la proposta

Migliorare i servizi pubblici grazie a un “digital prosperity index”

Istituzionalizzare obiettivi di digitalizzazione, insieme a un nuovo paradigma valutativo, potrebbe permettere alla macchina pubblica di dare risposte soddisfacenti in termini di benessere, contribuendo a rendere la vita dei cittadini sempre più comoda, la crescita delle imprese più agevole, i territori più attrattivi

Pubblicato il 27 Feb 2020

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

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L’evoluzione digitale dei servizi sta spingendo le amministrazioni pubbliche a fare i conti con le proprie lentezze e inefficienze. Orientare le organizzazioni verso i concetti di performance di filiera e di valore pubblico è senza dubbio uno degli ambiti che desta maggior interesse per puntare verso uno sviluppo equo e sostenibile.

Tuttavia, per sfruttare al meglio la digitalizzazione dei servizi e rendere più efficace il funzionamento di nuovi modelli di governance, è fondamentale partire dalla cura della salute dell’ente e mettere a sistema le parti e i processi, attraverso politiche collaborative e integrative che siano realmente utili al Paese e ai suoi territori.

Servirebbe, ci arriveremo alla fine di questa riflessione, una sorta di Digital Prosperity Index (DPI), per misurare il grado di avanzamento e di prosperità digitale di ciascuna amministrazione, da integrare e confrontare con la percezione che hanno i cittadini dei servizi digitali di quell’ente.

Servizi pubblici: qualità a macchia di leopardo e criticità croniche

Partiamo da un dato inconfutabile: nel nostro Paese esistono territori dove vengono erogati servizi ai cittadini di primissima qualità, dalla sanità ai servizi educativi all’infanzia. Ci sono Comuni che permettono ai cittadini di interagire con i propri uffici con modalità interattive sempre più evolute e complete (dall’invio di una pratica, al pagamento on line di ogni tipologia di spesa). Il problema è che queste realtà non riescono a diventare “sistema” e rimangono casi isolati. Successi discontinui e frammentari, che non riescono a invertire il declino economico e la percezione, a livello generalizzato, di un servizio pubblico mediamente di qualità scadente.

Ci sono poi le criticità croniche. Si pensi ai ritardi della giustizia civile e alla burocrazia che frena investimenti e sviluppo. Si pensi ai ritardi dei pagamenti della PA verso le piccole e medie imprese, per cui la Corte di giustizia europea intende sanzionare l’Italia, e non sarebbe la prima volta. Si pensi all’incapacità delle pubbliche amministrazioni di incrociare i dati depositati nei loro archivi informatici, per cui un cittadino in possesso di una carta di identità, che fa domanda per la patente o una domanda di pensionamento, deve fornire tutti i suoi dati all’amministrazione per poter circolare o consegnare il certificato di laurea per avere la pensione.

Ritardi e inefficienze che incidono pesantemente sul declino del Paese e che inducono a domandarsi se non sia venuto il momento di cambiare strategia, smettendo di avallare valutazioni eccellenti ed erogazioni di premi a pioggia a fronte di performance scadenti, affrontando piuttosto quei colli di bottiglia che frenano l’economia, come da anni raccomandano le istituzioni nazionali e internazionali. La lista è lunga, dalla giustizia alla scuola, dalla concorrenza alla pubblica amministrazione.

Maturità digitale: volano alcuni servizi, altri restano al palo

In un recente articolo apparso su Agendadigitale, sono stati ben messi in fila tutti i progetti che stanno cambiano il Paese, evidenziandone le potenzialità e criticando i ritardi con cui il digitale è stato affrontato dalla nostra classe dirigente. “Non voglio certo giustificare la miopia sul fronte del digitale che ha caratterizzato il nostro paese per anni – ha dichiarato Luca Gastaldi – ma da quando esiste il DESI, tuttavia, l’Italia ha messo in campo diverse iniziative di digitalizzazione”. Concordo sul fatto che sia quanto meno velleitario pensare che tali iniziative possano consentire all’Italia di scalare il DESI in poco tempo. Altrettanto vero è che sono stati raggiunti risultati importanti relativamente alla creazione di un’architettura di base molto solida, su cui impostare le iniziative di digitalizzazione dei prossimi anni, sia in ambito pubblico che privato.

Siccome però non possiamo più permetterci di accumulare ulteriori ritardi, occorre agire in fretta, soprattutto sul fronte delle pubbliche amministrazioni, che mostrano ancora evidenti divari (formativi, tecnologici, adattivi) e problemi di offerta di servizi pubblici digitali.

Notizie incoraggianti arrivano sul fronte di alcuni servizi, per la verità ancora pochi. Per esempio, sul fronte degli appalti pre-commerciali, dove l’Italia si trova ai primi posti in Europa per svolgimento di gare d’appalto.

L'immagine può contenere: testo

Quanto siano importanti questo tipo di appalti nella strategia di sviluppo e di innovazione della PA è stato spiegato da Imma Oriolo, che giustamente ha ricordato come “spesso gli attuatori pubblici intendono erroneamente l’innovazione come sinonimo di tecnologia, riducendola al solo aspetto di innovazione tecnologica. In realtà esistono varie forme di innovazione: prodotto, processo, organizzazione e commercializzazione. Ugualmente, da un punto di vista operativo, gli strumenti e i supporti che guidano all’innovazione, in particolare le PMI, spingono verso nuovi modelli organizzativi e collaborativi e nuove forme di procurement”.

Altra notizia positiva arriva dall’utilizzo della piattaforma PagoPA[1], che a gennaio 2020 ha fatto registrare 11 milioni di transazioni, in aumento dell’88% rispetto all’anno prima. È evidente che quando lo Stato offre ai cittadini servizi moderni, semplici, al passo con la velocità dei tempi attuali, la risposta non tarda ad arrivare. Il vantaggio, infatti, è quello di poter fruire di un sistema di pagamento semplice, standardizzato, affidabile e non oneroso per gli enti e più in linea con le esigenze dei cittadini. È un vantaggio reciproco, per il cittadino che ha la possibilità di ricevere in tempo reale l’attestazione dell’avvenuto pagamento, per l’ente che chiude automaticamente la posizione debitoria senza dover ricorrere a onerose procedure di messa a ruolo e recupero crediti. I cittadini, perciò, sembrerebbero gradire internet per interagire con la PA e il gradimento aumenterebbe se ci fosse un’adeguata offerta di sevizi pubblici digitali.

Dall’ultima survey presentata dall’Osservatorio Agenda Digitale, apprendiamo che i servizi alle imprese sono molto più digitalizzati rispetto ai servizi al cittadino, dove non esiste nessun obbligo normativo rispetto all’attivazione del canale digitale. I servizi potenzialmente fruibili in modalità totalmente digitale, da mettere a disposizione dei cittadini, sarebbero perciò molti, ma solo una minoranza di enti è in grado di farlo.

Qualità dei servizi, la Relazione CNEL 2019

Una fotografia del livello di maturità digitale nei servizi offerti all’utenza è stata scattata dal CNEL che ha presentato la Relazione 2019 sui livelli e la qualità dei servizi pubblici, andando a misurare il grado di sofisticazione dei servizi offerti in rete, in funzione di due fattori:

  • della numerosità e della tipologia dei processi attivabili attraverso il sito web dell’ente;
  • del livello di sofisticazione dell’offerta online, che è massima quando il sito consente l’esecuzione di pagamenti in rete in condizioni di piena sicurezza, affidabilità e tracciabilità.

Con riferimento alla numerosità dei servizi offerti all’utenza tramite il sito web, i dati indicano valori nel complesso non soddisfacenti: la maggioranza degli enti, infatti, ricorre a modalità tradizionali non telematiche (es. sportello fisico) per l’erogazione della quasi totalità dei servizi (con l’unica eccezione dello sportello unico delle attività produttive offerto mediante canali digitali dal 64% degli enti).

L’analisi evidenzia, inoltre, una correlazione negativa tra complessità e disponibilità dei servizi e offerti tramite canale web: le percentuali dei servizi offerti in modalità digitale dagli enti si riduce all’aumentare della complessità del servizio ed è minima per quei servizi che richiedono una maggiore integrazione dei sistemi informativi interni. Circa il 42% degli enti dichiara di fornire con modalità telematiche i servizi di orientamento e informazione, che si traducono in pagine web aventi natura informativa e, generalmente, a basso contenuto di interazione e complessità. La partecipazione alle gare d’appalto mediante l’utilizzo di strumenti telematici è consentita, in media, dal 34% degli enti; la possibilità di prenotare servizi attraverso il web è elevata nel solo comparto delle ASL (73%) mentre resta bassa negli altri comparti (il 45% delle regioni, il 30% delle province e solo il 22% dei comuni). Appena un ente su cinque offre la possibilità di ottenere certificati e di effettuare il pagamento in rete dei servizi erogati o delle tasse e dei tributi. I dati su base territoriale mostrano valori superiori alla media nazionale negli enti delle regioni del nord-est e del centro.

L’analisi del grado di sofisticazione dei servizi offerti on-line conferma uno sviluppo mediamente non adeguato delle interfacce web delle amministrazioni territoriali. La maggioranza degli enti interpellati (53%) dichiara che il proprio sito web si limita a fornire servizi di tipo esclusivamente informativo senza alcuna interazione con l’utenza mentre solo il 12% degli enti è in possesso di siti con il livello massimo di sofisticazione (che consentono, cioè, di effettuare anche il pagamento).

Qualità dei servizi, un’Italia a due velocità

Grado di sofisticazione dell’offerta on-line, per tipologia di ente

Tipologia EnteScambi informativi bidirezionali, con autenticazione possibilità di pagamento onlineScambi informativi bidirezionali con autenticazioneServizi informativi con autenticazioneSolo servizi informativinon risponde
ASL37%13%17%30%3%
Comune10%17%12%57%4%
Provincia9%20%18%52%1%
Regione40%40%0%20%0%
Totale12%19%13%53%3%

Fonte: CNEL, Relazione 2019 sui livelli e la qualità dei servizi pubblici

L’analisi per comparto indica nei comuni e nelle province un basso livello di sofisticazione dell’offerta di servizi tramite il web: solo il 9% delle province e il 10% dei comuni dichiarano, infatti, di avere un sito che consente di effettuare pagamenti online. I dati per area geografica confermano un livello di sofisticazione maggiore per gli enti delle regioni settentrionali. In particolare, il 21% degli enti del nord-est e il 15% degli enti del nord-ovest consentono la conclusione di un processo online con l’esecuzione del pagamento; tale percentuale scende al 14% per gli enti delle regioni centrali e per gli enti del sud (7%) e delle isole (2%).

I dati ci rivelano, ancora una volta, come esista un Paese a due velocità. Da una parte i comuni, soprattutto di medie e grandi dimensioni, di solito anche i più proattivi, che sono in grado di gestire in modo più strutturato il processo di innovazione e quindi di digitalizzare sempre di più i servizi. Dall’altra i comuni, in gran parte di piccole dimensioni e con maggior localizzazione al sud e nelle isole, che faticano anche a tenere il passo anche con gli obblighi normativi più semplici. Insomma una PA zavorrata da inefficienze, burocrazie e scarse risorse (umane e finanziarie).

In calo la spesa ICT e nei comuni ne risentono i servizi pubblici

Il quadro fin qui descritto è coerente con i dati presentati da Agid nel rapporto La spesa ICT nella PA italiana e ricavabili dal SIOPE, che ci mostrano il calo generale della spesa per ICT dell’insieme delle amministrazioni locali composto dalle città metropolitane e relativi comuni capoluogo, dove continua il processo di riduzione della spesa per beni e servizi ICT costante nel tempo e pari a circa il – 6,5% in meno per anno[2]. Un calo generale registrato in questi ultimi anni che è ancor più preoccupante se si considera quanto, in questi anni, gli investimenti in tecnologie avrebbero dovuto crescere in coerenza con le strategie tracciate dall’Unione Europea.

Analogo discorso può essere fatto per la carenza di competenze digitali, indicata dagli enti come una delle principali cause alla base dei ritardi nei propri livelli d’informatizzazione[3] e nell’offerta di servizi pubblici digitali.

Il quadro di contesto in cui ci troviamo è certificato dai dati dell’eGovernment Benchmark 2019, che mette a confronto il livello di sviluppo della PA digitale nei paesi europei, da cui emerge che sono meno del 30% gli italiani che utilizzano il canale online per sottoporre pratiche alla PA, contro una media europea del 57% e punte, nei Paesi del nord Europa, che arrivano quasi al 90%. Dal confronto emerge un’Italia caratterizzata da un basso livello di penetrazione e da un livello medio-basso di digitalizzazione. Pertanto, l’Italia fa parte dello scenario eGov non consolidato, uno scenario in cui i paesi non sfruttano appieno le opportunità dell’ICT. D’altro canto, i livelli di apertura dei dati e delle informazioni, digitalizzazione delle imprese (digitale nel settore privato) e diffusione della banda larga e la sua qualità (connettività) sono in linea con la media europea.

USER CHARACTERISTICSGOVERNMENT CHARACTERISTICSDIGITAL CONTEXT CHARACTERISTICS
Digital SkillsICT usageQualityOpennessConnectivityDigital in the private sector
EU2849%53%70%68%60%42%
IT33%40%58%76%58%32%
PENETRATIONDIGITISATION
EU2857%68%
IT28%67%

Anche se alcune amministrazioni centrali hanno raggiunto punte di eccellenza e consentono la gestione online della quasi totalità dei procedimenti amministrativi di propria pertinenza (come nel caso dell’Agenzia delle Entrate, l’INPS e l’Agenzia delle Dogane), che rappresentano casi isolati di un’efficace interazione con cittadini e imprese attraverso i propri siti web, il ritardo maggiore riguarda soprattutto i servizi pubblici locali.

Il concetto di valore pubblico e il cambio di paradigma della valutazione

Analizzati tutti i dati, la domanda nasce spontanea: cosa si può fare per migliorare il livello di penetrazione dei servizi pubblici? Ecco allora che le traiettorie di miglioramento delle performance tracciate nel volume FPA Annual Report 2019 possono orientare una risposta. “Perché l’azione pubblica sia davvero promotrice di innovazione – ha sottolineato Carlo Mochi Sismondi, Presidente di FPA – nel 2020 speriamo di veder realizzate alcune azioni:

  • formazione per tutti i dirigenti sui fondamenti della trasformazione digitale e alfabetizzazione informatica di base per tutti i dipendenti pubblici;
  • integrazione delle basi di dati delle amministrazioni e dialogo diretto tra i sistemi informatici;
  • razionalizzazione dei data center pubblici;
  • ripensamento dei processi di procurement; potenziamento degli strumenti per la cybersecurity”.

Se queste sono le linee strategiche che saranno approfondite nel corso del prossimo ForumPA di giugno, ne dovremmo aggiungerne almeno un’altra: valutare l’implementazione delle politiche orientate alla sostenibilità, in base agli indicatori di benessere equo e sostenibile (gli indicatori di BES ideati dall’Istat con il supporto del CNEL nel 2013).

Ciò comporta un cambio di paradigma nei processi della valutazione dell’azione pubblica: bisogna far uscire le performance dal loop adempimentale e autoreferenziale, contrastando la sindrome del 100% delle performance individuali, spostando il focus verso rinnovate performance organizzative e finalizzando entrambe verso l’orizzonte del valore pubblico. Il concetto di valore pubblico, sul quale si stanno concentrando studiosi del performance management, può essere il volano per finalizzare le performance degli enti verso il benessere dei cittadini e lo sviluppo sostenibile.

Performance pubbliche e digitalizzazione: apriamo la valutazione ai cittadini e adottiamo il Digital Prosperity Index

Il nuovo paradigma della valutazione, con il concetto di valore pubblico come stella polare, sul fronte dei servizi digitali si traduce in chiare roadmap di digitalizzazione, da fissare in un’ottica di filiera, cioè con il coinvolgimento di tutti gli attori dei processi di trasformazione digitale da innescare (Governo, Ministeri, Agid, Amministrazioni regionali e locali). In una cornice istituzionale e di governance ormai ben definita[4], tocca adesso alle amministrazioni regionali e comunali inserire nei Piani delle Performance (PEG o PDO) specifici obiettivi programmatici di digitalizzazione. Ciò significa, per esempio:

  • prevedere l’aumento del numero di persone che presentano moduli online;
  • automatizzare i processi puntando a incrementare il numero di servizi interamente online;
  • diminuire il numero di moduli da richiedere ai cittadini;
  • aumentare il numero dei servizi a pagamento che consentono l’uso di PagoPa;
  • consentire un maggior numero di accessi tramite SPID ai servizi digitali;
  • dematerializzare procedure.

Tali obiettivi andrebbero assegnati alla dirigenza e ai responsabili per la transizione digitale, legando l’erogazione delle indennità di risultato al loro effettivo conseguimento. A questo punto, l’introduzione di indicatori di digitalizzazione verrebbe a collegarsi strettamente al ciclo di programmazione finanziaria e di bilancio, seguendone gli sviluppi in sede di gestione, monitoraggio e verifica degli esiti finali attraverso l’esame delle relazioni della performance e dei rendiconti. Il Dipartimento della funzione pubblica, delegato a esercitare le funzioni di coordinamento, di indirizzo, di promozione di iniziative, anche normative, amministrative e di codificazione, di vigilanza e verifica, in materia di digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni, potrebbe accompagnare le amministrazioni locali a creare una baseline per misurare lo sviluppo digitale dei servizi.

A tal proposito, si potrebbe pensare, come abbiamo anticipato, di costruire un indicatore composito di performance organizzativa, una sorta di Digital Prosperity Index (DPI), che misuri il livello di avanzamento digitale di una amministrazione e la percezione che hanno i cittadini dei servizi digitali di quell’ente. È lo stesso Dipartimento della funzione pubblica, nel suo ruolo di cerniera tra i diversi livelli di governo, ad aver adottato le Linee guida sulla valutazione partecipativa (Linee guida n. 4/2019) per fornire alle amministrazioni pubbliche gli indirizzi metodologici per favorire la partecipazione di cittadini e utenti alla valutazione della performance organizzativa in attuazione di quanto previsto dagli articoli 7 e 19 bis del d.lgs. 150/2009, modificato dal d.lgs 74/2017.

Istituzionalizzare obiettivi di digitalizzazione, insieme a un nuovo paradigma valutativo, potrebbe rappresentare il volano per rendere la macchina pubblica in grado di dare risposte soddisfacenti in termini di benessere, contribuendo a rendere la vita dei cittadini sempre più comoda, la crescita delle imprese più agevole, i territori più attrattivi agli investimenti.

__________________________________________________________________

  1. Piattaforma pubblica di pagamenti che permette al cittadino di scegliere di pagare tributi, tasse, utenze, rette, quote associative, bolli e qualsiasi altro tipo di pagamento verso le PA, ma anche verso altri soggetti, come le aziende a partecipazione pubblica, le scuole, le università, le Asl, in modo semplice e sicuro, in base alle proprie preferenze e abitudini.
  2. Da segnalare tuttavia, le previsioni per il 2019, della Città metropolitana di Genova e dei Comuni di Cagliari, Genova e Napoli in controtendenza rispetto all’andamento complessivo dell’intero campione, in ragione dell’avvio di alcune progettualità sui seguenti ambiti: gestione tributi, evoluzione architetture software infrastrutturali, servizi cloud, dematerializzazione e mobilità.
  3. Cfr. L’informatizzazione nelle Amministrazioni locali, Banca d’Italia (2017).
  4. Ad oggi sono già sette le Regioni che hanno sottoscritto un accordo con l’Agid per l’attuazione dell’Agenda digitale nei territori e il Governo ha avviato il confronto sulla “Strategia per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione del Paese 2025” (https://docs.italia.it/italia/mid/piano-nazionale-innovazione-2025-docs/it/stabile/index.html)

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