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Perché falliscono le startup e come evitarlo

Startupper, imprenditori, studenti e tutti talenti che vogliono creare una nuova azienda spesso non sono mossi dalla pura logica del profitto, ma da quella di chi vuole cambiare il mondo. Nel tentativo, spesso, troppo spesso, falliscono

Pubblicato il 16 Dic 2016

Silvia Vianello

Innovation Center Spjain School of Global Management- Dubai

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Il fenomeno del proliferare di startup è vecchio e nuovo al tempo stesso. Vecchio, perché gli startupper sono giovani imprenditori mossi da sentimenti ed ambizioni non tanto differenti da quelli dei loro padri.

Oggi, startup e PMI possono nascere in qualsiasi settore e l’essere “digitali”, pur non essendo condizione sufficiente e necessaria per il successo, supporta largamente gli imprenditori non solo a scalare, ma anche ad ottenere maggiore visibilità e a pianificare un buon piano marketing attraverso pubblicità, PR, eventi e i canali social, che sono l’interfaccia diretta con i clienti.

Una formula vincente che garantisca il successo ad una startup non può prescindere da un approccio “need-oriented”, cioè orientato al mercato. Per poter vendere, agli acquirenti interessa il beneficio che possono trarre da un prodotto/servizio e non necessariamente il “come” esso venga creato o sia stato ideato e sviluppato tecnicamente. La “Value Proposition”, cioè la proposizione di valore aggiunto che distingue e rende unici i prodotti o servizi della nostra azienda rispetto a quelli dei competitor, e più in generale tutto il Business Model, sono il cuore di qualsiasi progetto di impresa.

Troppo spesso però alcune imprese falliscono perché pur concentrandosi sull’insieme di bisogni che dovrebbero essere soddisfatti con i nuovi prodotti questi stravolgano eccessivamente le abitudini consolidate e rodate dei potenziali clienti. Una regola aurea, che se infranta porta inevitabilmente al fallimento. In altre parole è meglio e preferibile che le nuove soluzioni proposte non anticipino troppo i tempi, ma seguano le evoluzioni naturali dei cambiamenti delle abitudini degli individui e siano esse stesse da guida per la creazione progressivamente di nuove. Il rischio altrimenti è che la tecnologia non sia fruibile agevolmente dalle persone e questo porta inevitabilmente all’insuccesso dell’iniziativa imprenditoriale. Le startup che hanno capito l’importanza ad esempio di tecnologie a supporto dell’omnicanalità, come importante nuova modalità di fare business, stanno avendo risultati decisamente interessanti, a loro volta guidando aziende più grandi nell’evolvere loro stesse in questa direzione, facendo ottenere migliori profitti sia nelle vendite tramite e-commerce sia nelle vendite nei punti vendita o tramite agenti.

Se vivessimo in un mondo ideale il prodotto migliore sarebbe quello di maggior successo, ma questo mondo non esiste. I consumatori riescono a recepire solo una infinitesima parte delle informazioni a disposizione, e conoscono solo una piccola parte dei prodotti esistenti.

I consumatori devono sapere che esisti, ed essere convinti che il tuo prodotto sia il migliore e devono essere in grado di acquistarlo. Spesso quest’ultima condizione non banale, perché magari l’azienda non ha capillarità territoriale e perché i vari siti online sono non all’altezza delle aspettative dei potenziali clienti, rendendo un incubo il processo di acquisto.

Il fatto che sia il migliore non è necessario né sufficiente per la vendita: se vuoi che il tuo prodotto abbia successo necessiti di un’ottima strategia di vendita e comunicazione e di fondi adeguati per poterla implementare. Pertanto del budget complessivo a disposizione per la creazione di nuove imprese almeno la metà dovrebbe essere allocata al marketing e alla comunicazione per acquisire clienti e fidelizzare quelli esistenti.

Oggi vi è un eccesso di informazioni e nozioni, spesso confuse e non sempre fruibili. Il mercato è in continua evoluzione, e la capacità di acquisire notizie, dati e ogni altro elemento è diventato immediato.

Essere Omnicanale è innanzitutto un modo evoluto di dialogare con il proprio mercato, con i propri clienti, con i propri fornitori, e con tutti coloro che abbiano interesse a dialogare. E’ un modo per creare una propria immagine, una propria reputazione. E’ un modo per essere diretti anche nella gestione delle critiche o per offrire chiarimenti su di noi, sui nostri prodotti e servizi, sui nostri valori e sul nostro modo di operare.

Essere Omnicanale è essere parte di un flusso di informazioni che da noi raggiunge il resto del mondo, e viceversa.

Essere Omnicanale, significa aver compreso che il nostro cliente, utilizzatore, è cambiato, perché è cambiato il suo approccio all’acquisto. Oggi l’acquisto è frutto più di un’esperienza di dialogo, di ricerca dell’informazione e di confronto che di semplice risposta ad un bisogno più o meno latente come raccontavano i libri di marketing degli anni 90.

Oggi l’esperienza d’acquisto e il come il prodotto ci fa sentire o ci migliora la vita sono i driver essenziali, superando una vecchia ottica di “acquistare ciò che serve”.

L’acquisto è un’azione sociale, e cambia di conseguenza anche il modo di vendere, che per forza di cose evolve nell’omnicanalità.

Conoscere, capire, studiare il proprio utente, è parte essenziale nel processo di creazione del proprio valore aggiunto: oggi fare business passa anche per il riconoscimento dello stile di vita dei propri utenti e la definizione di un proprio stile social, e ciò ha rinnovato il modo delle imprese, di ogni impresa, di interagire con il proprio mercato di riferimento.

Essere Omnicanale, per un’impresa, è la capacità di capire e adeguarsi a delle condizioni relazionali nuove. In un determinato momento, più soggetti sono presenti in uno spazio virtuale, dialogano, interagiscono, si contaminano con opinioni. L’analisi, la comprensione di questi spazi digital, consentono all’impresa di conoscere i propri utenti, e di adottare azioni di comunicazione e marketing specifiche per queste community.

Nel web si possono attuare in modo efficace, immediato e spesso anonimo una serie di paradigmi sociali e di marketing: (i) scambio informativo, (ii) scambio di interazioni sociali, (iii) scambio culturale.

Proprio quest’ultimo rappresenta la spinta maggiore del dialogo consumatore-impresa: i consumatori partecipano alla creazione di contenuti di valore; le imprese producono contenuti o sostengono altri soggetti che sviluppano contenuti culturali. Contestualmente adattano la loro offerta sul mercato sulla base dei feedback e sollecitazioni continue che ricevono.

Le funzioni aziendali atte alle vendite, e le azioni di marketing devono quindi evolvere: dal classico paradigma dell’approccio verso i clienti nel tentativo di influenzarne le scelte ad un approccio di maggiore scambio informativo e socio culturale.

In questo i diversi canali, i social hanno un peso nuovo e estremamente strategico. Ormai ineludibile.

L’immediatezza e la velocità di interazione di ogni canale digital garantisce il supporto ad ogni forma di comunicazione aziendale.

Maggiore credibilità, maggiore coinvolgimento, quindi maggiore fidelizzazione.

Oggi più che mai, nel comunicare è necessario assumere nuovi atteggiamenti relazionali, nuove matrici di comunicazione.

Fare impresa, in ogni settore, non può prescindere dal contesto digitale di cui siamo, ognuno di noi, parte attiva. Oggi fare impresa deve ponderare elementi nuovi, come l’eliminazione dell’intermediazione tra cliente finale e azienda. Globalizzazione digitale: ovvero l’impresa può produrre in Cina, avere l’ufficio design in Italia, l’amministrazione in India, e gli utenti in paesi diversi.

Tutto ciò non prescinde da elementi essenziali quale il fatto che la vendita di un prodotto/servizio è un processo condiviso, quindi social. Un’impresa quindi deve sapersi porre nel processo informativo da e verso il cliente finale, con le giuste argomentazioni, nei modi e nei tempi corretti, e offrendo contenuti addizionali che possano convertire gli utenti in clienti, e fidelizzarne il comportamento d’acquisto.

Per una startup, sviluppare un buon prodotto, una buona piattaforma digitale e rendere il proprio prodotto/servizio ad un prezzo interessante non è più sufficiente per avere successo.

E’ strategicamente importante comunicare: si devono pianificare azioni di marketing in modo integrato in un piano media complessivo.

Attuare un piano media significa impegnare delle risorse finanziarie con intelligenza, e in modo efficiente. Se dovessimo provare a definire una sequenza di azioni di comunicazione e marketing necessari al successo di una startup, potremmo schematizzare un processo definito da tre step:

“Visibility”: ottimizzare gli investimenti in comunicazione e più in generale in marketing per massimizzare la visibilità della nostra startup;


“Engagement”: le azioni di marketing devono tendere ad aumentare il traffico sul proprio sito, determinandone quindi un incremento di user che si registrano, determinando di conseguenza un incremento delle vendite;


“Convertion”: le azioni di comunicazione e marketing devono anche aumentare le “motivazioni” e gli elementi cioè che possono rendere più piacevole l’esperienza d’acquisto.

Nella seguente tabella gli elementi riassunti dei tre step con relative azioni per implementarli

Ma quali sono quindi i driver principali e perché le startup falliscono?

Oggi più che in passato, osservare il mondo digitale significa essere capace di coglierne le dinamiche con un approccio più ampio. Ad esempio risulta semplicistica la canonica differenziazione dei business model tra B2C e B2B; appare più efficace e completo identificare le startup, in base ai processi di crescita o ai tools da attivare per: (i) generare traffico, lead e quindi convertirli in nuovi clienti; (ii) il time to market, (iii) prodotto/servizio, (iv) mercato team e processi di gestione.

Seguendo questo approccio abbiamo potuto analizzare un numero considerevole di startup fallite, arrivando ad identificare dei comportamenti e degli errori comuni tra gli startupper, che possono essere inclusi in tre aree principali:

1. Area Mercato, che racchiude il 41% delle motivazioni di insuccesso; Il Team deve gestire ogni leva di crescita della startup, senza escludere ogni singola azione di marketing. Gli strumenti di advertising online/offline ed omnicanale risultano più importanti di quanto si pensa: da un lato permettono di fare conoscere l’azienda (lead generation), dall’altro ci consentono di trasmettere i nostri valori, stile e caratteristiche che ci rendono “unici”! Ad esempio sbagliare pricing del nuovo prodotto o servizio offerto può costare carissimo. Come sbagliare posizionamento, non individuare il giusto target decisionale, partire dal più difficile mercato d’ingresso, una partnership sbagliata o la pretesa di agire contro aziende già consolidate con bacini di spesa e investimenti che una startup non può spesso sostenere.

2. Area Team & Gestione, che pesa il 34% sulle motivazioni di fallimento. La soddisfazione dei propri dipendenti è spesso sottovalutata, ma è una delle prime leve in grado di far emergere un’azienda o farla fallire perché i propri dipendenti sono la nostra interfaccia sul mercato e dalla loro soddisfazione dipende a sua volta la soddisfazione dei nostri clienti con l’azienda. Altro tema è la gestione del rapporto tra i soci. Spesso anch’esso sottovalutato ma condizione imprescindibile per il buon clima aziendale.

3. Area Finance, con il 20% degli errori, dove la gestione dei flussi di cassa viene spesso sottovalutata come gli investimenti, le dilazioni di incassi e pagamenti, il recupero crediti e i compensi spesso gonfiati senza che vi siano fondi a disposizione per poterli coprire.

4. Infine, vi è una quarta area residuale, “Altri”, che racchiude diverse motivazioni di fallimento, che pesano complessivamente circa il 5%.

Con il nuovo libro “STARTUP digitali e PMI innovative! Guida pratica al successo di un’impresa innovativa” cerchiamo appunto di raccontare come evitare il fallimento e portare le aziende italiane a competere a livello internazionale.

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