IL SONDAGGIO

“Una politica industriale per la crescita digitale”: la richiesta degli esperti al Governo

Primo dei due articoli in cui è suddiviso il report con il nostro sondaggio a 35 esperti. Sostanziale condivisione dei settori dove è più urgente la definizione di una politica industriale, e anche sugli strumenti che il governo dovrebbe utilizzare per incentivare la crescita digitale e l’innovazione del mercato italiano

Pubblicato il 17 Nov 2015

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Dopo la discussione scaturita dalle nostre valutazioni sulla necessità di una politica industriale per il digitale, abbiamo proposto la stessa riflessione agli esperti che collaborano più frequentemente con AgendaDigitale.eu. Hanno risposto alle nostre domande in trentacinque, di varia provenienza, ma con una prevalenza di attori istituzionali (14) e dalle imprese (8), oltre che dalla politica (4), dal mondo dell’education (6) e da associazioni della società civile (3). Ne sono scaturiti degli spunti di riflessione molto interessanti, a tal punto che abbiamo pensato di suddividere in due articoli il report sui riscontri ricevuti, uno (questo) focalizzato sulle valutazioni e un altro (che pubblicheremo nei prossimi giorni) in cui cerchiamo di integrare le ricche e interessanti riflessioni dei nostri esperti, soprattutto in tema di ostacoli da superare, provando anche una sintesi per una proposta di approccio per una politica industriale per la crescita digitale.

Necessità di una politica industriale

La prima domanda chiedeva una valutazione della politica industriale attuale rispetto alle esigenze della crescita digitale nazionale, proponendo una scala di giudizi da 1 a 5 (da del tutto insoddisfacente a del tutto soddisfacente). Qui la risposta prevalente (50%) si è assestata sul giudizio intermedio, con il 47% di giudizi negativi e solo 1 esperto con un giudizio positivo.

Segno evidente di una diffusa percezione che i margini di miglioramento sono molto pronunciati e che quindi è utile e opportuno approfondire il tema. E così abbiamo fatto.

Quali sono i settori strategici

Con le due successive domande abbiamo proposto pertanto di entrare nel merito, chiedendo di specificare i settori che si ritenevano strategici e, rispetto a questi, di esprimere una valutazione sull’adeguatezza della politica industriale già definita. Sottolineando, allo stesso tempo, cosa intendessimo per politica industriale, definendola comel’insieme strutturato di interventi (policy, programmi e strumenti) deciso e organizzato dal soggetto pubblico, finalizzato ad influenzare il sistema industriale secondo direzioni, tempi ed entità diversi da quanto sarebbe avvenuto in assenza degli interventi stessi, per perseguire finalità di carattere micro e macro-economico e sociale”.

Basandoci sugli studi e sulle proposte maggiormente diffusi, abbiamo proposto otto settori da valutare primariamente (Abbigliamento, Agricoltura, Education, Energia, Information Technology, Manifatturiero, Telecomunicazioni, Turismo), lasciando naturalmente la possibilità di aggiungerne altri. Solo 4 esperti hanno segnalato l’opportunità di estendere i settori da considerare strategici, in particolare includendo la Sanità, la Ricerca (come settore a sé stante, soprattutto su nuovi materiali, algoritmi, batterie, sistemi di logistica), e anche proponendo un diverso punto di vista “ le politiche industriali ‘settoriali’ tendono ad essere distorsive. Meglio politiche ‘fattoriali’ che operano sui fattori abilitanti di un’economia: istruzione, pubblica amministrazione, fisco”.

Le risposte, come si rileva anche dal grafico qui sotto presentato, sono state molto convergenti sull’identificare, come settori strategici di una politica industriale per la crescita digitale (nell’ordine, tutti con segnalazioni oltre il 40%), Information Technology, Education, Telecomunicazioni, Turismo, Manifatturiero, Energia.

Interessante quindi la valutazione correlata rispetto alla priorità di definizione di una politica industriale nei settori strategici, naturalmente conseguenza di una valutazione negativa sulla politica attuale. In questo caso si abbassano (di poco) le percentuali e cambia, solo per un settore, anche l’ordine: Information Technology, Education, Turismo, Telecomunicazioni, Manifatturiero, Energia. Con l’eccezione del settore Telecomunicazioni, infatti, la maggioranza di chi identifica un settore come strategico ritiene anche che sia necessario intervenire su quel settore per una migliore definizione della politica industriale.

Siamo passati così all’approfondimento conseguente, cercando ancor di più di entrare nel merito della politica industriale che si propone.

Quali tipologie di intervento

Naturalmente senza pretendere di poter esaurire il tema o di portarlo su un piano già progettuale, abbiamo cercato di comprendere in che modo si pensava di comporre gli interventi di politica industriale sui settori strategici per la crescita digitale.

Come sempre, abbiamo proposto alla valutazione alcune delle tipologie di intervento più note, lasciando comunque lo spazio per integrazioni.

Come si rileva dal grafico, c’è un’altissima convergenza sulle semplificazioni normative e burocratiche (89% di giudizi positivi), seguite da supporto alla costruzione di ecosistemi di innovazione (72%), incentivi e decontribuzioni (70%) , mentre sono contrastanti le valutazioni sugli investimenti diretti del settore pubblico per la fornitura di servizi e infrastrutture per l’innovazione del settore strategico, per cui al 67% di giudizi positivi si contrappone il 14% di giudizi esplicitamente negativi.

Su questo fronte sono interessanti le diverse proposte di integrazione, che consentono di delineare meglio i tipi di intervento su cui costruire una politica industriale. Ecco qui una breve sintesi di alcune delle proposte, che ampliano o dettagliano le tipologie presentate:

  • incentivi verso Start-up innovative (Andrea Penza);
  • riduzione drastica dei tempi della giustizia aumentandone la capacità dissuasiva;
  • partnership pubblico privato;
  • contratti di Programma;
  • digital Bond pubblici a sottoscrizione finalizzata (Antonello Busetto);
  • definizione di standard di interoperabilità utili alla creazione di ecosistemi digitali, senza però che le PA si sostituiscano alle imprese private con piattaforme pubbliche (Edoardo Colombo);
  • supporto alla definizione di distretti territoriali, e sviluppo di sinergie con centri di ricerca/università (Marco Bani);
  • allargamento del mercato, cessando progressivamente il supporto ai grandi gruppi per favorire imprese nuove (Enrico Consolandi);
  • definizione quadro normativo stabile e semplificato (Andrea Lisi, Enrico Consolandi);
  • utilizzo di un approccio strutturato con la definizione di un Piano Strategico, di una campagna di comunicazione a sostegno del piano e dei risultati ottenuti, la costituzione di team di execution e di un responsabile della realizzazione del Piano (Stefano Pileri);
  • in un’ottica di obbligatorietà delle soluzioni digitali, incentivi alla migrazione, all’utilizzo e quindi allo switch-off delle modalità tradizionali di interazioni (Rossella Lehnus);
  • ammortamento abbreviato per investimenti in tecnologie ad alto valore aggiunto (Cristina Bargero);
  • reti d’impresa per le PMI con supporto ICT embedded;
  • riduzione tariffaria per chi usa pagamenti elettronici;
  • servizi online della PA come killer application: significativamente meno costosi rispetto a quelli analogici, semplici, sempre disponibili (Carlo Mochi Sismondi);
  • promozione dell’incontro tra “clienti”: aziende, scuole …in modo che gli sviluppi siano fatti su una vision sullo sviluppo nei prossimi anni (Giovanni Biondi);
  • piattaforme di scambio di offerte e richieste (Valerio Eletti);

Gli interventi che però vengono sottolineati in modo diffuso come indispensabili sono quelli che riguardano lo sviluppo delle competenze e, in particolare, investimenti in cultura e conoscenza (Alessandro Perego), sostenendo le attività di ricerca e sviluppo, ma anche investendo sulla formazione (Piero Dominici, Paolo Ferri), nella scuola e nell’università, per poter offrire una nuova classe dirigente aperta all’innovazione e all’internazionalizzazione (Gianluigi Cogo), e anche formando “evangelisti” del digitale in ambito scolastico, universitario e PMI (Valerio Eletti) e diffondendo nelle imprese cultura sulle possibilità offerte dalla gestione documentale (Patrizia Saggini).

La cultura e le competenze, che devono essere la nostra ossessione, visto anche il ritardo in cui ci troviamo, costituiscono, non a caso, l’infrastruttura immateriale più importante, indispensabile per qualsiasi politica industriale.

Naturalmente i nostri esperti non si sono fermati qui e hanno identificato anche gli ostacoli che bisogna superare per impostare e attuare una politica industriale per la crescita digitale rispetto ai settori strategici individuati. Ma questo è argomento del secondo articolo.

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