CULTURA DIGITALE

Sfida digitale per rilanciare i beni culturali, ecco le strategie vincenti per l’Italia

Nessun piano per l’innovazione per il 76% dei musei, bassi investimenti in Ict, scarsa presenza di professionisti con skill mirate, backoffice ancora “tradizionale”. La fotografia delle istituzioni culturali ritrae un Paese impreparato a sfruttare i vantaggi offerti dalle nuove tecnologie. Lo scenario e i passi da fare

Pubblicato il 28 Giu 2019

Eleonora Lorenzini

Direttore Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali

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Il Made in Italy culturale rischia di andare incontro a conseguenze pesanti se l’Italia non riuscirà ad attuare un Piano Marshall per le istituzioni culturali.

Com’è noto, le istituzioni culturali italiane si trovano oggi al centro di un processo di profondo cambiamento, stimolato dalla necessità di aprirsi all’esterno, utilizzando modi e linguaggi nuovi fortemente influenzati dal digitale. Una trasformazione che costituisce una sfida, ma anche un’opportunità per avvicinare nuovi pubblici e per valorizzare i beni materiali e immateriali che le istituzioni custodiscono e producono.

Le analisi condotte dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali del Politecnico di Milano hanno evidenziato come i primi processi a essere investiti dall’innovazione digitale nelle istituzioni culturali siano stati quelli di comunicazione e relazione con il pubblico. Come rilevato anche nel turismo, infatti, sono le esigenze e i comportamenti della domanda a fungere in molti casi da traino per un aggiornamento dell’offerta.

Così la digital transformation sta cambiando i beni culturali

Il digitale sta però iniziando a trasformare le istituzioni culturali anche dall’interno. L’innovazione, ad esempio, costituisce un supporto fondamentale per catalogare il patrimonio, attività imprescindibile per un’appropriata conoscenza, gestione e valorizzazione. Ma supporta anche le organizzazioni nel raggiungimento di una maggiore trasparenza ed efficienza amministrativa.

Le indagini condotte su un campione rappresentativo dei quasi 5.000 musei, monumenti e parchi archeologici italiani e presentate nell’ambito dell’annuale convegno dell’Osservatorio (Il viaggio nella cultura è digitale: chi guida?) hanno mostrato una fotografia fatta allo stesso tempo di luci e di ombre. Il 69% di siti è presente su almeno un canale social, soprattutto su Facebook (67%) e Instagram (26%). Oltre ad ampliare l’offerta sui propri canali, oggi le istituzioni si stanno aprendo alla collaborazione con gli altri attori del mondo digital: il 76% dei musei è presente su Tripadvisor (+1% rispetto al 2018) ma è ancora poco diffusa la valorizzazione di altri canali come le online travel agency (OTA) o i tour operator online.

Nonostante il 78% dei musei dichiari di avere un sistema di biglietteria (nei musei ad accesso gratuito spesso manca un sistema di biglietteria e di controllo degli accessi), solo nel 20% dei casi questo consente l’acquisto online del biglietto stesso. Inoltre, solo l’8% delle istituzioni consente di effettuare l’ingresso senza dover stampare il biglietto su carta. I dati sugli incassi da biglietteria confermano che la maggior parte degli acquisti è ancora in loco e in media solo il 4% dell’incasso da biglietteria proviene dal sito web proprietario e l’1% da altri canali online.

I musei italiani sono, inoltre, ancora poco digitalizzati per le attività di back office. Il 32% non dispone di alcun sistema informatizzato di supporto alle attività amministrative e di back office, come la gestione degli acquisti o del personale. Quanto alle attività di analisi e monitoraggio, il 36% ha un software di customer relationship management (CRM) e gestione dei contatti (gestito autonomamente o in comune con altre istituzioni) e la stessa percentuale ha dei software per la reportistica.

Per i musei investimenti in digitale all’anno zero

Se le istituzioni culturali sembrano aver compreso che la strada verso il futuro non può che passare da una migliore digitalizzazione delle attività, sono ancora in poche ad essersi dotate di una chiara e strutturata strategia legata al digitale con un conseguente adeguato piano di investimenti e l’introduzione e lo sviluppo di competenze digitali. Con riferimento alla formalizzazione della strategia digitale, il 76% dei musei ha dichiarato di non avere alcun piano strategico dell’innovazione digitale. Gli investimenti destinati al digitale, inoltre, sono ancora contenuti: negli ultimi due anni, il 15% dei musei ha dichiarato di non aver realizzato alcun investimento e un’istituzione culturale su due dichiara un investimento compreso tra l’1% e il 10% del proprio budget investimenti. Infine, parlare di innovazione digitale risulta molto difficile senza la presenza di adeguate figure professionali e il 64% dei musei ha dichiarato di non avere al proprio interno professionisti con competenze legate al digitale; quando presenti, sono per lo più legate alla comunicazione.

Il gap fra servizi a disposizione e esigenze del cliente

Questi dati sono stati messi poi in dialogo con l’analisi dello user journey che ha evidenziato il gap ancora presente tra i servizi messi a disposizione dai musei e i comportamenti e le esigenze dell’utente, sempre più connesso a internet nelle varie fasi: dall’ispirazione, alla visita, al post-visita. Oltre a migliorare e ampliare l’offerta sui propri canali (il ticketing online, ad esempio) è indispensabile che le istituzioni culturali si aprano alla collaborazione con quegli attori, sia pure digital (come agenzie di viaggio e tour operator online, specializzati e non) che ‘tradizionali’ (strutture ricettive e altri servizi turistici del territorio, network relativi a card turistiche), che possono aiutarle a ingaggiare il visitatore e offrirgli un miglior livello di servizio.

Non dimentichiamo che gli utenti delle istituzioni culturali sono le stesse persone che nella vita quotidiana sono abituate agli standard di servizio e personalizzazione offerti da giganti come Amazon e Booking.com, che l’istituzione culturale può non avere le forze per raggiungere da sola, ma ai quali si può comunque avvicinare valorizzando opportune collaborazioni.

Ecosistema cultura, per le startup il programma PoliHub

Le startup, ad esempio, possono essere un volano di crescita e innovazione, ma in questo settore soffrono anch’esse di un problema analogo a quello delle istituzioni culturali: mancanza di un business model ben strutturato, con value proposition e target troppo indefiniti (il generico museo o il generico visitatore culturale). Per questo l’Osservatorio all’interno del proprio Convegno annuale di restituzione dei risultati ha voluto dedicare una sessione a Idee Vincenti, progetto che ha permesso a 5 startup dell’ecosistema culturale (Aerariumchain.com; AuthclicK; CityOpenSource; Percorsi di contaminazione tattile; Vedere l’invisibile) di accedere a un programma di accelerazione della durata di 6 mesi in PoliHub, l’incubatore del Politecnico di Milano, con l’obiettivo di accompagnare i team nella definizione di un piano di sviluppo calibrato su ciascuna idea imprenditoriale e sul relativo mercato di riferimento.

Molti e diversificati attori hanno quindi avviato il loro viaggio verso l’innovazione nell’ecosistema culturale, ma è un itinerario che ha bisogno di essere sostenuto, da vari punti di vista: quello strategico, quello della formazione delle competenze sia nelle istituzioni culturali che nelle realtà imprenditoriali, quello degli investimenti. Per chi vuole approfondire ne parliamo più diffusamente in questo articolo: https://blog.osservatori.net/it_it/made-in-italy-alimentare-turismo.

Le opportunità offerte dal digitale sono tante, ma per coglierle serve uno sforzo congiunto, a vari livelli. C’è da augurarsi che si comprenda l’importanza di valorizzare il patrimonio italiano attraverso una strategia mirata alla cultura digitale. Prima che siano altri a occuparsene.

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