Istruzione

È la Scuola italiana quella che discrimina di più

Risulta evidente da un recente rapporto Ocse. Siamo ultimi in Europa per capacità di compensare le diseguaglianze culturali tra ricchi e poveri. Facciamo peggio di Romania, Bulgaria e Ungheria. Tradito il mandato costituzionale. Ma non è colpa degli insegnanti. Ecco alcune proposte

Pubblicato il 02 Mar 2015

Paolo Ferri

Professore Ordinario di Tecnologie della formazione, Università degli Studi Milano-Bicocca

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La scuola italiana, non solo è quella che da più compiti a casa agli studenti, ma è anche la più discriminatoria d’Europa: lo afferma l’OCSE. Approfondiamo in questo articolo questo tema rilevantissimo di equità sociale, che nel precedente articolo per Agendadigitale.eu ho toccato solo tangenzialmente (P. Ferri, Studiare tanto imparare poco).

Uno dei risultati più impressionanti dell’analisi dell’OCSE è quello che colloca l’Italia e la Cina al vertice delle diseguaglianze (nell’apprendimento della matematica a questo si riferisce il report) tra studenti di condizione socio-economica svantaggiata e studenti di famiglie colte e abbienti. Già il titolo del Report dell’OCSE, che prendiamo e abbiamo preso di recente in considerazione, orienta la nostra analisi: Does homework perpetuate inequities in education? (I compiti a casa non fanno che perpetuare le differenze sociali nella scuola?). La domanda per gli esperti dell’OCSE è retorica e la risposta non può essere che affermativa, soprattutto analizzando la figura 1 che presentiamo in questo articolo più sotto. L’OCSE nel suo report afferma: “I compiti sono un’opportunità per l’apprendimento, ma possono anche rafforzare le disparità socio-economiche in relazione al rendimento degli studenti. Le istituzioni scolastiche e gli insegnanti dovrebbero cercare di attivare una serie di iniziative per facilitare gli studenti svantaggiati nello svolgimento dei compiti. Potrebbero, ad esempio, aiutare i genitori a motivare i loro figli a svolgere come maggior attenzione compiti. Oltre a fornire loro servizi in modo che gli studenti svantaggiati abbiano luoghi, a scuola (digitali o reali), dove poter completare il lavoro di classe ove questi luoghi siano “disponibili” nelle loro case.”

Ora proviamo ad analizzare meglio i dati che l’OCSE ci fornisce osservano la figura 1 qui sotto.

Fonte: Ocse, dicembre 2014

Come si evidenzia in maniera chiara dalla presentazione in forma grafica dei dati, gli scostamenti dalla media dei punteggi nel test OCSE PISA dovuti alla condizione socio-economica sono molte bassi in tutti i paesi d’Europa, a volte irrilevanti come in Germania. Fanno eccezione in ordine di gravità in questa classifica per l’Italia (sciaguratamente prima in Europa) la Romania (seconda), la Bulgaria e l’Ungheria (rispettivamente terze e quarte nel nostro continente). Qualcosa non va nella scuola italiana e nella sua infrastruttura, i dati evidenziano i seguenti elementi di riflessione:

1. la scuola italiana è un moltiplicatore di diseguaglianze e non un “ascensore sociale” per gli studenti in condizioni economiche svantaggiate;

2. La condizione economico-culturale delle famiglie è il vero motore del successo formativo degli studenti e le famiglie svantaggiate si trovano gravate di un ruolo che non spetta loro e che dovrebbe essere assolto dall’istituzione scolastica.

3. La scuola italiana tradisce il mandato costituzionale dal momento che l’articolo 34 del titolo II della prima parte della Costituzione recita: “La scuola è aperta a tutti. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.

E’ proprio quest’ultimo elemento che rende la situazione della nostra scuola, e non ovviamente per colpa degli insegnanti e dei dirigenti, davvero “poco sostenibile” e profondamente ingiusta.

E’ la forma organizzativa e l’infrastruttura della nostra scuola che la rende inadeguata, non la professionalità dei suoi dipendenti! I nostri studenti non solo studiano il doppio a casa rispetto ai loro colleghi europei, ma questo eccesso di responsabilizzazione della famiglia non fa che rendere più ingiusta, censitaria e classista la nostra scuola pubblica.

A maggior ragione alla luce dei dati OCSE che più diffusamente presentiamo in questo articolo e del dibattito che si è sviluppato – vivace ed a volte polemico – sul mio precedente articolo, mi sento di ribadire, alla vigilia della presentazione del decreto attuativo relativo alla Buona Scuola del Governo Renzi, alcune priorità d’intervento per riportare la scuola italiana ad un buon livello di competitività con le migliori esperienze europee.

1. Il Governo dovrebbe finanziare con un piano straordinario per fornire la “connessione” a banda di tutte le aule delle scuole italiane. Non è possibile che in Italia sono il 9% delle classi abbia accesso a Internet, permettendo in questo modo solo a pochissimi insegnati e studenti di accedere ai contenuti educational free di ottima qualità orami largamente disponibili sul web.

2. Il governo dovrebbe dare attuazione ad un altrettanto “straordinario” piano di formazione degli insegnati e dei dirigenti, che vada molto oltre il recente e davvero esiguo stanziamento di un milione di euro per la loro formazione al digitale dei docenti. Senza una reale e capillare formazione metodologica alla didattica aumentata dalla tecnologia la scuola italiana non potrà mai adeguarsi agli standard di qualità ed efficacia della formazione che l’Europa ci richiede di raggiungere nel 2020, come infatti prevede l’Agenda digitale europea, almeno nella parte dedicata alle competenze digitali.

3. Il governo dovrebbe dare concreta attuazione alle indicazioni positive contenute nell’allegato tecnico al decreto Carrozza sui contenuti e sugli ambienti digitali di apprendimento. In particolare dovrebbe rendere obbligatoria l’adozione per tutte le scuole di ogni ordine e grado di quelle “piattaforme interoperabile di gestione dei contenuti e della didattica” che vengono solo evocate come suggerimento nel testo. Solo potendo contare su “ambienti virtuali per l’apprendimento” efficienti, i docenti potranno “pilotare”, attraverso un cruscotto digitale, le attività al di fuori della scuola degli studenti, i “compiti a casa” ad esempio. Si tratterebbe di un contributo concreto per ridurre le ore di “compiti a casa”, ma soprattutto per ridurre il gap drammatico, nei risultati scolastici, tra le famiglia più avvantaggiate economicamente e quelle più svantaggiate. Sarebbe la scuola in questo caso e non la famiglia a farsi carico dello studio personale dei singoli studenti.

Si tratta solo di alcune “modeste proposte” che richiedono stanziamenti e risorse ingenti ma che riteniamo “necessarissime”, se vogliamo che a livello internazionali e nella stessa percezione famiglie italiane la scuola ritorni ad essere, come lo è stato nella seconda metà del secolo scorso, un luogo di promozione della giustizia sociale e delle pari opportunità tra cittadine e di cittadini piuttosto che un moltiplicare di diseguaglianza, come il report dell’OCSE ci indica.

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