Scuola

Editoria anti innovativa, scuole poco connesse: fermi al palo i testi digitali

Già nel 2008 Tremonti aveva stabilito la rivoluzione del testi scolastici dal 2011. Finora i principali editori hanno fatto pochissimo, anche per colpa della banda larga assente nelle classi. Ma cambiare è possibile

Pubblicato il 26 Ott 2012

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Tagliare l’Iva sui contenuti digitali, standardizzare le piattaforme, aprire il dialogo con gli editori e dare alle scuole l’onore di fatturare gli acquisti dei testi. Dando per acquisita la connessione di tutte le aule e di tutti gli istituti. Questi gli aspetti da tenere in considerazione e a proposito dei quali è auspicabile un intervento, secondo il professore dell’Università Bicocca di Milano e consulente per l’innovazione del Miur Paolo Ferri. L’àmbito d’analisi è quello dell’editoria scolastica digitale, il decreto Crescita 2.0, da poco pubblicato in Gazzetta ufficiale, entra nel merito della questione imponendo l’adozione di libri di testo digitali o misti, digitale o cartaceo e contenuti interattivi acquistabili anche in Rete in formato disgiunto, a partire dall’anno scolastico 2013-2014. Nel 2008, Tremonti si era già mosso in questa direzione stabilendo che dall’anno scolastico 2011-2012 il collegio docenti avrebbe dovuto adottare libri utilizzabili nelle versioni online scaricabili da Internet o mista. La differenza risiede nell’utilizzo del termine digitale, incoraggiato dalla diffusione dei device mobili, e nell’introduzione della variabile dei contenuti interattivi, che sono acquistabili separatamente dal testo originario e anche da un editore diverso da quello che firma il volume. La carta sopravvive, quantomeno come alternativa.

Ferri sottolinea come l’iniziativa di Tremonti sia stata recepita dalle realtà nostrane “in maniera light, ai libri di testo sono stati aggiunti materiali multimediali di varia qualità, generalmente non molto alta. Zanichelli ha fatto libri in pdf interattivi, Pearson anche. Alcuni hanno iniziato a costruire piccole basi dati interattive di oggetti multimediali, Pearson sulla matematica e Mondadori sulle scienze”. “In generale, gli editori hanno puntato sui materiali interattivi per la Lim, in pochi hanno creato ambienti di apprendimento integrato”, prosegue. La decisione di concentrarsi sulle lavagne interattive è riconducibile al progetto Scuola Digitale, che della diffusione delle stesse negli istituti si è occupato a partire dal 2009/2010. L’atteggiamento degli editori nostrani in questi tre anni di esplorazione è definita da Ferriconservativo“: “I principali – Zanichelli, Rizzoli, Pearson e Rcs – non hanno spinto sull’innovazione vista l’assenza di banda larga nelle scuole”. Sono, secondo il docente della Bicocca, quel misero “7% di istituti collegati” e una connessione che cade “se ci sono più di tre persone collegate” a inibire i produttori di contenuti. Il piano nazionale Banda Larga del Mise prevede tuttavia bandi per portare la banda larga nelle scuole ogni volta che viene coperto un comune in digital divide.

Altro aspetto da tenere considerazione concerne la fase d’acquisto vera e propria. In Italia sono gli insegnanti a dare l’indicazione alle famiglie, che poi procedono con l’azione. Nel resto d’Europa, spiega Ferri, è “la scuola ad acquistare”. Il sistema è lo stesso adottato nei nostri istituti primari che, una volta selezionato il volume e la libreria di provenienza, consegnano i buoni alle famiglie. Che, è bene precisarlo, sono comunque l’anello della catena che mette mano al portafoglio: si sta parlando della fatturazione e dell’indicazione specifica della modalità d’acquisto che, secondo il nostro interlocutore, aiuterebbe a combattere la pirateria, facendo sentire – di conseguenza – gli editori più tranquilli. “Questo aspetto andrebbe rivisto a livello normativo. Si evita così la perdita di valore legata alla circolazione dell’usato o delle fotocopie”. E un domani, appunto, dalle copie pirata.

Tornando all’atteggiamento dell’esecutivo in carica, Ferri accoglie con scetticismo “tutta l’enfasi che circonda il progetto Book in progress“. Trattasi di un esperimento dell’ITIS Majorana di Brindisi e che coinvolge i docenti nella redazione dei libri di testo. I volumi sono pensati per essere aperti e variabili a seconda delle esigenze didattiche specifiche dei giovani lettori a cui si rivolgono. Secondo Ferri, dare agli insegnanti il compito di produrre contenuti vuol dire causare una diminuzione della qualità o non lasciar più loro tempo per l’insegnamento: “Non è realistico proporre questa soluzione su base nazionale”. Inoltre, iniziative di questo genere ostacolano anche l’apertura di un dialogo con gli editori per definire delle policy che agevolino la transazione al digitale. Accomodatisi sulle sedie, bisognerebbe intervenire sull’Iva, che per i contenuti digitali è al 20% ed è un drammatico freno allo sviluppo degli ebook. Secondo passo è la standardizzazione delle piattaforme: “Al momento ogni editore ha la sua e dà l’accesso agli insegnanti mediante password. Dover entrare in diversi ambienti virtuali basati su standard differenti crea incomprensioni e carica eccessivamente la Rete”.

Dando la parola a uno dei diretti interessati che ha fatto delle nuove modalità di fruizione, la capitolina Garamond, si individua anche la domanda di apertura. “Il digitale consente un’interazione se il testo è aperto, fare un pdf o un’applicazione che studenti e insegnanti non possono modificare per questioni legate alla proprietà intellettuale vuol dire agire come se si trattasse dalla carta”, afferma il direttore editoriale e amministrativo Agostino Quadrino. Da depennare, secondo Quadrino, la possibilità di mettere sul mercato volumi misti: “Siamo convinti che sia necessario passare in maniera decisa al digitale”. Sul piatto ci sono i 900 milioni di euro che le famiglie spendono annualmente per riempire gli zaini degli studenti e, secondo Quadrino, l’editoria tradizionale si deve rassegnare a un ridimensionamento di questa cifra “ma non a un azzeramento, piuttosto a una trasposizione verso forme di abbonamento annuale che le scuole possono proporre offrendo servizi di Rete, piattaforme di content management, social learning e tutta una serie di servizi a valore aggiunto”. Non si tratterà più, quindi, di basare il proprio business sulla vendita del prodotto ma di puntare sull’offerta di un servizio. Garamond in questi termini agisce dal 1999, conta più di 65mila utenti registrati alla sua piattaforma e ha sposato le principali iniziative ministeriali degli ultimi anni. A questo proposito, Quadrino tira le orecchie a Cl@assi 2.0 che “non prevedeva una voce di spesa per i contenuti”. Allo stesso tempo si dice soddisfatto dei “segnali incoraggianti” che si percepiscono e ritiene che in questo momento ci sia “spazio per la creatività e la capacità produttiva degli insegnanti che possono capitalizzare le esperienze”. Questo frangente lo vede in disaccordo con Ferri, mentre i due concordano sulla necessità di intervenire prima di tutto sul cablaggio degli istituti. Primo vertice del triangolo, contenuti e hardware sono gli altri due. Così il mercato può prendere forma.

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