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Cittadinanza digitale, identità e pagamenti: dove siamo arrivati e i nodi da sciogliere

Il lavoro da fare per assicurare effettività alla cittadinanza digitale è ancora molto e non mancherà nel 2022. Grandi i progressi fatti in pochissimo tempo, ma ancora molte le sfide da affrontare. Ecco quali

Pubblicato il 12 Gen 2022

Eugenio Prosperetti

Avvocato esperto trasformazione digitale, docente informatica giuridica facoltà Giurisprudenza LUISS

servizi pubblici digitali

Per l’identità digitale e i pagamenti elettronici specialmente quest’anno siamo in un momento importante.

Diversamente da quanto si scriveva in analoghi articoli appena due anni fa, oggi l’identità digitale – nella forma di SPID e CIE – è di uso comune e lo stesso vale per il sistema PagoPA.

La gran parte della popolazione ha avuto occasione di sperimentare l’uso di questi due sistemi – pur con le limitazioni di cui parleremo tra poco – o, quanto meno, ne ha una qualche idea.

Non è poco.

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Possiamo però dire lo stesso per la cittadinanza digitale? Possiamo cioè dire che ogni residente in Italia ritiene di beneficiare di un sistema di cittadinanza digitale e di avere diritti in questo senso?

La risposta, a mio avviso, deve essere ancora negativa.

Chi scrive non si considera un osservatore oggettivo dei fenomeni della trasformazione digitale: troppo consapevole dei vari sistemi a disposizione, dunque, prima di scrivere un articolo come questo la cosa da fare è parlare con le persone che si conoscono, con parenti, colleghi, amici e conoscenti e fare domande: ebbene nessuno sa cosa sia la cittadinanza digitale anche se SPID e CIE sono ormai fenomeni noti. PagoPA però non evoca altrettanta familiarità in molte persone.

Se, dunque, dobbiamo brevemente tracciare un bilancio del progresso fatto in questo anno, anche guardando ai temi sollevati l’anno precedente, mi sembrerebbe di poter dire che il traguardo raggiunto riguarda la consapevolezza generalizzata sull’esistenza e l’uso dell’identità digitale, anzi, delle identità digitali, come sistema di accesso per i servizi… pubblici: nessuno sa infatti, ancora, che le identità digitali possono essere chiave di autenticazione, accesso e registrazione anche per i servizi privati.

Affrontiamo, allora, i diversi temi sul tavolo.

La cittadinanza digitale, i progressi tra lacune e norme incompiute

Esaminiamo anzitutto il tema della cittadinanza digitale: essa è ormai definita anche nei più recenti testi di Educazione Civica e la più semplice delle definizioni utilizzate è la seguente: la Cittadinanza digitale è rappresentata dalla capacità del cittadino di partecipare alla vita online; passiamo quindi da un concetto di cittadinanza in relazione all’appartenenza a uno Stato a quella di abitante di una comunità, che è online, virtuale.

Se guardiamo agli attuali strumenti messi a disposizione dall’apparato normativo del Codice dell’Amministrazione Digitale, con le sue numerose riforme e delle regole tecniche attuative, oltre che alle varie piattaforme di cui si è dotato l’apparato della Pubblica Amministrazione centrale e locale, non possiamo negare che la capacità del cittadino di partecipare alla vita online, interagendo, per molti servizi con l’Amministrazione utilizzando servizi esclusivamente telematici, sia stata molto potenziata ed oggettivamente esista.

Cosa manca e i prossimi step

Allora perché dire che non esiste ancora la cittadinanza digitale e che essa fatica ad essere percepita? Cos’altro manca e, tornando al tema dell’articolo, cosa occorre mettere in cantiere per il 2022?

Direi che manca l’universalità e l’inclusività: gli attuali sistemi, figli dell’accelerazione data alla trasformazione digitale durante il periodo emergenziale – purtroppo ancora non concluso – sono stati realizzati utilizzando tecnologie avanzate ed efficienti che, tuttavia, sono facilmente utilizzabili ed accessibili solo a quei residenti (sarebbe sbagliato dire cittadini) che sono già digitalmente alfabetizzati e capaci.

Si tratta di piattaforme che privilegiano l’utilizzo tramite app e smartphone.

Esse mal supportano l’accesso di persone che, per qualsiasi motivo, non siano dotate dell’idoneo hardware (smartphone) o capaci di usarlo in maniera evoluta, padroneggiando azioni come le autenticazioni biometriche, il passaggio rapido tra una “app” e l’altra, l’uso delle notifiche sul cellulare, la memorizzazione di password aggiornate di frequente, la lettura di dati su schermi di dimensioni contenute, l’input su touch screen, la gestione di account per scaricare la relativa app da una “app store”.

Esiste dunque una rilevante parte di cittadini che non ha familiarità o capacità dell’uso evoluto dello smartphone e, per i quali, molte volte, non è una questione di “imparare” ma si tratta di vera impossibilità, che ha precluso questa modalità di accesso ai servizi online dello Stato, così come ora proposti.

Poiché la cittadinanza è un concetto a vocazione universale, nonché un diritto, non si può ancora parlare di piena realizzazione della stessa e non sorprende perciò che essa sia poco percepita.

Occorrerebbe pertanto lavorare sul realizzare l’accesso ai servizi tramite canali alternativi alle app “uniche”, tramite dispositivi fissi e indipendenti dagli account mobili, tramite web su fisso.

Le norme incompiute della cittadinanza digitale

Peraltro, mancano ancora componenti fondamentali della “cittadinanza digitale”: esistono infatti ancora norme incompiute e isole di inapplicabilità degli strumenti di cittadinanza digitale costituiti dalle norme del CAD. Nei fatti, oltre al problema dell’universalità sopra descritto, esiste anche un problema di omogeneità di applicazione: l’utente dei servizi digitali della P.A. naviga – come avveniva agli utenti della rete cellulare agli albori dell’era della comunicazione radiomobile – tra aree “coperte” e aree “scoperte” dovendo, a seconda dei casi, adeguarsi al sistema digitale o ripiombare bruscamente nell’analogico a seconda del servizio utilizzato o, comunque, anche laddove un servizio digitale esiste, imbattersi in norme applicative, a volte poco aggiornate o ancora non complete.

Una prima considerazione in questo senso riguarda il domicilio digitale, ancorché previsto per Legge come obbligatorio, esso è poco conosciuto e percepito ed applicato in maniera poco costante.

Ad oggi, dopo che una serie impressionante di norme quali il CAD, nelle sue varie ultime riforme e il Decreto Semplificazioni, ne hanno ribadito l’attuazione, ancora non è affatto chiaro come si possa dichiarare alla Pubblica Amministrazione.

I Comuni si stanno attrezzando per richiederlo, all’accesso ai propri siti, senza però in molti casi, informare il cittadino che la richiesta comporta l’elezione di domicilio digitale.

Alcuni enti iniziano inoltre, con sorpresa dei cittadini, ad applicare quella norma del Decreto Semplificazioni – ad avviso di chi scrive da abrogare – per cui l’Amministrazione può tenere buono come domicilio digitale qualsiasi indirizzo PEC da cui un cittadino abbia scritto, anche se si tratta di PEC di altri: se io scrivo all’Amministrazione dalla PEC di mia zia, potrebbe d’ora in poi mia zia a ricevere qualsiasi comunicazione a me diretta, ivi incluse cartelle esattoriali, multe e comunicazioni previdenziali; non è inoltre affatto chiaro come si possa revocare tale elezione di domicilio e quale sia la legittimità di tale norma dal punto di vista del trattamento dei dati personali.

A chi scarica l’App Io non è inoltre per lo più noto che sta eleggendo sul proprio smartphone un domicilio digitale e, peraltro, manca qualsiasi forma di coordinamento tra domicili digitali: un professionista che ha la PEC iscritta a pubblici registri e l’app IO che domicilio digitale ha eletto?

Vi sono ancora ampie isole normative di esenzione dai presidi della cittadinanza digitale che, se potevano aver senso agli albori dell’avvio della trasformazione digitale della P.A. – che si possono far coincidere con l’istituzione dell’Agid nel 2012 – non sono più giustificati.

I problemi della giustizia digitale

Non si comprende infatti perché il processo telematico segua – per espressa deroga contenuta nel CAD – regole a sé stanti, del tutto esenti da SPID e CIE e solo parzialmente ricognitive degli altri presidi digitali quali firme, notifiche, pagamenti e domicili digitali; è intollerabile che proprio nel luogo dove si giudica la conformità normativa non si rispettino le medesime regole che valgono per la cittadinanza digitale: si pensi che nel processo amministrativo telematico non è valido l’atto firmato con firma digitale, se la firma è in formato CADES (p7m) e vi sono in tutti i processi telematici tuttora seri problemi a depositare particolari formati di file per via telematica. Un auspicio per il nuovo anno sarebbe certamente nel senso dell’avvio dell’integrazione e coordinamento di questi sistemi ma non si vede traccia di alcuna attività in questo senso.

L’identità digitale pubblica: Spid e Cie

Anche il sistema dell’identità digitale pubblica, come si diceva, è diffuso e conosciuto ma, ancora, fortemente incompleto.

Anzitutto, notiamo una eterogeneità forte tra le due identità digitali italiane: SPID e CIE non sono, nei fatti, utilizzabili allo stesso modo e per le stesse tipologie di servizi.

Entrambe le identità sono ora, per espressa previsione normativa, utilizzabili per i servizi privati.

Solo che, mentre SPID lo è sin da principio, CIE è stata adeguata “in corsa” da successive previsioni del recente Decreto Semplificazioni.

Se, dunque, il quadro delle regole tecniche per l’uso di SPID per i privati manca ancora di molte componenti fondamentali, come diremo fra un attimo, per quanto riguarda CIE, sono poco chiare o addirittura mancanti addirittura molte regole generali; ad esempio, non si comprende bene, ad oggi, chi sia competente a rilasciare gli accreditamenti per i service providers privati che possono accettare l’identità CIE e non vi è alcuna espressa previsione normativa al riguardo e non si comprende se tale utilizzo per servizi privati sia gratuito o a titolo oneroso, come invece avviene per SPID. Non vi è inoltre alcun coordinamento tra CIE e SPID per quanto riguarda le norme tecniche relative all’uso nei servizi dei privati, sicché tutto il lavoro fatto per mettere a punto la regolamentazione di una tipologia di utilizzo privato di SPID (es. attributi, aggregatori, ecc.) andrà poi ripetuto per quanto riguarda CIE.

Per quanto riguarda SPID, nonostante assicurazioni in varie sedi all’industria di settore, da parte delle competenti agenzie, il 2021 non ha ancora visto la partenza dei servizi di aggregatori privati SPID e dei gestori di attributi qualificati, che attendono il via da parte AGID.

Si tratta di servizi necessari per colmare la evidente disparità nell’attuazione delle riforme dell’Agenda Digitale tra pubblica amministrazione e servizi privati: si è creato un paradosso per cui, se normalmente i servizi privati sono pienamente digitali, essi sono costretti ad interagire con il cittadino per via cartacea si tratta di rapporti relativi a questioni della Pubblica Amministrazione, perché non è pienamente possibile per il privato utilizzare i sistemi di cittadinanza digitale nei rapporti con i propri utenti; lo stesso privato che autentica online i propri utenti, se deve poi inviare a una P.A. una istanza di un proprio utente, non può farlo utilizzando SPID o CIE, se non con estrema complessità, perché mancano ancora componenti fondamentali del sistema SPID per privati, in particolare manca la possibilità di fornire il servizio di “aggregatori” dell’identità digitale per i privati – i soggetti che consentono di attivare sul proprio servizio il riconoscimento senza doversi accreditare in prima persona come service provider con tutte le complicazioni e strutture del caso e mancano altresì le linee guida per gestori di attributi qualificati, le regole cioè per certificare stati e titoli del cittadino attraverso SPID, fondamentali per l’uso professionale, scolastico, sanitario e d’impresa. Si è inoltre scritto in un precedente articolo che occorre una forte modernizzazione e adeguamento al dettato del Regolamento EIDAS delle regole sulla firma elettronica avanzata, di cui l’Italia conserva una obsoleta regolamentazione contraria al dettato regolamentare europeo, che ne limita l’efficacia e l’utilizzabilità.

L’uso transnazionale delle identità

Un’ultima parola sulle identità digitali merita la situazione dell’uso transnazionale delle identità.

Al momento questo è teoricamente possibile, grazie a un servizio di “nodo EIDAS” (il c.d. nodo FICEP) gestito da Agid ma preoccupa l’assenza di una regolamentazione espressa che affidi formalmente ad Agid tale compito e, soprattutto, preveda l’obbligo di mantenere attivo tale nodo legandolo agli obblighi che derivano all’Italia dal Regolamento EIDAS. Tanto è carente la regolamentazione che le Pubbliche Amministrazioni non hanno nessun formale obbligo di adeguare i propri servizi agli usi transnazionali e lo fanno – nei fatti – a propria discrezione, perché il CAD nulla prevede al riguardo.

La situazione dei pagamenti digitali

Rimane da esaminare la situazione dei pagamenti digitali.

Ad una prima occhiata ai dati si dovrebbe dire che l’Italia ha ormai adottato estensivamente i pagamenti digitali della P.A. ed è certamente impressionante il lavoro fatto per dotare gli enti della connessione al sistema PagoPA ed è un risultato straordinario ed invidiabile, anche rispetto ad altri Paesi; ad oggi hanno aderito a PagoPA il 79,5% degli enti nel perimetro normativo e dunque, essi hanno, grazie al servizio, la possibilità di emettere con codici univoci il pagamento e riconciliarne digitalmente l’incasso. Bisogna però dire che il dato non indica che l’adesione sia relativa a tutti i servizi offerti dagli enti. Un ente può aderire e non aver ancora previsto il pagamento PagoPA per tutti i propri servizi e, in effetti, il valore del transato PagoPA è certamente ancora più basso del valore dei pagamenti al 80% dei servizi della Pubblica Amministrazione.

Altro tema – strettamente legato a quel che si diceva sul tema della cittadinanza digitale – riguarda il fatto che gli “utenti”, cittadini e residenti, che si ritrovano una richiesta di pagamento PagoPA, per lo più sotto forma di “bollettino” cartaceo, sembrano per la maggior parte non inclini a sfruttare il canale digitale di pagamento.

Ne è prova il fatto che il principale PSP operante su PagoPA, che gestisce circa il 20% del numero totale delle transazioni, dai dati desumibili dalla “dashboard” al 31/12, è Mooney, il PSP di Sisal che consente il pagamento cartaceo dei bollettini in tabaccheria, il secondo è Intesa, che consente anche il pagamento allo sportello, il terzo e il quarto sono Poste e LISPay, che hanno identico servizio, e così sino a Banca5, la banca del sistema delle tabaccherie e Paytipper, che consente alle PA di accettare pagamento fisico. Nessuno dei principali PSP di PagoPA offre solamente servizi di pagamento elettronico. Dunque, ciò che è stato digitalizzato con il sistema PagoPA è il processo di richiesta e riconciliazione (e non è poco!) ma ancora il pagamento vero e proprio è ampiamente affidato al bollettino cartaceo.

Se poi guardiamo ai servizi oggetto di pagamento – cartaceo o elettronico che sia – attraverso PagoPA, la parte del leone è ancora quella del Bollo Auto (122 milioni di transazioni) e questo indica che vi è, in realtà, ancora una scarsa adesione degli enti perché, a rigor di logica, ci sono servizi o enti che dovrebbero generare un numero di operazioni molto maggiore, si pensi all’INPS (che ha però solo 10 milioni di transazioni, molto meno di una transazione per anno per cittadino), si pensi all’Agenzia delle Entrate (che usa ancora canali bancari per il pagamento degli F24), si pensi a Roma e Milano (che hanno grosso modo due transazioni/anno a cittadino). Il Ministero della Giustizia è anche nella lista dei principali enti ma i soli 5.400.000 di transazioni l’anno denotano che vi sono ancora molti altri canali di pagamento diversi da PagoPA per i contributi unificati e per i vari pagamenti che tale ente riceve.

Conclusioni

La ricognizione appena effettuata è certamente ben lungi dall’essere completa e, tuttavia, anche solo mettendo sul tavolo le soluzioni ai temi e problemi rappresentati, si comprende che il lavoro da fare per assicurare effettività alla cittadinanza digitale è ancora molto e non mancherà nel 2022.

Tutto questo, si intende e si ripete, con la consapevolezza dei grandi progressi fatti in pochissimo tempo che, anche grazie ai fondi del PNRR, certamente danno la possibilità di affrontare e risolvere le sfide ancora da affrontare.

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