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Italia 2030: infrastrutture critiche più smart per crescere e difendersi



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L’Italia ha colmato gran parte del divario digitale grazie al PNRR, ma ora la sfida si sposta sulle infrastrutture critiche: reti elettriche, mobilità, acqua e data center, da progettare in chiave resiliente, sicura e sempre più integrata con le strategie europee di difesa

Pubblicato il 17 dic 2025

Stefano Pileri

Chief digital transformation and innovation officer Maticmind



infrastrutture digitali pubbliche

Il PNRR ha dimostrato che l’Italia è capace di colmare rapidamente ritardi storici quando dispone di un piano chiaro e di una governance efficace. Ora si apre una fase ancora più impegnativa, che coincide con una trasformazione epocale dell’economia, dell’energia, della mobilità e della sicurezza europea. Le infrastrutture critiche diventano il terreno su cui si misura non solo la modernità di un Paese, ma la sua capacità di affrontare le incertezze globali, di proteggere la propria economia e di costruire una crescita duratura.

La sfida dei prossimi anni sarà rendere il digitale non solo un fattore abilitante, ma un elemento strutturale della nostra infrastruttura nazionale. Una rete energetica intelligente, un sistema di mobilità connesso, un ciclo idrico monitorato in tempo reale, reti di telecomunicazioni integrate con il cloud e con le capacità di calcolo, data center resilienti e sicuri: queste non sono scelte tecnologiche, sono le fondamenta della competitività dell’Italia nel prossimo ventennio.

In parallelo, l’Europa sta costruendo una nuova architettura di sicurezza e difesa. La convergenza tra infrastrutture civili e capacità militari, che fino a pochi anni fa era un tema marginale, è oggi al centro della strategia europea. Le tecnologie dual use non rappresentano un compromesso: sono la via maestra per rendere compatibili sviluppo economico, sicurezza e sostenibilità degli investimenti.

Per l’Italia, questo significa progettare fin dall’origine infrastrutture digitali e fisiche che siano resilienti, interoperabili, intelligenti e adatte a sostenere sia le esigenze del Paese sia quelle dell’Europa nel suo complesso. L’opportunità che abbiamo davanti non è solo quella di completare la digitalizzazione del Paese, ma di trasformare l’Italia in uno dei sistemi infrastrutturali più moderni e resilienti d’Europa.

È una sfida che richiede visione, capacità industriale e un forte coordinamento istituzionale. È soprattutto una scelta: decidere che le infrastrutture critiche – energetiche, digitali, dei trasporti e dell’acqua – non sono un capitolo di spesa, ma il patrimonio strategico su cui costruire crescita, autonomia e sicurezza.


Italia ed Europa nella digitalizzazione delle infrastrutture critiche

L’Italia si distingue in Europa come uno dei Paesi che hanno registrato la crescita più significativa nel corso del 2024, grazie anche all’impulso determinante del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). La copertura in fibra ottica ha raggiunto il 71% delle unità immobiliari, superando la media europea, mentre la copertura 5G sfiora il 100% del territorio nazionale, registrando uno sviluppo significativo anche nelle frequenze dedicate della gamma 3,4 GHz – 3,8 GHz, la più alta tra le grandi economie dell’Unione.

Questi dati migliorano ancora considerando che l’anno in corso è stato di forte accelerazione nelle realizzazioni del PNRR, che ci portano a una stima dell’80% di copertura FTTH e a un ulteriore miglioramento della copertura 5G nelle frequenze specializzate. A questi risultati si aggiungono i progressi della pubblica amministrazione digitale, sostenuti dall’adozione diffusa di PagoPA, dall’app IO, dalla Piattaforma Nazionale Dati e dall’avvio dell’IT-Wallet, che apre la strada verso l’identità digitale europea.

L’aggiornamento degli indicatori del nuovo rapporto “State of the Digital Decade 2025” della Commissione europea offre un quadro abbastanza preciso dello stato della digitalizzazione in Europa. Il continente ha compiuto progressi importanti sul piano delle infrastrutture digitali, con un’estensione significativa delle reti in fibra ottica e 5G e con un miglioramento visibile nei servizi pubblici digitali e nell’adozione del cloud da parte delle imprese.

Tuttavia, la velocità di avanzamento non è uniforme: accanto ai Paesi del Nord Europa, ormai prossimi agli obiettivi fissati per il 2030, persistono differenze tra le economie dell’Europa meridionale e centrale, soprattutto per quanto riguarda le competenze digitali, l’adozione di tecnologie avanzate come intelligenza artificiale, big data e Internet of Things, e la capacità di innovazione industriale.

Nonostante i progressi, l’Italia e l’Europa mostrano ancora ritardi significativi rispetto ad altri blocchi economici, in particolare Stati Uniti e Cina, che mantengono una posizione di vantaggio nei settori dell’intelligenza artificiale, dei semiconduttori e delle piattaforme digitali. Inoltre, la crescente attenzione degli investimenti europei verso la difesa rischia di rallentare il percorso virtuoso avviato negli ultimi anni, a meno di non valorizzare appieno le opportunità di utilizzo dual use che le tecnologie digitali possono offrire anche per la sicurezza e la resilienza dei sistemi nazionali.

Il PNRR ha avuto, e sta continuando ad avere, un ruolo decisivo in questa accelerazione, con programmi come Italia a 1 Giga, Italia 5G, Scuole e Sanità connesse, Cloud Italia e il Polo Strategico Nazionale, insieme alle misure di Transizione 4.0 e 5.0 dedicate alla digitalizzazione delle imprese. Questi interventi hanno permesso di raggiungere buona parte degli obiettivi fissati nel 2021, ma oggi è necessario aprire una nuova fase di sviluppo.

È il momento di estendere la trasformazione digitale a tutta l’industria, indipendentemente dalla dimensione delle aziende, e soprattutto alle infrastrutture strategiche del Paese – reti elettriche, strade e autostrade, porti, aeroporti, acquedotti – settori che solo in parte sono stati digitalizzati e che rappresentano un passaggio essenziale per rafforzare la competitività e la sostenibilità del nostro Paese e dell’Europa.

In quest’articolo presentiamo una sintesi dello stato raggiunto nella digitalizzazione e tracciamo alcune linee guida per il “post-PNRR”, che vorremmo fosse concentrato sulle nostre infrastrutture strategiche, a partire dal tessuto industriale – in larga parte costituito da imprese di media dimensione – e dalle principali reti per l’energia, i trasporti e i dati.


Il rilevante progresso dell’Italia digitale e delle sue reti

Il progresso più evidente nella digitalizzazione europea riguarda le infrastrutture di connettività. Negli ultimi anni l’Unione ha accelerato la diffusione delle reti a banda ultralarga e della copertura 5G, elementi fondamentali per la crescita dell’economia digitale. I dati del DESI 2025 mostrano un’Europa complessivamente in linea con i target della Digital Decade, ma con forti differenze tra i Paesi.

L’Italia si colloca oggi sopra la media europea per la copertura in fibra ottica fino alle abitazioni (FTTH). Nel 2024 ha raggiunto il 71% delle unità immobiliari, superando la media UE del 69%. È un risultato significativo se si considera che solo pochi anni fa l’Italia era tra i Paesi in ritardo. L’accelerazione è stata resa possibile dagli investimenti del PNRR e in particolare dal programma Italia a 1 Giga, attuato da Infratel con il coordinamento del Dipartimento per la Trasformazione Digitale.

Figura 1: La situazione europea della copertura FTTH a fine 2024.

Il confronto europeo evidenzia però situazioni molto diverse: la Spagna e la Francia sono più avanti, con una copertura ormai prossima al 90%. In Spagna il processo di switch-off della rete in rame è già stato completato, mentre la Germania resta ancora indietro, penalizzata da una strategia storicamente orientata sull’approccio FTTC, che utilizza la fibra solo fino agli armadi stradali.

Se sul piano della copertura i risultati italiani sono incoraggianti, sul fronte dell’adozione i dati mostrano una situazione più complessa. Solo un quarto delle famiglie italiane ha sottoscritto un servizio a 1 Gigabit al secondo, nonostante la rete sia disponibile per oltre due terzi delle abitazioni. La stessa dinamica si osserva in molti altri Paesi europei: la disponibilità della rete cresce più rapidamente della domanda.

Ciò suggerisce che gli investimenti infrastrutturali non si sono ancora tradotti pienamente in benefici percepiti dagli utenti e che servono politiche di stimolo alla domanda, in grado di rendere visibili i vantaggi dei servizi gigabit in termini di produttività, efficienza e qualità della vita.

Figura 2: Percentuale di adozione delle infrastrutture FTTH con velocità almeno di 1 Gigabit/s.

Il Piano “Italia a 1 Giga” rimane comunque uno dei progetti più rilevanti dell’intero PNRR digitale. La convenzione quadro firmata nel dicembre 2021 ha previsto investimenti complessivi per circa 5 miliardi di euro, con l’obiettivo di connettere 3,4 milioni di civici.

A novembre 2025 il tasso di avanzamento ha raggiunto il 67%: oltre 2,2 milioni di civici risultano già connessi e circa 850.000 sono in lavorazione (figura 3). Si tratta di un traguardo di rilievo, che conferma la capacità del sistema Paese di realizzare progetti complessi e diffusi in tempi contenuti.

In sintesi, l’Italia ha raggiunto un livello di infrastrutturazione digitale paragonabile a quello delle economie più avanzate, ma deve ora trasformare la disponibilità di rete in un uso effettivo e produttivo dei servizi digitali. Il passaggio dalla connettività all’adozione è il nodo centrale della prossima fase della trasformazione digitale.

Figura 3: Avanzamento del PNRR Italia a 1 Giga a novembre 2025 (fonte connetti.italia.it).

Banda ultralarga e programma Italia a 1 Giga

Anche sul fronte del 5G l’Europa mostra un avanzamento importante, con livelli di copertura ormai prossimi alla totalità della popolazione. Tuttavia, dietro questa apparente uniformità si celano differenze sostanziali tra i Paesi, legate sia alle strategie di assegnazione delle frequenze sia alla velocità con cui si sono sviluppate le reti.

L’Italia risulta tra i Paesi più avanzati. Se si considera la copertura complessiva, calcolata su tutte le bande di frequenza, il nostro Paese è al primo posto tra le grandi economie europee, davanti a Germania, Francia e Spagna. Se si guarda alle sole frequenze medio-alte, comprese tra 3,4 e 3,8 GHz, che rappresentano la fascia più qualificante per i servizi 5G evoluti, l’Italia è seconda in Europa, superata solo da un ristretto numero di Paesi più piccoli che hanno avviato la diffusione già da alcuni anni.

Questo posizionamento è il risultato di una strategia coordinata che ha spinto gli operatori mobili a investire rapidamente in nuove infrastrutture e ha visto un ruolo determinante del PNRR nel favorire la copertura delle aree meno redditizie (figura 4).

5G e programma Italia 5G

Il Piano Italia 5G, avviato nel 2021, ha due obiettivi principali. Il primo è la densificazione dei siti radiomobili, con la realizzazione di 1.000 nuovi impianti nelle cosiddette aree bianche, quelle dove gli operatori privati non hanno convenienza economica a investire.

Figura 4: La situazione europea della copertura 5G a fine 2024.

A fine 2025 risultano attivati 306 siti e altri 412 sono in lavorazione, pari a circa i due terzi del totale previsto. Il secondo obiettivo è la connessione in fibra ottica dei siti mobili già esistenti, per garantire capacità di trasporto adeguata ai nuovi servizi.

In questo caso i progressi sono più marcati: sono stati connessi 7.600 siti su circa 10.000 previsti, con una copertura estesa lungo 12.600 chilometri di corridoi di trasporto e strade extraurbane (figura 5).

Figura 5: Avanzamento dei progetti PNRR Italia 5G a novembre 2025.

La diffusione del 5G in Italia ha quindi raggiunto risultati di rilievo, ma, come per la fibra, la sfida ora si sposta dal piano infrastrutturale a quello dell’adozione. Nonostante una copertura che supera il 90% della popolazione, solo il 27% degli utenti utilizza servizi 5G. Il dato, analogo a quello della media europea, indica che gli investimenti nella rete non si sono ancora tradotti in una domanda significativa di servizi di nuova generazione.

Figura 6: Percentuale di adozione dei servizi 5G.

Mancano ancora applicazioni che rendano evidente il valore aggiunto del 5G rispetto al 4G, sia per i consumatori sia per le imprese. Le ragioni di questa lentezza sono molteplici: da un lato, la disponibilità di terminali compatibili e piani tariffari competitivi è cresciuta solo di recente; dall’altro, i servizi realmente innovativi basati sul 5G – come quelli per la manifattura avanzata, la logistica intelligente, la mobilità connessa o la sanità digitale – sono ancora in fase sperimentale o limitati a pochi progetti pilota.

Ciò rende evidente l’importanza di politiche industriali e regolatorie in grado di stimolare la creazione di un ecosistema applicativo e produttivo intorno alla nuova rete mobile, valorizzandone le potenzialità. In prospettiva, la rete 5G rappresenta un’infrastruttura abilitante per molte delle trasformazioni che accompagneranno la prossima fase della digitalizzazione: reti private, Internet delle Cose industriale, gemelli digitali e realtà aumentata dipenderanno da connessioni mobili ad altissima capacità e bassissima latenza.

Aver completato in tempi rapidi la rete nazionale 5G costituisce quindi un vantaggio competitivo che l’Italia deve saper sfruttare, trasformando la copertura in innovazione concreta e valore economico.

Imprese e Pubblica Amministrazione nell’ecosistema dei dati

La trasformazione digitale delle imprese e della Pubblica Amministrazione rappresenta oggi uno dei principali fattori di competitività del Paese. Dopo l’ondata iniziale di innovazione introdotta con Industria 4.0 e rafforzata dal PNRR, l’Italia sta entrando in una fase più matura, in cui il digitale non è più semplicemente uno strumento a supporto dei processi, ma un elemento strutturale capace di incidere sull’organizzazione, sulla sostenibilità e sulla produttività del sistema economico.

In questa evoluzione, l’integrazione tra tecnologie cloud, applicazioni intelligenti, piattaforme dati e sistemi di automazione assume un ruolo decisivo, configurando un ecosistema in cui imprese e istituzioni pubbliche diventano nodi di una rete interconnessa e costantemente alimentata dai dati.

La digitalizzazione delle imprese ha conosciuto negli ultimi anni una crescita significativa, soprattutto grazie alla diffusione di applicazioni gestionali integrate, sistemi ERP e CRM evoluti e piattaforme HCM più avanzate per la gestione delle risorse umane. L’adozione del cloud ha accelerato la modernizzazione di questi strumenti, sostituendo progressivamente i sistemi on-premise più rigidi con soluzioni SaaS aggiornabili e scalabili.

L’impatto è stato particolarmente evidente nelle grandi aziende, oggi allineate agli standard dei Paesi europei più avanzati, mentre nelle PMI rimane un divario ancora rilevante, dovuto alla frammentazione delle soluzioni utilizzate e alla scarsità di competenze digitali specialistiche. Parallelamente, l’industria manifatturiera ha ampliato l’uso di tecnologie connesse, robotica collaborativa, sensoristica IoT, sistemi SCADA di nuova generazione e piattaforme MES per il controllo della produzione.

Incentivi pubblici e investimenti privati hanno favorito l’integrazione crescente tra macchine, processi e piattaforme digitali, creando le condizioni per fabbriche più automatizzate e resilienti. L’Additive Manufacturing ha trovato spazio in settori ad alta specializzazione come la meccanica, il biomedicale e l’aerospazio, introducendo modalità più flessibili di prototipazione e produzione.

Con la Transizione 5.0, questa evoluzione si arricchisce di una dimensione ulteriore: la sostenibilità energetica. Le imprese sono chiamate a integrare nei propri processi piattaforme di monitoraggio dei consumi, sistemi predittivi per l’ottimizzazione energetica, modelli di simulazione basati su digital twin e algoritmi di intelligenza artificiale in grado di ridurre gli sprechi, ottimizzare l’uso delle risorse e migliorare la qualità dei cicli produttivi.

L’adozione del cloud e la crescente disponibilità di dati generati lungo tutta la catena del valore stanno inoltre trasformando profondamente il modo in cui le imprese prendono decisioni. L’analisi avanzata dei dati, l’intelligenza artificiale e i modelli generativi stanno entrando nei processi aziendali, abilitando previsioni della domanda, pianificazione intelligente della produzione, gestione dinamica delle scorte, diagnosi precoce dei guasti e automazione delle attività amministrative.

Le aziende più avanzate stanno iniziando a sviluppare architetture dati proprietarie, data lake aziendali e piattaforme MLOps, mentre la sfida principale riguarda la diffusione di queste tecnologie nelle PMI, che rappresentano la struttura portante della nostra economia. Negli ultimi due anni l’Italia ha fatto significativi progressi anche se, come dimostrato dalla figura 7, che registra la percentuale di PMI con livello di digitalizzazione di base, non abbiamo raggiunto un livello di rilievo in Europa come invece è accaduto a valle della forte accelerazione sulla connettività fissa e mobile.

Figura 7: Percentuale di aziende di media dimensione (PMI) con intensità di base di digitalizzazione (DESI 2025).

Sul fronte pubblico, l’Italia ha compiuto un salto qualitativo evidente grazie a una serie di interventi che hanno progressivamente ridisegnato l’architettura digitale dello Stato. Le piattaforme nazionali – da PagoPA alla App IO, dallo SPID e CIE alla Piattaforma Notifiche – hanno introdotto servizi digitali più accessibili, standardizzati e trasparenti.

La diffusione della Piattaforma Nazionale Dati (PDN) ha consentito un decisivo passo avanti verso l’interoperabilità, superando la tradizionale frammentazione dei sistemi informativi pubblici. Grazie alla PDN, gli enti possono scambiarsi informazioni in modo sicuro e automatico, riducendo la necessità per cittadini e imprese di presentare ripetutamente gli stessi documenti.

Questo cambio di paradigma consente la creazione di servizi pubblici più proattivi, in grado di attivarsi automaticamente sulla base dei dati disponibili e di anticipare i bisogni dell’utente. L’altra grande trasformazione in corso riguarda la migrazione al cloud. Il Polo Strategico Nazionale, concepito per ospitare i servizi più critici e strategici, rappresenta un elemento centrale di questa evoluzione.

La sua funzione non è solo quella di offrire infrastrutture più sicure e performanti, ma anche di introdurre un modello di gestione completamente nuovo, basato su standard condivisi, continuità operativa garantita e un’elevata automazione. Parallelamente, il cloud qualificato consente agli enti locali e ai servizi meno sensibili di accedere a piattaforme commerciali con livelli più elevati di efficienza e scalabilità.

La combinazione di interoperabilità, cloud e servizi digitali centrati sull’utente permette alla Pubblica Amministrazione di diventare un attore capace di offrire servizi semplici, intelligenti e personalizzati. La progressiva integrazione di strumenti di intelligenza artificiale consentirà di automatizzare attività ripetitive, migliorare la gestione delle pratiche, supportare il personale amministrativo e rendere più trasparente il rapporto con i cittadini.

A dimostrazione di questi miglioramenti, nella figura 8 è riportato il posizionamento dell’Italia in Europa relativamente ai servizi digitali della PA per i cittadini, nell’ambito dei quali, per la prima volta, superiamo la media europea.

Figura 8: Punteggio attribuito alla qualità e uso dei servizi digitali della PA per i cittadini (DESI 2025).


Digitalizzazione infrastrutture critiche: energia, trasporti e sicurezza europea

Le infrastrutture critiche sono sistemi complessi fisici e informatici vitali per il funzionamento di una società. La loro compromissione o distruzione ha un impatto significativo sulla sicurezza, sull’economia, sulla salute pubblica o sulla sicurezza nazionale.

Queste infrastrutture includono servizi essenziali che, se interrotti, possono causare gravi danni alla popolazione e all’economia. In Italia, la definizione e la classificazione delle infrastrutture critiche sono regolamentate dal Decreto Legislativo 11 aprile 2011, n. 611, che recepisce la Direttiva europea 2008/114/CE.

Le principali categorie di infrastrutture critiche identificate sono:

  1. Energia: impianti di produzione, trasmissione e distribuzione di elettricità, gas e petrolio.
  2. Acqua: sistemi di approvvigionamento e distribuzione di acqua potabile, bacini naturali e artificiali, impianti di desalinizzazione delle acque marine.
  3. Trasporti: infrastrutture di trasporto, come aeroporti, porti, ferrovie e strade.
  4. Tecnologie dell’informazione e della comunicazione: reti di telecomunicazione, Internet, data center e sistemi informatici.
  5. Finanza: sistemi bancari e finanziari.
  6. Sanità: strutture sanitarie, ospedali e sistemi di emergenza sanitaria.
  7. Alimentazione: sistemi di produzione, stoccaggio e distribuzione di cibo.
  8. Sicurezza pubblica e protezione civile: forze dell’ordine, vigili del fuoco e sistemi di gestione delle emergenze.

L’importanza di queste infrastrutture è evidente e, negli ultimi anni, accanto alle questioni relative alla protezione fisica dei luoghi e dei percorsi dove esse si sviluppano, è cresciuta enormemente l’attenzione alla sicurezza delle reti, dei data center e dei sistemi informativi utilizzati per la loro digitalizzazione.

Le reti di distribuzione e trasmissione elettriche diventano Smart Grid, le reti stradali e autostradali si sviluppano secondo i concetti di Smart Roads, il Sistema Sanitario Nazionale e le strutture private convenzionate evolvono secondo le direttrici della sanità digitale e della telemedicina, e i sistemi di produzione e distribuzione alimentare stanno cambiando secondo i principi dell’agricoltura di precisione.

Da molti anni, inoltre, il sistema bancario e finanziario si fonda su una digitalizzazione estremamente spinta, grazie alla quale la stragrande maggioranza delle transazioni e dei flussi economici avviene ormai tramite applicazioni e infrastrutture digitali.

Il tema della digitalizzazione e resilienza delle infrastrutture critiche nazionali, che solo in parte sono state coinvolte nei programmi di digitalizzazione del PNRR, ha ancora un programma di interventi essenziali da realizzare, con particolare riguardo alle reti elettriche, ai trasporti, agli acquedotti e, ancora una volta, alle infrastrutture digitali (reti e data center) che costituiscono la spina dorsale del Paese, ma non dispongono ancora di un livello di monitoraggio e automazione digitale adeguato alle sfide attuali.

L’Italia, come l’intera Europa, ha oggi bisogno di una seconda fase del PNRR digitale, orientata a portare la trasformazione nelle infrastrutture fisiche e nei servizi essenziali.

Questa “fase 2” dovrebbe puntare sull’adozione di tecnologie integrate come i digital twin infrastrutturali, che permettono di creare copie virtuali in tempo reale di reti e impianti per ottimizzare la manutenzione, prevenire guasti e soprattutto riconfigurare le reti in caso di problemi rilevanti.

L’Internet delle Cose diffuso può abilitare una rete capillare di sensori per il controllo di parametri ambientali, flussi energetici e condizioni strutturali. Le reti in fibra ottica FTTH e le reti radiomobili 5G private offrono connettività sicura e a bassa latenza per i sistemi critici, mentre l’intelligenza artificiale consente di prevedere i malfunzionamenti, pianificare gli interventi e garantire la continuità dei servizi.

Tutto questo deve essere accompagnato da una robusta strategia di cyber resilience, capace di proteggere infrastrutture e dati da minacce sempre più sofisticate.

L’integrazione di queste tecnologie rappresenta non solo un’esigenza di modernizzazione, ma anche un fattore chiave di sicurezza e sovranità tecnologica. Negli ultimi due anni, la Commissione europea e diversi governi nazionali hanno rilanciato i programmi di investimento nella difesa comune, riconoscendo che la sicurezza del continente passa anche attraverso l’autonomia digitale e industriale.

La crescente attenzione agli aspetti di difesa e sicurezza apre inoltre uno spazio nuovo per le tecnologie digitali a uso duale, che possono servire contemporaneamente obiettivi civili e militari. Soluzioni nate per la gestione delle reti energetiche, dei trasporti o dei sistemi di comunicazione possono essere adattate per la protezione delle infrastrutture critiche o per l’analisi avanzata di dati strategici.

In questa prospettiva, l’Europa è chiamata a sviluppare una visione integrata che coniughi competitività industriale e sicurezza collettiva. Per l’Italia, che dispone di competenze solide nei settori delle telecomunicazioni, dell’automazione e dell’intelligenza artificiale applicata, si tratta di un’occasione per rafforzare il proprio ruolo nella costruzione della sovranità digitale europea.

La combinazione tra PNRR, Transizione 5.0 e piano europeo per la difesa può costituire il motore di una nuova stagione di innovazione, capace di trasformare la tecnologia in valore economico, sostenibilità e sicurezza per il Paese.

Nel Rapporto “The Future of European Competitiveness”, Mario Draghi introduce un messaggio che attraversa tutto il documento e che riguarda direttamente il tema delle infrastrutture critiche. La tesi è semplice quanto radicale: l’Europa non potrà colmare il divario di produttività con Stati Uniti e Cina, né sostenere la transizione digitale ed energetica, senza un programma straordinario di investimento nelle proprie infrastrutture fisiche e digitali.

Le tre grandi transizioni in corso – digitale, energetica e di sicurezza – richiedono un livello di investimenti infrastrutturali che l’Europa non vede dagli anni Sessanta. Per sostenere simultaneamente digitalizzazione, decarbonizzazione e costruzione di una capacità industriale autonoma nel settore della difesa, saranno necessari circa cinque punti di PIL aggiuntivi all’anno a livello europeo.

È un salto di scala rispetto alle politiche degli ultimi decenni, ma soprattutto è un cambio di paradigma: l’Unione deve tornare a considerare le infrastrutture critiche come un bene comune europeo, non come una somma di reti nazionali gestite secondo logiche frammentate.

Nel campo dell’energia è necessario realizzare finalmente un mercato unico dell’energia pienamente funzionante, supportato da reti di trasmissione e distribuzione capaci di gestire la crescente quota di rinnovabili, l’elettrificazione dei consumi e l’integrazione dell’idrogeno.

La trasformazione energetica europea non può poggiare su reti progettate per un secolo fa. Servono nuove interconnessioni tra Stati membri, sistemi di accumulo su larga scala, capacità di bilanciamento e infrastrutture digitali che consentano una gestione intelligente dei flussi. L’energia non è soltanto un settore industriale: è la base fisica della nuova economia, e la qualità delle reti determinerà la possibilità stessa di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e competitività.

Il secondo grande pilastro riguarda le infrastrutture dei trasporti. L’Europa ha costruito una rete imponente di corridoi ferroviari, stradali, portuali e aeroportuali, ma una parte crescente di queste infrastrutture mostra segni di fragilità.

Gli investimenti europei nel settore sono oggi insufficienti, inferiori non solo ai fabbisogni stimati ma anche a quanto stanno realizzando Stati Uniti e Cina. La manutenzione delle reti è spesso trascurata, con l’età delle infrastrutture che aumenta rapidamente i costi e riduce la resilienza.

A questo si aggiungono procedure autorizzative lente e differenziate, che ostacolano in modo significativo i grandi progetti transfrontalieri, come quelli della rete TEN-T. La frammentazione normativa e amministrativa rappresenta un freno strutturale alla competitività.

Inoltre, gli shock geopolitici degli ultimi anni – dalla crisi del Mar Rosso all’interruzione dei corridoi euroasiatici – hanno messo in evidenza la vulnerabilità logistica europea. La mancanza di rotte alternative efficienti ha mostrato quanto i sistemi di trasporto europei dipendano dall’integrazione con regioni instabili.

Il terzo capitolo riguarda le infrastrutture digitali, che rappresentano ormai la colonna vertebrale dell’economia europea. Reti di telecomunicazioni, data center, capacità di calcolo e piattaforme cloud sono diventati elementi strutturali della sovranità tecnologica.

L’Europa, tuttavia, sconta ritardi significativi rispetto alle grandi potenze tecnologiche. Se la banda ultralarga ha compiuto progressi, il gap rimane ampio nelle tecnologie cloud, nei data center hyperscale ed edge, nei semiconduttori, nell’intelligenza artificiale e nelle infrastrutture per il supercalcolo.

C’è l’urgenza di costruire un’infrastruttura digitale europea che sia sicura, interoperabile e distribuita, capace di sostenere l’adozione massiva dell’AI e delle tecnologie emergenti. Il cloud europeo – sia nelle sue componenti pubbliche sia in quelle private – deve evolvere in un ecosistema unitario, dotato di standard comuni, elevati livelli di sicurezza e integrazione nativa con le reti di telecomunicazione.

Nel complesso, il Rapporto Draghi invita l’Europa a considerare le infrastrutture critiche non come settori separati, ma come un’unica architettura interdipendente. Energia, trasporti e digitale costituiscono un sistema unico, e la competitività del continente dipenderà dalla capacità di progettare e finanziare questo sistema su scala europea.

Per l’Italia, che sta affrontando il tema delle infrastrutture critiche proprio in questa fase, il Rapporto offre una direzione chiara: è necessario mettere al centro della nuova politica industriale la modernizzazione e digitalizzazione delle reti energetiche, dei trasporti e delle infrastrutture digitali, integrandole in una visione che sia finalmente europea e non più soltanto nazionale.


Smart grid e digitalizzazione delle infrastrutture critiche elettriche

La digitalizzazione delle reti elettriche rappresenta una delle sfide più rilevanti per l’evoluzione delle infrastrutture critiche italiane. La diffusione delle fonti rinnovabili, la crescita della mobilità elettrica, lo sviluppo delle comunità energetiche e l’aumento dei consumi determinati dall’elettrificazione richiedono reti sempre più intelligenti, capaci di misurare, analizzare e reagire in tempo reale.

In questo contesto, la rete di distribuzione rappresenta il punto cruciale per la trasformazione del sistema elettrico in una vera Smart Grid. Lo schema di massima delle componenti essenziali di tale struttura è rappresentato nella figura 9.

Figura 9: Architettura di massima di una Smart Grid.

Il nodo centrale di questa trasformazione riguarda la connettività e l’automazione delle cabine primarie e secondarie, che costituiscono la trama capillare della distribuzione in alta, media e bassa tensione.

Mentre le cabine primarie sono molto avanti con il processo di digitalizzazione per monitoraggio, controllo e automazione dello stato e delle operazioni sulla rete, non altrettanto si può affermare per le cabine secondarie, che nel nostro Paese sono oltre il mezzo milione.

Solo e-Distribuzione gestisce oltre 450.000 cabine secondarie e circa 2.200 cabine primarie, mentre operatori come Areti (Acea) dispongono di più di 16.000 cabine secondarie al servizio dell’area metropolitana di Roma.

Nonostante la loro funzione essenziale, la grande maggioranza non è ancora dotata della connettività evoluta e della dotazione digitale necessarie per abilitare una gestione intelligente della rete. La differenza tra digitalizzazione delle cabine primarie e secondarie è netta: le cabine primarie sono interamente collegate in fibra ottica e dispongono già di sistemi avanzati di automazione e telecontrollo.

Negli scorsi anni Terna, a riprova di questo, ha sviluppato una propria rete in fibra ottica aerea realizzata all’interno delle funi di guardia delle linee ad alta tensione, oggi completamente operativa.

Le cabine secondarie, invece, non hanno seguito lo stesso percorso. Nel caso di e-Distribuzione sono state collegate a oggi in fibra ottica circa 25.000 cabine secondarie, pari a poco più del 5% del totale gestito dal principale operatore nazionale.

Questo dato conferma l’esistenza di un divario molto profondo tra il livello di digitalizzazione della rete primaria ad alta tensione e quello della rete di distribuzione finale, proprio nel punto in cui la misurazione e la gestione in tempo reale assumono importanza decisiva per la stabilità e l’efficienza del sistema.

Tale esigenza è resa ancora più stringente dalla crescita continua delle fonti di energia rinnovabile che immettono energia nella rete elettrica di bassa tensione.

Questo ritardo appare ancora più significativo se confrontato con gli investimenti realizzati nel settore delle telecomunicazioni. Con il Piano PNRR Italia a 1 Giga sono stati finanziati oltre 3,5 milioni di civici nelle aree grigie, portando la fibra fino agli edifici.

Con il precedente Piano Strategico Banda Ultra Larga era stato finanziato il cablaggio a tappeto delle Aree Bianche, non ancora terminato dopo quasi 10 anni. Tuttavia, nel corso di questi interventi non si è scelto sistematicamente di connettere anche le cabine secondarie che si trovano nelle immediate vicinanze degli stessi edifici raggiunti dalle nuove infrastrutture.

È una decisione che ha favorito il rapido miglioramento della connettività per famiglie e imprese, ma che ha lasciato indietro un anello fondamentale della rete elettrica. La fibra è arrivata a ridosso delle cabine, ma non è entrata al loro interno, impedendo alle reti di distribuzione di diventare pienamente intelligenti.

La conseguenza è una rete che si trova in una condizione intermedia: da un lato dispone del potenziale per abilitare nuove funzionalità, dall’altro non è ancora in grado di sfruttare appieno strumenti come il monitoraggio continuo dei flussi energetici, la gestione dinamica delle immissioni da fotovoltaico e accumulo, la diagnosi precoce dei guasti, la riconfigurazione automatica della rete in caso di criticità, l’analisi predittiva basata su intelligenza artificiale e la protezione avanzata contro minacce informatiche.

Alla luce di queste evidenze, la digitalizzazione delle cabine secondarie dovrebbe diventare una priorità nazionale nella prossima fase del PNRR digitale o nei futuri programmi di investimento dedicati alle infrastrutture critiche.

Collegare in fibra ottica le cabine secondarie, dotarle di sensori IoT avanzati, sistemi di telecontrollo e strumenti di analisi in tempo reale è un passaggio indispensabile non solo per la sicurezza e la resilienza della rete, ma anche per la sostenibilità e la competitività dell’intero sistema Paese.

Si ritiene che almeno il 40% delle cabine secondarie possano e debbano essere collegate in fibra ottica, circa 200.000, mentre le restanti possono giovarsi di collegamenti FWA (Fixed Wireless Access), oggi basati su una robusta tecnologia 5G con l’uso prevalente delle frequenze 3,4 GHz – 3,8 GHz e, in misura marginale, altre frequenze più basse.

Potrebbe essere, quella della connettività delle cabine secondarie, una buona occasione per accendere le frequenze 5G a 26 GHz, che offrono una capacità elevata e una latenza estremamente bassa. Questa infrastrutturazione richiede investimenti intorno al miliardo di euro, quindi molto rilevanti.

Sicurezza NIS2 e SGTN nelle smart grid

Nelle Smart Grid il protocollo utilizzato per le applicazioni di automazione e gestione delle protezioni è il GOOSE (Generic Object Oriented Substation Event), uno standard di comunicazione definito nella normativa IEC 61850, che riguarda i sistemi di automazione delle sottostazioni elettriche.

Questo protocollo è stato progettato per la trasmissione rapida e affidabile di dati e comandi all’interno delle sottostazioni e tra le apparecchiature di controllo, protezione e monitoraggio. Le caratteristiche principali e i vantaggi del protocollo GOOSE includono:

  • Velocità: trasmissione di messaggi in tempo reale o quasi reale, anche in modalità broadcasting, con latenza di pochi millisecondi, critica per le applicazioni di protezione e controllo.
  • Affidabilità: comunicazione sicura anche in condizioni di rete avverse, grazie a meccanismi di ritrasmissione e conferma.
  • Flessibilità: supporto alla comunicazione multicast, che permette a un singolo messaggio di essere ricevuto da più dispositivi contemporaneamente.
  • Interoperabilità: in quanto parte dello standard IEC 61850, favorisce l’interoperabilità tra apparecchiature di diversi produttori.
  • Efficienza: riduzione del cablaggio tradizionale grazie all’uso di reti Ethernet, in sostituzione dei collegamenti punto-punto.

GOOSE viene utilizzato per una varietà di applicazioni critiche all’interno delle sottostazioni, inclusi sistemi di protezione elettrica, controllo degli interruttori, segnalazioni di allarme, monitoraggio dello stato delle apparecchiature e molto altro.

La SGTN connette tutti gli elementi di monitoraggio, controllo e automazione della rete elettrica, che rappresenta un’infrastruttura critica date le caratteristiche e gli impatti che deriverebbero da una sua compromissione.

Il livello di sicurezza delle Smart Grid deve essere massimo, in accordo con la normativa NIS2, con la presenza dei controlli tipici di una infrastruttura critica. Sono quattro i pilastri fondamentali da indirizzare, direttamente legati alla rete di controllo:

  • Access control
  • Network segmentation e intrusion detection
  • Network enforcement
  • Encryption

In ogni ambiente di rete, e a maggior ragione nelle Smart Grid, l’access control riveste una particolare importanza. In questi contesti esistono una molteplicità di attori con differenti livelli di privilegio che, a vario titolo, accedono alla rete di controllo per gestire, configurare e monitorare apparati e applicazioni.

Un’infrastruttura di accesso che garantisca autenticazione, verifica della postura dei dispositivi e gestione dei privilegi di accesso in base al ruolo è un passo fondamentale per garantire un livello di sicurezza adeguato ed eliminare potenziali minacce.

Non meno importante è la network segmentation della rete, effettuata tramite l’utilizzo di VPN MPLS che segregano i flussi di traffico dell’operatore all’interno della rete del provider, separandoli da quelli degli altri clienti.

Analoga rilevanza ha la segregazione del traffico a livello di data center e a livello di cabine primarie e secondarie, tramite funzionalità di firewalling che delimitano i vari contesti di utilizzo.

La componente di Intrusion Detection System (IDS) e Intrusion Protection System (IPS) è invece necessaria per rilevare eventuali tentativi di intrusione, la presenza di malware e gli attacchi di Denial of Service (DoS) che hanno come target apparati e applicazioni della rete di controllo.

Le funzionalità di IDS di nuova generazione sono in grado di rilevare le anomalie sia su base contesto sia su base contenuto, monitorando il comportamento della rete. Per quanto riguarda il contenuto, l’infrastruttura di IDS deve supportare i protocolli SCADA, con la possibilità di implementare signature ad hoc in grado di generare alert mirati.

La capacità di registrare il comportamento della rete in merito ai protocolli utilizzati, agli utenti e alle applicazioni, e di correlare queste informazioni, consente una sicurezza basata sul contesto, che permette di gestire in modo corretto gli alert, de-prioritizzando eventuali falsi positivi.

Avere la conoscenza del traffico di rete consente di creare black list e white list ed effettuare Network Behaviour Analysis, con un innalzamento del livello di sicurezza: tutto ciò che non si conosce in rete costituisce infatti una potenziale minaccia.

L’opportuna progettazione e configurazione degli apparati e dei protocolli della rete di telecontrollo Smart Grid deve consentire anche l’implementazione di un robusto network enforcement.

Ne fanno parte, a titolo esemplificativo, il collegamento agli apparati mediante protocolli cifrati (SSH), l’utilizzo di community SNMP, l’impostazione di password sui protocolli di routing e l’autenticazione degli utenti che accedono agli apparati tramite TACACS+, componente che rientra nell’implementazione dell’access control.

Infine, l’encryption del traffico permette da un lato di garantire la riservatezza del dato e, dall’altro, di evitare situazioni in cui un attore terzo possa intercettare i dati e porsi come man-in-the-middle nella comunicazione di controllo.

L’utilizzo del protocollo IPSec tra le cabine primarie e secondarie e gli hub garantisce la protezione del traffico.

PNIEC 2024 e investimenti sulle reti di distribuzione

La necessità di accelerare la digitalizzazione delle reti di distribuzione non è soltanto una scelta tecnologica, ma una precisa indicazione strategica contenuta nel PNIEC 2024 (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima), che rappresenta il principale documento di pianificazione energetica del Paese per il periodo 2030–2050.

Il nuovo PNIEC pone al centro del sistema elettrico la crescita delle rinnovabili, la flessibilità, l’elettrificazione dei consumi e l’integrazione delle comunità energetiche. Obiettivi che non sono compatibili con una rete di distribuzione ancora largamente analogica o scarsamente monitorata.

Nel documento, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica evidenzia con particolare chiarezza che la rete di distribuzione è l’elemento più critico della transizione energetica, poiché è chiamata a gestire:

  • l’aumento della generazione distribuita;
  • la crescente variabilità dei flussi;
  • la diffusione dei sistemi di accumulo;
  • lo sviluppo della mobilità elettrica;
  • il bilanciamento locale tra domanda e produzione;
  • il funzionamento delle comunità energetiche rinnovabili.

Il PNIEC stima che entro il 2030 saranno necessari oltre 20 GW aggiuntivi di capacità rinnovabile all’anno, con una quota crescente connessa direttamente alle reti di distribuzione. Ciò implica un salto tecnologico che può avvenire solo attraverso una massiccia digitalizzazione delle infrastrutture di media e bassa tensione, a partire proprio dalle cabine secondarie.

Il Piano quantifica inoltre in circa 18 miliardi di euro il fabbisogno complessivo per l’ammodernamento e il rafforzamento delle reti di distribuzione elettrica entro la fine del decennio, con interventi dedicati a sensoristica, connettività, sistemi avanzati di telecontrollo e piattaforme di automazione.

Il PNIEC 2024 richiama inoltre la necessità di dotare il sistema elettrico di capacità di osservabilità in tempo reale, prerequisito per garantire stabilità e sicurezza in presenza di un mix energetico più complesso e di flussi bidirezionali.

Questo obiettivo si traduce, in pratica, nella necessità di collegare in rete tutte le cabine secondarie, dotarle di sistemi di misura avanzata, integrare i dati nei centri di controllo e abilitare modelli predittivi basati su intelligenza artificiale.

La digitalizzazione delle cabine secondarie e delle reti di bassa tensione non è quindi un intervento marginale, ma una condizione strutturale per realizzare il PNIEC stesso. Senza una infrastruttura di distribuzione intelligente, il sistema energetico italiano non sarebbe in grado di assorbire la crescita delle rinnovabili, né di garantire i livelli di resilienza e di qualità del servizio richiesti dalla transizione energetica e dalla nuova mobilità elettrica.

È questo il motivo per cui la digitalizzazione delle reti di distribuzione deve entrare a pieno titolo nella prossima fase di investimenti nazionali sulle infrastrutture critiche.


Smart road e mobilità connessa come nuove infrastrutture critiche

La Smart Road rappresenta l’evoluzione digitale dell’infrastruttura autostradale, un paradigma tecnologico in cui la strada diventa una piattaforma intelligente, connessa e cooperativa, in grado di dialogare in tempo reale con i veicoli, i viaggiatori, gli operatori, i centri di controllo e gli altri elementi del sistema di mobilità.

È un ecosistema iperconnesso pensato per aumentare i livelli di sicurezza, sostenibilità ed efficienza della rete autostradale, ponendo il viaggiatore al centro di un’esperienza di mobilità innovativa, personalizzata e sicura.

Cuore della Smart Road è la digitalizzazione dell’infrastruttura fisica, resa possibile grazie all’integrazione di molte tecnologie:

  • sensori intelligenti, come stazioni meteorologiche e sensori per il monitoraggio infrastrutturale (inclinometri, estensimetri, accelerometri, ecc.);
  • antenne radio in tecnologia I2V2 (Infrastructure to Vehicle) e V2X3 (Vehicle to Everything);
  • radar per la rilevazione della velocità;
  • telecamere ad alta definizione con software di riconoscimento targhe e veicoli;
  • reti a banda ultralarga in fibra ottica e reti 5G;
  • piattaforme di edge computing;
  • sistemi di intelligenza artificiale.

In una prima fase, la comunicazione tra strada e veicolo avviene prevalentemente in modalità I2V, evolvendo progressivamente verso un modello V2X, che include interazioni dirette e indirette tra veicoli, infrastruttura, utenti vulnerabili e centri operativi.

Le principali funzionalità della Smart Road riguardano:

  • la gestione avanzata del traffico, attraverso il monitoraggio continuo e l’attivazione di strategie dinamiche di regolazione della viabilità;
  • il sistema di pagamento del pedaggio in modalità Free Lane Tolling, ossia senza barriere fisiche;
  • la gestione della sicurezza stradale tramite sistemi di misura della velocità istantanea e media, monitoraggio dello stato dei tunnel, gestione dei cantieri con sistemi di allerta e intervento automatico;
  • la raccolta, l’elaborazione e la distribuzione di informazioni sulla mobilità utili ai viaggiatori, agli operatori logistici e alle autorità pubbliche;
  • il monitoraggio infrastrutturale.

Questa architettura consente all’infrastruttura di supportare la guida assistita e autonoma, offrendo informazioni complementari rispetto a quelle percepibili dai sensori di bordo.

I veicoli a guida autonoma ricevono notifiche tempestive su situazioni di rischio imminente – ostacoli sulla carreggiata, incidenti, lavori in corso, condizioni meteo avverse – e possono trasmettere dati dinamici sulla viabilità, che l’infrastruttura raccoglie, elabora e restituisce sotto forma di azioni correttive o suggerimenti predittivi per la gestione del traffico4.

Nella figura 10 è rappresentata l’architettura di massima del software e delle applicazioni delle Smart Road.

Uno degli elementi fondamentali della Smart Road è il miglioramento del posizionamento di precisione, garantito dall’uso coordinato di antenne, sensori e tecnologie satellitari. Ciò è essenziale in tratti critici come gallerie, curve strette o zone con scarsa copertura GPS, dove il veicolo deve mantenere il massimo livello di automazione senza degrado delle prestazioni.

La Smart Road non si limita a fornire dati: essa verifica anche in tempo reale come il veicolo percepisce l’infrastruttura, in particolare la segnaletica orizzontale e verticale. Questa attività consente un adattamento continuo della rete per migliorarne la leggibilità da parte dei sistemi di bordo e ottimizzare la sinergia uomo–macchina–strada.

Tutti questi elementi concorrono a costruire un’infrastruttura capace di evolvere nel tempo: una rete predisposta all’introduzione dei modelli di guida cooperativa (Cooperative Driving), all’adozione del platooning per i mezzi pesanti, alla gestione intelligente delle aree di sosta e alla transizione verso modelli di mobilità a basse emissioni.

In questo contesto, l’infrastruttura diventa protagonista attiva della rivoluzione tecnologica, trasformandosi da supporto passivo a piattaforma intelligente per la gestione integrata della mobilità.

Figura 10: Architettura di massima del software e delle applicazioni Smart Road.

Road Side Unit, backbone in fibra e sicurezza NIS2

Dal punto di vista degli elementi infrastrutturali che abilitano le Smart Road, e che sono distribuiti per tutta la lunghezza dei tracciati stradali e autostradali, il sistema abilitante è la Road Side Unit (RSU), il cui schema di principio e le funzioni principali sono indicate nella figura 11.

Dato che abbiamo circa 35.000 km tra strade statali e autostrade e che le Road Side Unit distano circa 800 metri tra loro e sono implementate in ciascun senso di marcia, abbiamo necessità di circa 90.000 Road Side Unit. Possiamo stimare un investimento intorno a 1,2 miliardi di euro per l’implementazione del modello Smart Road in Italia.

Anche nel caso Smart Road, date le caratteristiche e gli impatti che deriverebbero da una sua compromissione, il livello di sicurezza deve essere massimo, in accordo con la normativa NIS2, con la presenza dei controlli tipici di una infrastruttura critica.

I quattro pilastri fondamentali da indirizzare, direttamente legati alla rete di controllo, sono:

  • Access control
  • Network segmentation e intrusion detection
  • Network enforcement
  • Encryption

Una considerazione finale riguarda l’infrastruttura portante in fibra ottica necessaria al collegamento delle Road Side Unit. È evidente che lo sviluppo di questi sistemi richiede la posa di nuovi cavi in fibra ottica lungo tutto il tracciato delle autostrade e strade principali.

Con le nuove fibre multicore e i cavi ad altissima potenzialità oggi disponibili, l’occasione di incrementare di molto la capacità di rete del backbone terrestre è molto importante anche per l’obiettivo di sviluppo dei nuovi data center e delle applicazioni dell’AI generativa e agentica.

Figura 11: Architettura e funzioni di massima del software delle Road Side Unit.

Standard europei C-ITS e C-V2X

L’evoluzione delle Smart Road si inserisce in un quadro europeo già ben definito, che ha adottato gli standard Cooperative Intelligent Transport Systems (C-ITS) come architettura di riferimento per la mobilità cooperativa.

Il C-ITS rappresenta il modello europeo per abilitare la comunicazione continua tra veicoli, infrastrutture stradali e centri di controllo, con l’obiettivo di rendere il traffico più sicuro, fluido e predittivo.

Le Smart Road italiane si collocano pienamente in questa visione, recependo i principi stabiliti dalla Commissione europea e dal CEN/ETSI, che definiscono non solo gli aspetti tecnologici, ma anche la semantica dei messaggi, i protocolli di sicurezza, le modalità di autenticazione e l’interoperabilità tra operatori e Stati membri.

Alla base degli standard C-ITS vi è un’architettura cooperativa in cui l’infrastruttura stradale trasmette e riceve messaggi standardizzati – come il CAM (Cooperative Awareness Message) e il DENM (Decentralized Environmental Notification Message) – che consentono ai veicoli di percepire in anticipo una condizione di rischio, un ostacolo improvviso, una frenata brusca o la presenza di un cantiere.

Questa comunicazione, definita in modo armonizzato a livello europeo, permette ai sistemi di bordo e ai centri operativi di integrare informazioni provenienti da sensori, telecamere, radar e rete mobile, creando una consapevolezza collettiva dello stato della circolazione.

L’Europa ha scelto per il C-ITS una strategia tecnologica aperta, che comprende sia le soluzioni DSRC/ITS-G5 sia il più recente paradigma C-V2X, previsto dalle specifiche del 3GPP per l’evoluzione verso il 5G.

Questa flessibilità consente di adattare il sistema ai diversi contesti urbani e autostradali, mantenendo un elevato livello di interoperabilità. Le Smart Road italiane si stanno progressivamente allineando a questo modello, adottando piattaforme edge, connettività 5G, sensori distribuiti e sistemi di comunicazione I2V e V2X che rendono la strada parte attiva del sistema di guida.

L’adozione degli standard C-ITS non è solo un requisito tecnico, ma un elemento strategico: garantisce che l’infrastruttura stradale nazionale sia interoperabile con quella degli altri Paesi europei, facilita la circolazione transfrontaliera dei veicoli connessi e autonomi e permette di condividere modelli di sicurezza e algoritmi predittivi su scala continentale.

In questo senso, la Smart Road non è un progetto isolato, ma il tassello italiano di un ecosistema europeo di mobilità cooperativa, intelligente e sostenibile che diventerà sempre più centrale nella transizione verso i trasporti autonomi del prossimo decennio.


Telco cloud, data center e digitalizzazione delle infrastrutture critiche

Le reti di telecomunicazioni e i data center sono da sempre, e ancora di più oggi, infrastrutture critiche di importanza vitale. La convergenza tra reti e capacità di calcolo rappresenta uno dei cambiamenti più profondi e strategici nell’evoluzione delle telecomunicazioni moderne, accelerati dall’impetuoso sviluppo dell’intelligenza artificiale.

Per decenni, la rete è stata vista come un’infrastruttura di trasporto passiva, finalizzata a spostare pacchetti di dati da un punto all’altro. Oggi questo modello sta lasciando il posto a una nuova visione in cui la rete diventa una piattaforma intelligente, programmabile e integrata con le risorse di computing, in modo da spostare l’elaborazione dei dati in prossimità del punto in cui vengono generati.

Il concetto di Telco Cloud nasce da questa trasformazione. Esso consiste nella virtualizzazione delle funzioni di rete (NFV – Network Function Virtualization) e nella loro esecuzione su infrastrutture cloud distribuite. In pratica, router, firewall, gateway e altre componenti tradizionalmente hardware vengono convertiti in software e gestiti su server generici, rendendo la rete più flessibile, scalabile e facilmente aggiornabile.

L’architettura Software Defined Network (SDN) separa il piano di controllo da quello di trasporto. Ciò consente di gestire centralmente le funzioni di rete attraverso interfacce software e API, con la possibilità di configurare, ottimizzare e riconfigurare la rete in tempo reale in base alle esigenze dei servizi e degli utenti.

Questo approccio favorisce la flessibilità operativa, l’automazione e la riduzione dei costi di gestione, aprendo la strada a reti più efficienti e intelligenti.

Con l’avvento dell’edge computing, la capacità elaborativa si distribuisce lungo la rete, avvicinandosi ai punti in cui i dati vengono generati. In questo modo si riducono la latenza e la congestione del traffico verso i data center centrali, migliorando le prestazioni di applicazioni che richiedono tempi di risposta immediati, come realtà aumentata, guida autonoma o monitoraggio industriale in tempo reale.

Il Telco Cloud diventa quindi il punto d’incontro tra telecomunicazioni e informatica distribuita, trasformando la rete in una piattaforma di servizi digitali capace di fornire connettività, storage e calcolo in modo integrato.

Questa architettura abilita nuovi modelli di business, come il Network as a Service, e consente agli operatori di offrire non solo connessioni, ma veri e propri ambienti digitali personalizzabili per clienti enterprise e pubbliche amministrazioni.

Dal punto di vista operativo, le tecnologie di automazione e intelligenza artificiale svolgono un ruolo fondamentale nel rendere gestibile la complessità di queste reti ibride.

Gli algoritmi di AIOps (Artificial Intelligence for IT Operations) permettono di monitorare in tempo reale il funzionamento della rete, individuare anomalie e intervenire in modo proattivo prima che si verifichino disservizi. L’analisi predittiva consente di stimare l’impatto di guasti o congestioni e di ricalibrare automaticamente i flussi di traffico.

In questo modo la rete diventa in grado di autogestirsi, garantendo una qualità del servizio più elevata e tempi di ripristino ridotti quasi a zero.

Intelligenza artificiale per reti autonome e zero-touch

Un secondo livello riguarda l’ottimizzazione delle prestazioni. L’intelligenza artificiale consente di allocare dinamicamente la capacità di rete in base alla domanda, regolando in modo intelligente la larghezza di banda, la potenza trasmissiva e le priorità di traffico.

Ciò è particolarmente importante in scenari ad alta variabilità, come quelli legati ai servizi mobili, all’edge computing o al traffico generato dai dispositivi IoT. Le reti diventano così elastiche, in grado di espandersi o contrarsi in base alle esigenze del momento.

Un ulteriore ambito di applicazione è quello della sicurezza. L’intelligenza artificiale può analizzare milioni di eventi in tempo reale per riconoscere comportamenti anomali, attacchi informatici o tentativi di intrusione.

Gli algoritmi di machine learning e deep learning sono in grado di identificare pattern di minaccia che sfuggirebbero al controllo umano, consentendo risposte immediate e automatizzate attraverso playbook di difesa preconfigurati.

Con l’avvento della Generative AI, l’automazione entra anche nella sfera della progettazione e documentazione tecnica. I nuovi sistemi di supporto, come i modelli linguistici specializzati nel dominio delle telecomunicazioni, permettono di generare automaticamente configurazioni di rete, test plan, report di performance e piani di espansione, riducendo drasticamente tempi ed errori.

Questo passaggio segna l’ingresso delle reti nell’era della “intelligenza assistita”, in cui l’uomo supervisiona e valida decisioni prese da sistemi cognitivi.

Il punto di arrivo di questa evoluzione è la rete autonoma, capace di apprendere, adattarsi e operare senza interventi umani diretti. Una rete zero-touch, in grado di configurarsi da sola, diagnosticare i problemi, eseguire le correzioni necessarie e migliorarsi continuamente sulla base dei dati raccolti.

Questa prospettiva, già oggetto di sperimentazioni concrete da parte dei grandi operatori, è destinata a diventare la norma con il 6G, quando l’integrazione tra intelligenza artificiale, edge computing e automazione consentirà la gestione di ecosistemi digitali di scala planetaria.

In questo scenario, l’intelligenza artificiale non è più un supporto operativo, ma il cervello stesso della rete. Essa trasforma le telecomunicazioni in un sistema dinamico, adattivo e predittivo, dove ogni elemento – dal singolo sensore al backbone globale – partecipa a un flusso continuo di decisioni intelligenti.

È il passaggio definitivo da una rete reattiva a una rete proattiva, in grado non solo di connettere, ma di comprendere e ottimizzare il mondo che connette.

Quantum computing, QKD e comunicazioni quantistiche

Il quantum computing e le comunicazioni quantistiche rappresentano la nuova frontiera dell’evoluzione tecnologica e promettono di ridefinire in profondità l’architettura delle reti e il modo stesso di concepire l’elaborazione e la trasmissione delle informazioni.

La logica binaria lascia il passo a un modello fondato sulle leggi della meccanica quantistica, in cui i bit tradizionali vengono sostituiti dai qubit, capaci di assumere simultaneamente più stati grazie al principio di sovrapposizione.

Il quantum computing introduce una potenza di calcolo di ordini di grandezza superiori rispetto ai sistemi convenzionali. I computer quantistici non eseguono le operazioni in modo sequenziale, ma esplorano in parallelo una enorme quantità di soluzioni possibili.

Questa capacità li rende strumenti ideali per affrontare problemi complessi come la simulazione di sistemi molecolari, l’ottimizzazione di processi industriali e logistici, la progettazione di nuovi materiali e la sicurezza delle reti.

Nel contesto delle telecomunicazioni, il quantum computing avrà un ruolo decisivo in due direzioni: l’ottimizzazione dinamica delle risorse di rete e la sicurezza delle comunicazioni.

Gli algoritmi quantistici permetteranno di gestire reti globali con livelli di complessità oggi impensabili, ottimizzando in tempo reale il routing dei dati, la distribuzione della capacità e la gestione dei flussi energetici.

Allo stesso tempo, le comunicazioni quantistiche introdurranno meccanismi di sicurezza basati su principi fisici, e non più solo matematici, rendendo impossibile l’intercettazione o la manipolazione dei dati senza che ciò venga immediatamente rilevato.

Il pilastro tecnologico di questa nuova era è la Quantum Key Distribution (QKD), una tecnica che consente la creazione e la condivisione di chiavi crittografiche assolutamente sicure attraverso lo scambio di fotoni entangled.

La QKD non si limita a migliorare la sicurezza delle reti esistenti, ma ne cambia radicalmente il paradigma: la sicurezza non sarà più affidata alla complessità degli algoritmi, ma alle leggi della fisica, che impediscono la copia o la misurazione di uno stato quantico senza alterarlo.

La costruzione di reti quantistiche – i futuri Quantum Internet – richiederà la realizzazione di nuovi elementi di infrastruttura, come ripetitori quantistici e canali ottici dedicati, oltre all’integrazione tra segmenti terrestri e satellitari.

L’Europa è già impegnata in questa direzione con il programma EuroQCI (European Quantum Communication Infrastructure), che punta a creare entro la fine del decennio una rete quantistica sicura, integrata con le reti terrestri a banda ultralarga e le costellazioni satellitari europee.

Il quantum computing non sostituirà il cloud classico, ma lo potenzierà, dando origine a un modello ibrido in cui i processi più complessi saranno affidati a nodi quantistici collegati in rete.

Nel lungo periodo, l’integrazione tra computing quantistico e comunicazioni quantistiche determinerà la nascita di un ecosistema digitale completamente nuovo: un’infrastruttura intelligente, sicura e fisicamente inviolabile, capace di sostenere applicazioni mission critical, reti industriali autonome e sistemi globali di intelligenza artificiale distribuita.

Per le telecomunicazioni si tratta non solo di una sfida tecnologica, ma anche di un’occasione storica per tornare al centro della rivoluzione digitale.


Infrastrutture critiche e tecnologie digitali dual use per difesa e sicurezza

Questa visione si estende anche alle tecnologie dual use. La convergenza tra infrastrutture civili e capacità per la difesa è oggi un elemento ricorrente. Europa e Stati membri non possono più permettersi compartimenti stagni: le stesse infrastrutture digitali che servono per l’industria, i trasporti o la gestione dell’energia saranno il fondamento delle capacità di difesa europee.

Senza una base industriale della difesa forte, autonoma e integrata, l’Europa non potrà né garantire la propria sicurezza né competere nella corsa globale alle tecnologie critiche. Questo vale per la cyber security, per le comunicazioni satellitari, per l’intelligenza artificiale applicata alla sicurezza, per il quantum e per le tecnologie sensoristiche avanzate.

Dal punto di vista contabile, oggi la regola è abbastanza chiara: la maggior parte degli investimenti digitali viene classificata come spesa civile, anche quando aumenta in modo evidente la resilienza del sistema Paese.

I target NATO sul 2% del PIL per la difesa includono una quota di spesa “dual use”, ma solo quando la componente militare è identificabile e stimabile: reti di comunicazione dedicate alle Forze Armate, sistemi di comando e controllo, capacità cyber, infrastrutture di cloud sicuro utilizzate anche per scopi militari.

Non è invece il caso, in generale, delle grandi iniziative di digitalizzazione civile – come banda ultralarga per famiglie e imprese, trasformazione digitale della PA, data center commerciali – che restano per ora contabilizzate come spesa non militare, anche se in una situazione di crisi verrebbero ovviamente sfruttate anche per fini di sicurezza e difesa.

Se però spostiamo lo sguardo dal piano contabile a quello strategico, una parte molto rilevante degli investimenti digitali sulle infrastrutture critiche è, di fatto, dual use.

Proprio Draghi insiste sul fatto che le tecnologie critiche per sicurezza e difesa vengono sempre più da aziende commerciali non difesa, spesso PMI, che sviluppano capacità digitali avanzate poi riutilizzate in ambito militare.

Il rapporto denuncia che i programmi dual use in Europa sono ancora sottosviluppati rispetto al potenziale e raccomanda esplicitamente di crearne di nuovi e di usare strumenti come gli “European Defence Projects of Common Interest” per tecnologie cross-over tra civile e militare.

Negli ultimi due anni la politica europea si sta muovendo in questa direzione. La Banca europea per gli investimenti (BEI), ad esempio, nel 2024 ha cambiato le proprie regole: ha tolto il vincolo per cui i progetti dual use dovevano avere più del 50% dei ricavi da usi civili e ha dichiarato finanziabili infrastrutture e progetti usati anche da militari o forze di polizia, purché abbiano anche un’utilità civile (per esempio infrastrutture critiche, cybersecurity, mobilità militare, protezione dei confini).

È un segnale forte: l’Unione riconosce che certe infrastrutture digitali, pur essendo civili, appartengono al perimetro della sicurezza e della difesa.

Anche la Commissione europea, nelle recenti proposte, sta esplicitamente estendendo programmi “civili” come il Digital Europe Programme e il CEF Digital per includere capacità digitali dual usecloud, AI, 5G – considerate cruciali sia per l’economia sia per la difesa europea.

I documenti più recenti sulla politica industriale della difesa e sui fondi europei per il settore difesa sottolineano che le tecnologie chiave da finanziare sono proprio quelle a cavallo: AI, cyber, spazio, quantum, cloud, telecomunicazioni sicure, cioè il cuore delle infrastrutture digitali critiche.

Possiamo quindi considerare molti degli investimenti digitali sulle infrastrutture critiche come parte dello sforzo per raggiungere un certo livello di impegno in difesa?

Dal punto di vista sostanziale, , a condizione che siano progettati fin dall’inizio con requisiti di resilienza, sicurezza, interoperabilità e “military usability”.

Una rete 5G che copre corridoi logistici, porti, aeroporti, gallerie; un cloud nazionale con livelli di classificazione adeguati; data center ad alta sicurezza; backbone ottici con instradamenti ridondati; sistemi di monitoraggio cyber delle infrastrutture energetiche e dei trasporti: tutto questo è, nei fatti, infrastruttura dual use.

Dal punto di vista della contabilità di bilancio e delle statistiche NATO/Eurostat, però, non tutto potrà essere etichettato come spesa per la difesa senza perdere credibilità. Probabilmente verrà accettata come difesa solo la parte di questi investimenti che ha un legame diretto e dimostrabile con capacità militari o di sicurezza nazionale.

Il resto resterà classificato come investimento civile, pur contribuendo in modo reale alla resilienza complessiva.

Il punto politico è che la vera opportunità per l’Europa non è “truccare” le cifre della difesa chiamando difesa ciò che è digitale, ma disegnare fin dall’origine i grandi programmi di investimento sulle infrastrutture critiche – energia, trasporti, reti e cloud – in un’ottica dual use esplicita.

In questo modo la stessa spesa genera contemporaneamente tre effetti:

  • aumenta la competitività e la produttività;
  • accelera la transizione digitale ed energetica;
  • rafforza la capacità di difesa e la resilienza del sistema.

È la logica che attraversa il Rapporto Draghi e le nuove iniziative europee sui programmi dual use: non due mondi separati, civile e militare, ma una base tecnologica comune su cui costruire entrambe le dimensioni.


Le priorità operative della digitalizzazione delle infrastrutture critiche nel post PNRR

La nuova fase della modernizzazione del Paese richiede un cambio di scala e di prospettiva. Gli investimenti realizzati finora hanno portato la connettività nazionale ai livelli delle economie più avanzate, ma ora è necessario intervenire dove la digitalizzazione può produrre il massimo impatto industriale, ambientale e strategico: le infrastrutture critiche.

La prima priorità riguarda le reti elettriche di distribuzione. La transizione verso un sistema energetico decarbonizzato non potrà realizzarsi senza una profonda digitalizzazione delle cabine secondarie, oggi largamente prive di connettività, sensori e sistemi di automazione.

È qui che si misura la capacità del Paese di abilitare una gestione dinamica dei flussi energetici, integrare la generazione distribuita e garantire stabilità alla rete. La fibra che raggiunge gli edifici deve raggiungere anche queste infrastrutture, completando un percorso che negli anni passati si è limitato alla dimensione residenziale e aziendale.

La seconda area di intervento riguarda la mobilità. Le Smart Road, i corridoi stradali digitalizzati, i sistemi di monitoraggio delle infrastrutture, il free flow per il pedaggio e la connessione intelligente tra veicoli e strade rappresentano un salto qualitativo nella sicurezza, nella fluidità del traffico e nella sostenibilità.

Porti, aeroporti e nodi ferroviari devono dotarsi di piattaforme digitali integrate, sistemi di controllo avanzati, reti 5G dedicate, soluzioni di sicurezza cyber e sistemi predittivi per la gestione dei flussi.

Una terza priorità è rappresentata dai sistemi idrici. L’Italia ha una delle reti idriche più estese e più vulnerabili d’Europa, con perdite di rete che in molte aree superano il 40%.

La digitalizzazione degli acquedotti – sensori, sistemi SCADA evoluti, digital twin, manutenzione predittiva – rappresenta un intervento strategico non solo per la sostenibilità ambientale, ma anche per la sicurezza delle risorse e per la competitività delle filiere produttive che dipendono dall’acqua.

La quarta area riguarda la convergenza tra reti di telecomunicazione, cloud distribuito e data center. La crescita dell’intelligenza artificiale, dei modelli generativi, del supercalcolo e delle applicazioni industriali richiede una nuova generazione di infrastrutture digitali integrate, basate su Telco Cloud, edge computing e data center resilienti, energeticamente efficienti e pienamente interoperabili con le reti di telecomunicazione.

Infine, una quinta priorità trasversale riguarda la sicurezza: cyber, fisica e operativa. La protezione delle infrastrutture critiche deve diventare una disciplina pienamente integrata nei progetti di digitalizzazione.

Le tecnologie di monitoraggio avanzato, le piattaforme di security operations, i sistemi di rilevamento distribuito, le architetture zero trust e le soluzioni quantistiche emergenti devono essere considerate parte essenziale degli investimenti.

Queste priorità non sono programmi separati, ma componenti di un’unica politica industriale nazionale. L’Italia deve riconoscere che la competitività del Paese, la sua sostenibilità energetica e la sua sicurezza dipenderanno sempre più dalla capacità di costruire infrastrutture intelligenti, connesse e resilienti, integrate in un ecosistema digitale europeo più ampio.

Conclusioni. Il PNRR ha dimostrato che l’Italia è capace di colmare rapidamente ritardi storici quando dispone di un piano chiaro e di una governance efficace. Ora si apre una fase ancora più impegnativa, che coincide con una trasformazione epocale dell’economia, dell’energia, della mobilità e della sicurezza europea.

Le infrastrutture critiche diventano il terreno su cui si misura non solo la modernità di un Paese, ma la sua capacità di affrontare le incertezze globali, di proteggere la propria economia e di costruire una crescita duratura.

La sfida dei prossimi anni sarà rendere il digitale non solo un fattore abilitante, ma un elemento strutturale della nostra infrastruttura nazionale. Una rete energetica intelligente, un sistema di mobilità connesso, un ciclo idrico monitorato in tempo reale, reti di telecomunicazioni integrate con il cloud e con le capacità di calcolo, AI data center resilienti e sicuri: queste non sono scelte tecnologiche, sono le fondamenta della competitività dell’Italia nel prossimo ventennio.

In parallelo, l’Europa sta costruendo una nuova architettura di sicurezza e difesa. La convergenza tra infrastrutture civili e capacità militari, che fino a pochi anni fa era un tema marginale, è oggi al centro della strategia europea.

Le tecnologie dual use non rappresentano un compromesso: sono la via maestra per rendere compatibili sviluppo economico, sicurezza e sostenibilità degli investimenti.

Per l’Italia, questo significa progettare fin dall’origine infrastrutture digitali e fisiche che siano resilienti, interoperabili, intelligenti e adatte a sostenere sia le esigenze del Paese sia quelle dell’Europa nel suo complesso.

L’opportunità che abbiamo davanti non è solo quella di completare la digitalizzazione del Paese, ma di trasformare l’Italia in uno dei sistemi infrastrutturali più moderni e resilienti d’Europa. È una sfida che richiede visione, capacità industriale e un forte coordinamento istituzionale.

È soprattutto una scelta: decidere che le infrastrutture critiche – energetiche, digitali, dei trasporti e dell’acqua – non sono un capitolo di spesa, ma il patrimonio strategico su cui costruire crescita, autonomia e sicurezza.

  1. La definizione di “infrastrutture critiche” in Italia è contenuta nel Decreto Legislativo 11 aprile 2011, n. 61, che recepisce la Direttiva 2008/114/CE del Consiglio europeo. Questa direttiva riguarda l’identificazione e la designazione delle infrastrutture critiche europee (ICE) e la valutazione della necessità di migliorare la loro protezione. Principali riferimenti legislativi: 1) Direttiva 2008/114/CE: Stabilisce un approccio comune a livello europeo per identificare e proteggere le infrastrutture critiche nei settori dell’energia e dei trasporti, con possibilità di estensione ad altri settori. 2) Decreto Legislativo n. 61/2011: Definisce in Italia le infrastrutture critiche come “quei beni, sistemi o parti di essi, situati nel territorio nazionale, che sono essenziali per il mantenimento delle funzioni vitali della società, della salute, della sicurezza, della protezione e del benessere economico e sociale dei cittadini”. La legge prevede anche misure per la protezione di tali infrastrutture e stabilisce procedure per la designazione delle infrastrutture critiche europee e nazionali. Inoltre, il Decreto Legislativo 18 maggio 2018, n. 65, che recepisce la Direttiva NIS (Network and Information Security), introduce ulteriori misure di sicurezza per le infrastrutture critiche, soprattutto in relazione alla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi. ↩︎
  2. I2V (Infrastructure-to-Vehicle) è una modalità di comunicazione unidirezionale in cui l’infrastruttura stradale trasmette informazioni direttamente ai veicoli, allo scopo di supportare la guida assistita o autonoma. Le informazioni possono includere messaggi di allerta, limiti di velocità dinamici, stato del traffico, presenza di ostacoli, cantieri o condizioni meteo critiche. Storicamente, lo standard tecnologico di riferimento per l’I2V è stato DSRC (Dedicated Short Range Communications), basato sul protocollo IEEE 802.11p, che opera nella banda dei 5,9 GHz e consente comunicazioni dirette a corto raggio (fino a circa 300-500 metri) con tempi di latenza molto bassi. ↩︎
  3. V2X (Vehicle-to-Everything) indica la comunicazione tra un veicolo e altri elementi connessi come veicoli, infrastruttura stradale, rete mobile o utenti vulnerabili. Utilizza due principali tecnologie: DSRC (IEEE 802.11p) e C-V2X, evoluzione definita dal 3GPP nelle release 14-16. C-V2X include la comunicazione diretta PC5 (interfaccia tra dispositivi, senza rete mobile, per messaggi a bassa latenza) e la comunicazione Uu (tramite rete cellulare 4G/5G, per collegamento a centri di controllo o cloud). Entrambe operano tipicamente nella banda dei 5,9 GHz. Il C-V2X con rete 5G è destinato a diventare lo standard di riferimento per la mobilità connessa. ↩︎
  4. Da un lato, i sostenitori della guida autonoma basata esclusivamente su sensori di bordo (radar, lidar, telecamere) e algoritmi locali puntano sull’autosufficienza del veicolo. Questo approccio, detto “vehicle-centric”, è promosso da molte case automobilistiche e aziende tecnologiche perché permette un controllo completo senza dipendere da infrastrutture esterne. Dall’altro lato, l’approccio “infrastructure-supported” sostiene che la piena affidabilità, sicurezza e scalabilità della guida autonoma richiedano l’integrazione con infrastrutture intelligenti, come la Smart Road. In ambienti complessi come gallerie, intersezioni o aree urbane dense, il solo veicolo può avere visibilità o capacità di calcolo limitate. Qui la strada può fornire dati critici sul traffico, ostacoli non visibili, condizioni meteo localizzate, priorità di passaggio, presenza di utenti vulnerabili. La verità è che i due modelli non si escludono: la guida autonoma evolverà come un sistema cooperativo. I veicoli useranno al massimo i propri sensori, ma dialogheranno anche con l’infrastruttura (V2X), sfruttando i dati della Smart Road per aumentare affidabilità e ridondanza. Questo approccio è coerente con la filosofia di sicurezza “fail-operational”, dove anche in caso di parziale guasto, il sistema complessivo continua a funzionare. In sintesi, il supporto della Smart Road non è un vincolo per lo sviluppo della guida autonoma, ma un acceleratore fondamentale per renderla più sicura, efficiente e pronta per scenari reali complessi. ↩︎
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