti essenziali di questa nuova normativa.

Prima risoluzione: migliorare il funzionamento del mercato unico

Con questa prima risoluzione il Parlamento incoraggia la Commissione a proseguire nell’iter di approvazione del Digital Services Act, riconoscendone l’importanza fondamentale per modernizzare il quadro normativo europeo, oggi fondato sulla Direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico.

A detta del Parlamento, il pacchetto di misure dovrebbe concretizzarsi in una riforma della direttiva sul commercio elettronico, insieme ad un atto legislativo autonomo che contenga regole ex ante per disciplinare l’operato degli operatori sistemici che fungono da “gatekeeper”.

Il Parlamento raccomanda però prudenza nell’intervenire sulla direttiva sul commercio elettronico, in quanto alla stessa fanno riferimento numerose norme europee successive e c’è quindi il rischio che un suo stravolgimento possa impattare su altre regole stabilite in seno all’Unione.

Nella risoluzione si ricorda inoltre l’evoluzione dei diritti fondamentali in sede europea, che potrebbero intrecciarsi con le regole di cui al Digital Services Act. In particolare, il regime relativo alla protezione dei dati è stato notevolmente aggiornato dall’adozione della direttiva sul commercio elettronico (del 2000) ad oggi e se ne dovrà necessariamente tener conto perché è evidente che i prestatori di servizi digitali dovranno rispettare il GDPR, così come gli altri diritti fondamentali normati in sede comunitaria.

Il Parlamento ricorda poi che il focus di questa nuova normativa dovranno rimanere i consumatori, che dovranno potersi fidare dei prestatori di servizi online, con regole chiare in materia di protezione dei consumatori e di sicurezza dei prodotti. Questa riforma dovrà anche prestare attenzione agli utenti con disabilità e a garantire la più ampia accessibilità possibile ai servizi della società dell’informazione.

La risoluzione si preoccupa poi di segnalare che la direttiva sul commercio elettronico, sebbene ormai datata, pone dei principi ancora attuali. Il Parlamento afferma infatti che “i principi fondamentali della direttiva sul commercio elettronico, quali la clausola del mercato interno, la libertà di stabilimento, la libera prestazione dei servizi e il divieto di imporre un obbligo generale di sorveglianza, dovrebbero essere mantenuti”.

A questi principi dovrebbero però affiancarsene altri, come quello per cui “ciò che è illegale offline è illegale anche online” e quello della protezione dei consumatori e della sicurezza degli utenti.

Ulteriore principio che, secondo la risoluzione, dovrebbe informare la nuova normativa di cui al Digital Services Act, è il principio “conosci il tuo cliente” (Know Your Business Customer), che prevede che le piattaforme controllino e blocchino le società fraudolente che utilizzano i loro servizi per vendere prodotti e contenuti illegali e non sicuri.

Questo principio, che finora era limitato alle relazioni commerciali dirette del fornitore di servizi di hosting, dovrebbe essere introdotto per tutti gli utenti commerciali del servizio, con la conseguenza, ad esempio, che il fornitore del servizio di hosting dovrebbe quantomeno verificare la corrispondenza dei dati identificativi e fiscali forniti dall’utente business prima di concedergli in uso il proprio spazio online.

I servizi e le piattaforme di intermediazione online dovrebbero poi, secondo il Parlamento, migliorare la loro capacità di individuare e rimuovere le dichiarazioni false, le recensioni fasulle, le prassi commerciali ingannevoli e contrastare gli operatori commerciali disonesti.

Nella risoluzione viene fatto l’esempio della vendita di apparecchiature mediche false o prodotti pericolosi durante l’epidemia COVID-19.

Con riguardo alle piattaforme digitali, nella risoluzione viene chiesto di istituire un meccanismo di “notifica e intervento” vincolante, affinché gli utenti possano notificare agli intermediari contenuti o attività potenzialmente illeciti.

Ciò, nelle intenzioni dei deputati europei, aiuterà gli intermediari a reagire rapidamente ed essere più trasparenti in relazione alle azioni adottate nei confronti di contenuti potenzialmente illeciti. Il Parlamento raccomanda però che questo meccanismo sia antropocentrico (per evitare i rischi connessi con gli abusi del sistema, come le reiterate false segnalazioni) e che dia modo all’utente di ricorrere a forme trasparenti di reclamo.

Quindi il Parlamento evidenzia l’importanza delle piattaforme dell’economia collaborativa, anche nei settori del trasporto e del turismo ed invita la Commissione a creare un quadro più completo per la condivisione dei dati e il coordinamento tra le piattaforme e le autorità, così da condividere best practices e da individuare dei chiari obblighi di informazione da parte di queste piattaforme e dei loro utenti.

Seconda risoluzione: adeguare le norme di diritto commerciale e civile per i soggetti commerciali che operano online

Con questa seconda risoluzione, il Parlamento intende assicurarsi che il Digital Services Act garantisca agli utenti dei servizi web un maggiore controllo sul contenuto cui sono esposti online, con l’obiettivo di rendere gli utenti meno dipendenti dagli algoritmi.

La risoluzione esamina poi le problematiche connesse con la pubblicità mirata che, secondo il Parlamento, deve essere regolamentata in modo più severo, consentendo all’utente di optare per forme di pubblicità meno invasive e contestualizzate, che richiedono quantità minori di dati e non dipendono da una precedente interazione degli utenti con i contenuti. Il Parlamento arriva a proporre una eliminazione graduale della pubblicità mirata, che sfoci infine in un divieto.

Secondo la risoluzione, la nuova normativa dovrebbe inoltre prevedere, ove possibile, il diritto di usare i servizi digitali in modo anonimo.

Il Parlamento propone poi, in questa risoluzione, una interessante distinzione contenuto illecito e contenuto nocivo.

In sostanza la risoluzione propone che il Digital Services Act includa un regolamento che stabilisca i diritti contrattuali degli utenti delle piattaforme online con riguardo alla gestione dei contenuti, che contenga norme e procedure trasparenti, eque, vincolanti e uniformi per la moderazione dei contenuti stessi e garantisca un ricorso giurisdizionale accessibile e indipendente.

Questa “moderazione” con conseguente regime di responsabilità dovrebbe riguardare il solo “contenuto illecito” (come definito dal diritto comunitario e nazionale), con salvezza quindi del contenuto “nocivo”.

I contenuti nocivi, così come l’incitamento all’odio e la disinformazione, dovrebbero essere invece contrastati attraverso un obbligo di maggiore trasparenza e grazie all’alfabetizzazione mediatica e digitale degli utenti.

Altra richiesta del Parlamento è quella di introdurre una normativa che impedisca alle piattaforme di introdurre filtri ex ante sui contenuti caricati. La decisione finale sulla natura lecita o meno dei contenuti dovrebbe infatti essere presa da un organo giuridico indipendente e non da aziende private.

Questo percorso di “giurisdizionalizzazione” delle dispute sui contenuti online, sebbene sia ideale in teoria, lascia perplessi però nella pratica, con il Parlamento che sembra arrivare a censurare anche filtri ex ante legittimi e funzionali (esempio quelli sul contenuto soggetto a diritto d’autore nelle varie piattaforme di media streaming, che mettono sì al riparo la piattaforma, ma anche l’utente da possibili involontarie violazioni).

Da ultimo il Parlamento invita la Commissione a valutare lo sviluppo e l’utilizzo delle tecnologie di registro distribuito, comprese le blockchain e gli smart contract.

Il Parlamento chiede alla Commissione di garantire la certezza del diritto per le imprese e i consumatori anche in questa nuova frontiera dei rapporti commerciali, dominata dall’elemento tecnologico.

In particolare, il Parlamento solleva le questioni riguardanti la legittimità e l’esecuzione degli smart contracts in contesti transfrontalieri, i requisiti di eventuali notarizzazioni di quei contratti, nonché le problematiche connesse alla necessità di garantire un adeguato equilibrio e parità fra le parti dei “contratti intelligenti” e di garantire un controllo giurisdizionale.

Il Parlamento chiude questa disamina augurando una (difficilmente attuabile, quantomeno in certe situazioni) previsione di meccanismi che possano bloccare e invertire l’esecuzione e i pagamenti effettuati nell’ambito di uno smart contract o di una blockchain.

Terza risoluzione: questioni in tema di diritti fondamentali

Con una terza risoluzione, questa volta non legislativa (ovvero di semplice indirizzo politico) la Commissione parlamentare per le libertà civili si è concentrata sulla questione dei diritti fondamentali.

Nella risoluzione viene richiesto che la rimozione dei contenuti illegali, da parte dei gestori delle piattaforme online sia “diligente, proporzionata e non discriminatoria” per salvaguardare la libertà di espressione e di informazione, nonché la privacy e la protezione dei dati.

È chiaro però che una “diligente” attività di rimozione dei contenuti illeciti si possa trasformare in una vera e propria attività di censura (a sua volta illecita).

Questa risoluzione affronta (senza prendere una posizione definita) una questione davvero spinosa. Se da un lato il dilagare di fake news e contenuti offensivi impone un’attività di rimozione puntuale di contenuti, è evidente che non possa essere lasciato alla singola piattaforma decidere cosa è lecito e cosa costituisce invece legittima libera espressione di un individuo.

Allo stesso modo è evidente che le piattaforme online abbiano convenienza ad automatizzare (e/o “esternalizzare” sugli utenti) il più possibile questa attività di moderazione, con risultati a volte aberranti come l’eliminazione di contenuti che sono legittima libera espressione degli utenti.

Il Parlamento lascia alla Commissione l’arduo compito di risolvere la problematica, raccomandando da un lato che le misure adottate non dovrebbero: “includere concetti e termini indefiniti in quanto ciò creerebbe incertezza giuridica per le piattaforme online e metterebbe a rischio i diritti e la libertà di espressione”.

Dall’altro lato, ed allo stesso tempo, però il Parlamento riconosce la difficoltà di una simile “definizione” dei contenuti da rimuovere, in quanto stiamo parlando di un sistema in continua evoluzione. A questo proposito il Parlamento ricorda infatti che “l’attuale ecosistema digitale incoraggia anche comportamenti problematici, come il “microtargeting” basato su caratteristiche che espongono vulnerabilità fisiche o psicologiche, la diffusione dell’incitamento all’odio, i contenuti razzisti e la disinformazione, i problemi emergenti quali l’abuso organizzato di molteplici piattaforme nonché la creazione di account o la manipolazione di contenuti online da parte di algoritmi.”

Ulteriore preoccupazione del Parlamento è che alcuni modelli commerciali si basano “sulla presentazione di contenuti sensazionalistici e polarizzanti agli utenti al fine di aumentare il tempo di visualizzazione e, pertanto, i profitti delle piattaforme online”. Evidenziando i riflessi negativi che simili iniziative hanno sui diritti fondamentali degli individui e sulla società nel suo insieme, il Parlamento raccomanda infine trasparenza sulle politiche di monetizzazione delle piattaforme online.

Quest’ultima risoluzione sembra quindi in parte discostarsi da quanto affermato, sul tema, dalla risoluzione in tema di adeguamento delle norme di diritto commerciale e civile per i soggetti commerciali che operano online, che proponeva una distinzione fra “contenuto illecito” e “contenuto nocivo”, con salvezza di quest’ultimo pur di evitare l’arbitrio delle piattaforme online.

Alla Commissione spetterà l’arduo compito di trovare una definizione di “contenuto illecito” che sappia “includere” anche quei “contenuti nocivi” che potrebbero comunque incidere sui diritti fondamentali degli individui e sulla società nel suo insieme.

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