la nomina

Responsabile per la Trasformazione Digitale, Bongiorno spinga sanzioni e switch off o sarà flop

Punti di forza e criticità della circolare con cui la Funzione Pubblica richiama le PA all’obbligo di nominare un Responsabile della Trasformazione Digitale e un richiamo alla necessità di politiche che favoriscano lo switch off di alcuni servizi e sanzioni per gli enti inadempienti

Pubblicato il 04 Ott 2018

Eugenio Prosperetti

Avvocato esperto trasformazione digitale, docente informatica giuridica facoltà Giurisprudenza LUISS

Digital-Transformation

Il Responsabile della Trasformazione Digitale ha importanti competenze di coordinamento e indirizzo per assicurare che l’amministrazione pubblica attui puntualmente le norme e riforme relative alla trasformazione digitale. Ma la sua figura dovrebbe essere resa cogente, con la previsione di sanzioni o penalizzazioni all’ente che non procede alla nomina.

La circolare del primo ottobre scorso (circolare 3/2018), con la quale il Ministro della Funzione Pubblica ha richiamato l’attenzione di tutte le Amministrazioni sull’obbligo della nomina del RTD nell’ambito di ogni Amministrazione, ha il pregio di chiarire puntualmente quali siano le competenze e funzioni da assegnare ai nuovi RTD o da attribuire agli RTD già nominati, ma nasconde anche le purtroppo frequenti – quando si parla di digitale – criticità legate all’enforcement. Vediamo punti di forza e debolezze.

Ruolo e competenze del RTD

La circolare chiarisce alle Amministrazioni anzitutto che si tratta di un adempimento obbligatorio e non rimandabile in quanto di valenza strategica. L’adempimento era tra quelli previsti dal dal CAD sin dalla novella 2016 ma per lo più negletto (art. 17, 1-ter e 1-sexies CAD).

Il Responsabile per la Trasformazione Digitale è infatti nell’impostazione del CAD un organo di livello dirigenziale, che deve essere dotato di precisi poteri e deve possedere le necessarie competenze giuridico-informatiche.

Tali competenze non sono direttamente specificate dal CAD ma possono essere individuate, almeno a livello indicativo, in quelle che ha specificato la riguardo la Commissione Parlamentare di inchiesta sulla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione presieduta da Paolo Coppola e sono le seguenti:

  • Iscrizione all’Ordine degli Ingegneri Informatici; ovvero
  • Laurea in informatica o equivalente; ovvero
  • Esperienza almeno quinquennale nel settore privato nel campo dell’ICT; ovvero
  • Esperienza almeno quinquennale nel settore pubblico nel campo dell’ICT.

Quella del RTD non può dunque essere una funzione che viene assegnata a organi che in realtà fanno altro all’interno dell’Amministrazione o che non hanno specifiche competenze.

Peraltro, tali competenze, anche come individuate dalla Commissione, devono essere sia giuridiche che informatiche.

Dunque, in ipotesi, un ingegnere informatico dovrebbe comunque dar prova di dimestichezza con la normativa amministrativa.

Resta però il fatto che il RTD non può essere nominato all’esterno: l’art. 17 del CAD specifica che tale compito è affidato a un unico “ufficio dirigenziale generale”.

La sopra citata circolare ha allora il pregio di chiarire puntualmente quali siano le competenze e funzioni da assegnare ai nuovi RTD o da attribuire agli RTD già nominati.

E’ interessante che da una parte la circolare richiama le competenze esemplificative elencate dall’art. 17 del CAD ricordandole alle Amministrazioni destinatarie ma, dall’altra, ne aggiunge di nuove, a titolo di raccomandazione, “al fine di garantire la piena operatività dell’Ufficio” motivando la previsione “in ragione della trasversalità della figura”.

Esse sono:

  • il potere del RTD di costituire tavoli di coordinamento con gli altri dirigenti dell’amministrazione e/o referenti nominati da questi ultimi;
  • il potere del RTD di costituire gruppi tematici per singole attività e/o adempimenti (ad esempio: pagamenti informatici, piena implementazione di SPID, gestione documentale, apertura e pubblicazione dei dati, accessibiltà, sicurezza, ecc.);
  • il potere del RTD di proporre l’adozione di circolari e atti di indirizzo sulle materie di propria competenza (ad esempio, in materia di approvvigionamento di beni e servizi ICT);
  • l’adozione dei più opportuni strumenti di raccordo e consultazione del RTD con le altre figure coinvolte nel processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione (responsabili per la gestione, responsabile per la conservazione documentale, responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza, responsabile per la protezione dei dati personali);
  • la competenza del RTD in materia di predisposizione del Piano triennale per l’informatica della singola amministrazione, nelle forme e secondo le modalità definite dall’Agenzia per l’Italia digitale;
  • la predisposizione di una relazione annuale sull’attività svolta dall’Ufficio da trasmettere al vertice politico o amministrativo che ha nominato il RTD.

La circolare delinea insomma con chiarezza la figura del RTD come un dirigente inquadrato in uno o più enti – poiché è possibile anche nominare un solo RTD per più enti associati – il quale coordina e indirizza le varie funzioni dell’ente nella maniera più opportuna per assicurare il puntuale adempimento ed attuazione delle norme e riforme relative alla trasformazione digitale.

Esso ha quindi una funzione non solo di stimolo ma anche di effettivo indirizzo e coordinamento ed è organo dirigenziale dotato di responsabilità laddove l’Amministrazione sia in ritardo o inadempiente rispetto alla trasformazione digitale.

Lo staff di supporto al RTD

Non dobbiamo però dimenticare che l’art. 17 inquadra il RTD come “ufficio” e dunque l’RTD nominato dovrà individuare uno staff di supporto e all’Ufficio dovrà essere assegnato un budget per metterlo in grado di attuare i delicati compiti di cui è investito.

Infatti, come leggiamo nelle precisazioni fornite dall’Agid, l’RTD Ha un ruolo gerarchicamente superiore a ogni altro dirigente nell’attuazione di tutte le iniziative dell’amministrazione legate al digitale, anche per quanto riguarda pareri e verifiche. Ha poteri di impulso e coordinamento nei confronti di tutti gli altri dirigenti nella realizzazione degli atti preparatori e di attuazione delle pianificazioni e programmazioni previste dal Piano Triennale. Questa figura deve essere trasversale a tutta l’organizzazione in modo da poter agire su tutti gli uffici e aree dell’ente.

La nomina deve essere pubblicata sull’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA) poiché il Responsabile è anche al figura che funge da punto di contatto dell’Amministrazione verso l’esterno per le questioni legate alla digitalizzazione.

Dunque, non si tratta di una figura subordinata e che deve, per così dire, “concordare” con gli altri uffici dell’Amministrazione la transizione al digitale. Ma di una figura con il potere di coordinare e fornire agli altri uffici indirizzi e direttive gerarchicamente vincolanti e che, se disattese, possono dar luogo a responsabilità disciplinare/erariale.

Peraltro, laddove l’Amministrazione, non riuscisse ad individuare al proprio interno una figura con sufficienti qualifiche, potrà supplire fornendo al nominato supporto esterno, in forma consulenziale.

Enforcement, punto debole della circolare

I punti deboli della previsione relativa al RTD stanno forse – come spesso accade quando si parla di CAD e norme sull’agenda digitale in genere – nella possibilità di enforcement.

La circolare in questione nulla ci dice (come nulla diceva l’art. 17 del CAD) sulle conseguenze in caso di mancata nomina del RTD, al di là di una generica mancanza ad una funzione “strategica”.

Anche laddove il RTD sia nominato, egli teoricamente “risponde” – come si diceva – del mancato adeguamento dell’ente alle norme a presidio della trasformazione digitale tuttavia, per i noti principi a presidio della responsabilità amministrativa, non potrà certo rispondere laddove l’Ente non avesse avuto dotazioni di risorse o di personale sufficienti ad attuare le riforme.

Ad esempio, se un piccolo Comune non si interconnette al nodo dei pagamenti PagoPA, come previsto dall’art. 5 del CAD, perché non ha risorse per pagare l’interconnessione e non ha personale specializzato in grado di seguire le procedure di interconnessione via software, al suo RTD non potrà essere imputato di non essere stato in grado di assicurare l’adempimento della normativa sulla trasformazione digitale nel settore dei pagamenti.

Favorire logiche di switch off

Sembrerebbe dunque che interventi di questo tipo debbano essere integrati da metodiche di enforcement realmente stringenti ed accompagnati da politiche che rendano “inevitabile” la stessa trasformazione digitale prevedendo, almeno per alcuni servizi, logiche di switch off che obblighino gli utenti della P.A. a confrontarsi con i servizi digitali apprendendone il funzionamento in maniera da acquisire familiarità con le logiche di funzionamento ed erogazione dei servizi disponibili sulle piattaforme della P.A. e con l’identità SPID.

Altrimenti la figura del Responsabile della Trasformazione Digitale finisce con l’essere quella di un responsabile dell’attuazione di norme che non hanno una precisa scadenza e una precisa sanzione e, dunque, senza reale potere coercitivo anche se, in effetti, non è del tutto chiaro se la responsabilità del RTD si estenda anche alla fase di attuazione o si esaurisca nell’aver fornito a tutte le competenti funzioni le opportune indicazioni.

Sembrerebbe così a chi scrive che anche la figura del RTD avrebbe bisogno di essere rivista e resa più cogente, aggiungendo sanzioni o penalizzazioni all’ente che non procede alla nomina e chiarendo in che maniera funziona la responsabilità di tale organo con una migliore “job description”.

D’altronde, proprio la mancata cogenza di molte delle norme dell’agenda digitale, potrebbe limitare il potere del RTD di imporne il rispetto ed emanare indicazioni vincolanti: se i Comuni non attuano il domicilio digitale, ad esempio, come può l’RTD imporre all’Amministrazione di utilizzarlo?

Assimilare il RTD al Data Protection Officer

La figura del RTD dovrebbe essere cioè simile a quella del DPO (Data Protection Officer) prevista dal Regolamento GDPR: un vigilante in grado di richiamare l’Ente alle proprie responsabilità e dotato di poteri di segnalazione ma responsabile solo in casi estremi.

La norma di cui all’art. 17, poi, non è affatto chiara su quali siano le qualifiche più adatte per l’RTD nominando: essa parla di “adeguate competenze” in materia di informatica giuridica, “manageriali” e “tecnologiche”; all’atto della nomina è ben possibile che l’Ente non abbia nel proprio organico soggetti in grado di valutare tali competenze e ragioni di opportunità suggeriscano di non affidare la selezione a terzi. In tal caso l’ente dovrebbe autonomamente valutare competenze senza però averne esperienza. Su questo punto, insomma, una descrizione più analitica e con meno discrezionalità per l’ente avrebbe probabilmente giovato.

In conclusione, si può dire che la figura del RTD è certamente utile e laddove vi sia l’effettiva volontà di istituirla l’amministrazione non potrà che giovarsene.

Rimane tuttavia un problema di scarsa cogenza verso le varie amministrazioni della norma che impone la nomina e in questo ambito non sembra che l’intervento della circolare sia intervenuto in maniera significativa.

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