Turismo esperienziale, una nuova prepotente richiesta dal mercato turistico che rappresenta anche un’opportunità: di crescita, di nuovi business, di lavoro, di ruolo. Trasformando i turisti in “cittadini culturali” viene promosso il coinvolgimento dei cittadini residenti e della PA digitale come co-protagonisti di storie di trasformazione. Un’analisi dello scenario e le prospettive che si aprono per l’Italia.
“I mercati sono conversazioni”, ammonisce il pragmatico Cluetrain Manifesto.
“I rapporti umani sono la moneta corrente in molti mercati”, possiamo aggiungere alla luce dell’espansione del Turismo Esperienziale.
L’Italia è meta di flussi crescenti di turisti che sempre più spesso non hanno né voglia, né tempo, né le basi concettuali per apprezzare il nostro patrimonio culturale in maniera tradizionale. Cogliere il senso storico e artistico di un quadro barocco o di un’anfora romana non rientra nelle loro consuetudini o necessità. La coda agli Uffizi o al Colosseo li stranisce. L’ennesima chiesa si sovrappone nella loro testa al grande negozio di abbigliamento. La fruizione culturale classica è per loro noiosa, con barriere alla comprensione, affollata, offuscata dall’approccio nozionistico.
Più coinvolgimento con il nuovo turismo
Questi turisti vogliono fare, e non venir soverchiati da ciò che ritengono non gli serva conoscere. Desiderano vivere un’esperienza che li renda protagonisti, utile a capire qualcosa di se stessi e dell’Italia, divertente, rilevante nella narrazione della loro vacanza, raccontabile, condivisibile sui social, trasformabile in una conversazione.
Ciò non significa però minore curiosità o voglia di conoscenza: attraverso il fare colgono i perché, confrontandosi sugli aspetti della vita che interessano davvero.
Perché per quanto due culture siano distanti, due esseri umani hanno in comune la necessità di lavorare, mangiare, fare arte, elevarsi nel bello, sedurre, esplorare, raccontare storie: elementi che determinano una cultura, la forma di vaso o le scelte di un pittore barocco.
Accade così che le persone che si incontrano diventano la destinazione del viaggio. Le Esperienze rendono il visitatore davvero protagonista e si prestano per loro natura alla condivisione, al selfie, all’hashtag, alla narrazione che trasforma il visitatore/utente in ambasciatore.
Acquistare un’Esperienza significa – per esempio – passare alcune ore ad impastare la pizza o le tagliatelle con la signora Pina per poi mangiarsele al tavolo con lei; fare birdwatching col signor Giulio nel parco cittadino; godersi una giornata tra i vigneti o nell’uliveto; partecipare al tour dei pub o dei set di film; scavare in sito archeologico. E ancora wine tasting, pedalate su bici vintage, apericene su terrazze private, laboratori di mosaico, di italianità, di ceramica o di teatro. Significa poi fare per poche ore qualcosa di divertente con una persona sconosciuta di cui ti fidi perché altre persone che non conosci hanno certificato che vale la pena fidarsi.
Turismo, la spinta delle piattaforme digitali
Si è così ampliato il tradizionale turismo ‘lento’ legato alle passioni (la montagna, gli sport, i corsi di yoga e meditazione, il cicloturismo, …) al boom di esperienze di poche ore legate alla curiosità e allo svago per turisti che vogliono apprezzare una città ‘facendo’.
È un fenomeno in piena espansione in un mercato in cui l’incontro tra domanda e offerta è risolto dalle piattaforme digitali che disintermediano sia le Esperienze fornite da operatori esperti che da cittadini appassionati che lo fanno per lavoro o anche solo per entrare in contatto col mondo. Il colosso AirBnB le propone ad esempio, separate dall’affitto di case, già dal 2016. Oggi, solo a Roma, ne sono disponibili oltre 300, con migliaia di recensioni a cinque stelle.
In Italia siamo diversi, tutti ce lo riconoscono. Occorre dunque far praticare cosa ci differenzia dal resto del mondo nel pensare, gesticolare, vestire, mangiare, corteggiare.
Ad esempio, perché l’Italia eccelle nel design, perché qui si vive più a lungo e ci si suicida poco, perché metà degli stilisti di successo sono italiani, perché gesticoliamo parlando, perché il cibo è così particolare, perché mai il parmigiano sulle linguine alle vongole o perché non camminiamo con un beverone in mano, perché siamo immuni da attentati terroristici, perché tolleriamo l’infrazione alle regole.
Tutto questo ha radici nel passato, nel Medioevo, nel Rinascimento, nella nostra anima mediterranea, ci rende unici e interessa i turisti più dell’ennesima chiesa o museo, che apprezzeranno di più dopo l’esperienza dell’Italia reale con persone capaci di incarnare il senso della nostra cultura. È un turismo empatico, che apre la mente alle ragioni della nostra cultura, ideale per rafforzare la relazione, allungare le permanenze e destagionalizzare i flussi.
Empatia, la base del Design Thinking
Creando la relazione come base dell’esperienza, l’Italia del tedesco Georg sarà diversa da quella di Noemi o di Francis. Noi – come il Maestro Jedi – potremo illuminare, dare risposte o consigli ma la propria storia italiana se la scriveranno loro. Potrà svolgersi in una casa, spiaggia o in una piazza, in un museo, lungo un sentiero. Diventeranno così veri Cittadini Temporanei.
Questi turisti sono l’avanguardia che esplicita sogni e bisogni di tutti gli altri, e di molti cittadini. La loro richiesta di novità e svecchiamento dei cataloghi, di efficienza e semplificazione, è palese.
Vanno considerati come l’espressione esplicita di sogni e bisogni della massa meno intraprendente e più distratta. Osservando da vicino il fenomeno si colgono aspetti cruciali per la riprogettazione dell’offerta complessiva, anche tradizionale.
L’Empatia è alla base del processo di Design Thinking che è idoneo alla riprogettazione dei servizi culturali, turistici e anche oltre. Dall’empatia discendono i diversi ‘punti di vista’.
L’Empatia è da mettere alla base del processo di Design Thinking che è idoneo alla riprogettazione dei servizi culturali, turistici e anche oltre. Dall’empatia discendono i diversi ‘punti di vista’.
Comprendi ad esempio come molti asiatici abbiano problemi col significato di Avanti Cristo/Dopo Cristo, di come gli americani non abbiano parametri per comprendere un concetto come ‘duemila anni’ o il modello di famiglia che ci contraddistingue, come gli indiani vogliano mangiare il loro cibo tradizionale peggio di noi italiani in India. In molti non ci comprendono come forse noi non comprenderemmo il Giappone, o come ci illudiamo di capire New York perché l’abbiamo vista in tv. La distanza dalla nostra identità culturale sposta i loro interessi reali dalle cose alle persone.
Da tutto questo – per rimanere nel solco del Design Thinking – possiamo riprogettare l’esistente superandone i limiti, generando nuove idee, passando poi alla definizione di una soluzione migliore delle altre, al prototipo, al test, per poi dar vita a un servizio che sia Esperienza. (Di questo possiamo riparlare in un prossimo articolo ma, laddove ci si creda, il mercato è in grado di percorrere da solo queste fasi, se la PA lo agevola.)
PA digitale e turismo esperenziale
In questo scenario credo che il ruolo della Pubblica Amministrazione, nel sistema di promozione turistica, sia in pochi anni cambiato per strategia, strumenti, regole, processi e investimenti necessari.
In Europa, diverse città hanno ben compreso come agevolare la condivisione delle Esperienze sia il cuore delle strategie di marketing: si sono attrezzate e hanno radicalmente cambiato l’approccio. Spiccano Atene, Helsinki, Zurigo che con altre mettono al centro di tutto l’incontro tra i “cittadini temporanei” e gli abitanti. I loro siti web sono tutti legati al cosa ‘fare’ e non più al cosa ‘vedere’ o agli ‘itinerari’. Tutti mettono in relazione diretta persone locali con i turisti.
Molto innovativa è la strategia di Wonderful Copenaghen che postula come la Pubblica Amministrazione debba rendere condivisibili le offerte di esperienze legate al territorio, assistere i cittadini nella relazione col turista, accertarsi che questa relazione virtuosa avvenga per 365 giorni l’anno, dotarsi di business intelligence per capire cosa fanno i turisti e – soprattutto – cosa non fanno e perché, studiare gli idealtipi e formare gli operatori sulle loro diverse necessità, trasformare i cittadini in ambasciatori innamorati della propria città e desiderosi di aprirsi al mondo.
Dal punto di vista della Pubblica amministrazione lo sviluppo del Turismo Esperienziale produce una formidabile mole di dati, feedback, mappe di flussi e relazioni. Consente di capire i bisogni, sogni e necessità e – di conseguenza – programmare al meglio la città per chi ci vive e per chi ci arriva.
Ecco che l’uso degli spazi, ristorazione, i musei, il patrimonio artistico, i mezzi di trasporto, gli hotel sono l’infrastruttura su cui si possono costruire le Esperienze, e funzionano se sono tra loro armonici, utili, sicuri e adeguati a rendere memorabili le vacanze e le vite dei loro clienti.