DL Semplificazioni

Ma la PA digitale non è una scadenza burocratica: la svolta necessaria

Molti amministratori continuano a considerare il processo di transizione al digitale come una delle tante scadenze a cui sono abituati. In realtà, il processo di adozione di servizi quali PagoPA (ma non solo) comporta, a monte, una seria analisi organizzative e dei flussi informativi digitali. Il cambiamento che serve

Pubblicato il 04 Ago 2020

Michele Vianello

consulente e digital evangelist

pa digitale

Il decreto Semplificazioni introduce alcune importanti novità nel corpo del Codice dell’Amministrazione Digitale e, in generale, nella normativa che presiede il processo di transizione al digitale.

Non sono novità in senso stretto, ma nel testo del DL 76/2020 vengono meglio precisate, vengono rese operative, vengono indicate alcune date e scadenze.

Il punto sta proprio nella parole “scadenza”, perché troppo spesso il senso della transizione digitale viene limitato a questo, quando in realtà si tratta, come capirete di una attività complessa e impegnativa. Non è una scadenza burocratica quella che si prospetta, bensì una analisi e un cambiamento di radicate modalità lavorative.

Transizione digitale: semplice scadenza o cambiamento radicale?

Per poter comprendere meglio quali attività dovranno sollecitamente mettere in campo le Pubbliche Amministrazioni per rispettare quanto previsto dal Decreto vorrei partire da un esempio molto concreto.

L’obbligo dell’utilizzo della piattaforma PagoPA – uno dei caposaldi nel processo di digitalizzazione – è slittato al 28 febbraio del 2021. È una delle tante proroghe alle quali ci ha abituato “l’indecisione” del legislatore.

Perché molte amministrazioni al primo luglio 2020 non hanno ancora attivato PagoPA?

Ovviamente – qui parlo molto dei Comuni – i responsabili continuano a considerare il processo di transizione al digitale come una delle tante “scadenze” alle quali sono abituati. Come è noto, le scadenze si possono anche prorogare.

In realtà, una corretta applicazione di PagoPA comporta, a monte, una seria analisi organizzative e dei flussi informativi digitali. Di fronte a questo ostacolo, quando i fornitori di software gestionali non sono stati in grado di sopperire, molte amministrazioni si sono fermate.

Non si tratta, banalmente, di aderire alla piattaforma, si tratta di acquisire i software che mettono in relazione il “momento del pagamento” (anche in ambiente web sul sito istituzionale) e i software che gestiscono le attività di contabilità. Si tratta infatti di “normalizzare” i flussi informativi, di armonizzare le attività dei diversi software gestionali, anche quando tali software sono forniti da diversi soggetti.

Si tratta, insomma, improrogabilmente di lavorare in base ai principi di interoperabilità, al rilascio di API ecc.. Nella gestione analogica la carenza di interoperabilità era ovviata dallo scambio di documenti cartacei. Nel mondo di PagoPA ciò non è possibile.

Il nodo dell’interoperabilità

L’architettura di molte delle previsioni del Decreto-legge 76/2020 in materia di transizione al digitale si basa sulla piena affermazione del principio di interoperabilità, sulla priorità di scambi informativi in ambiente web -e non nei gestionali, anche se forniti in cloud- sulla completa digitalizzazione del flusso documentale.

Come si vedrà non è così semplice, perché implica una profonda e consapevole revisione dei modelli organizzativi e dei rapporti con i fornitori.

Vorrei concentrarmi ora sui capisaldi della architettura delineata -meglio precisata- dal DL 76/2020 e sulle condizioni perché gli intendimenti e le scadenze prospettate siano, una volta tanto, rispettati.

L’idea di fondo (peraltro già prevista nel CAD e nel Piano triennale) è quella che il sistema di identificazione del cittadino si basi esclusivamente su SPID o su CIE.

CNS, anche per difficoltà di fruizione, sembra destinato ad essere abbandonato. Ritengo che le informazioni contenute in CNS dovrebbero “migrare” verso il chip della CIE.

Viene definitivamente sancito che i servizi della PA, la possibilità di effettuare pagamenti, l’opportunità di inoltrare istanze debba avvenire “in mobilità” utilizzando la app IO Italia.

Viene finalmente dato corpo ad un diritto del cittadino – già previsto dal CAD – ossia quello di avere un proprio domicilio digitale. Tale domicilio digitale, a compimento della migrazione di tutti i Comuni in ANPR, sarà integrato in quest’ultima piattaforma di interoperabilità.

Si procede verso la messa in opera di una unica piattaforma per le attività di notificazione.

Date e scadenze precisate dal decreto Semplificazioni

Se, per quanto attiene il domicilio digitale e la piattaforma per le notifiche, il pallino è totalmente nelle mani della Presidenza del Consiglio e dell’AGID, l’estensione nell’utilizzo di SPID/CIE e l’implementazione di IO passa, obbligatoriamente anche dalle attività delle Amministrazioni Pubbliche.

Il decreto prevede infatti (v. art. 64 bis comma 1 quater) che le PA debbano rendere “fruibili tutti i loro servizi” anche in modalità digitale e che i “progetti di trasformazione digitale” dovranno essere “avviati”, entro il 28 febbraio 2021.

Inoltre, all’art. 63 comma 3 bis è previsto che “a decorrere dal 28 febbraio 2021” le P.A. “utilizzano esclusivamente le identità digitali (SPID) e la carta di identità elettronica ai fini dell’identificazione dei cittadini che accedono ai propri servizi on-line.”

Le Amministrazioni a questo punto dovranno, fin da subito, procedere ad una propria indagine organizzativa, censire i servizi, verificare le modalità di erogazione, verificare l’adeguatezza del sito istituzionale, procedere all’attività di migrazione.

Le linee guida Agid sul design

L’ostacolo, anche culturale, più forte è che attualmente la modulistica – trasformata in form – è la base per l’erogazione dei servizi utilizzando come log CIE/CNS- risiede in un ambiente informatico “gestionale”.

Se i siti istituzionali dovranno diventare sempre di più le piattaforme attraverso la quali i cittadini – loggandosi con CIE/CNS- pagheranno e invieranno le loro istanze, il front office (moduli e form) dovrà risiedere in ambiente web e non in ambiente gestionale.

Questa attività, che potrebbe sembrare banale, implica un cambiamento nei rapporti con gli attuali fornitori, una maggiore indipendenza degli enti, l’affermazione dell’idea che chi opera sui gestionali non dovrà operare (anche per evitare il rischio di lock in) in ambiente web. Insomma, le linee guida AGID sul design dei siti si dimostrano abbondantemente insufficienti.

Attenzione, il divieto ad utilizzare altre forme di identificazione che non siano SPID/CIE implica, anche per enti importanti (penso ad es. all’INPS e all’Agenzia delle Entrate, ma anche alla scuola) ad una attività di formazione/informazione rivolta ai cittadini e ai fornitori di servizi.

A questo punto andrà affrontato in modo “non giustizialista” un’altra novità introdotta dal decreto.

Per la prima volta la responsabilità nel mancato raggiungimento degli obiettivi di cui sopra viene quantificata -per i dirigenti responsabili- in “una riduzione non inferiore al 30 per cento della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei dirigenti competenti, oltre al divieto di attribuire premi o incentivi nell’ambito delle medesime strutture.” Ovviamente saremmo portati ad un commento: “finalmente, era ora”.

Tuttavia, perché ciò sia fattibile, le attività che abbiamo fin qui delineato dovranno essere rapidamente tradotte, pesate e valutate negli strumenti di programmazione degli enti. Per esempio, nei Comuni parliamo del DUP (Documento Unitario di Programmazione) e del PEG (Piano Economico Gestionale).

Il ruolo del Responsabile per la Transizione Digitale

E, in tutti i casi, nel processo di pianificazione e di avvio dei procedimenti che ruolo/responsabilità assumerà il Responsabile per la Transizione Digitale? Il RTD, oggi è una figura più subita che consapevolmente valorizzata. Sarebbe un grave errore se, tutte le responsabilità venissero addossate al RTD che, ricordiamo, ai sensi dell’art. 17 del CAD non gode di alcuna specifica indennità.

l’app IO in questo momento è ancora poca cosa. Strategicamente rappresenta un asset importante ma va rapidamente implementato.

Ciò passa attraverso l’aumento dei Comuni che offrono, oltre che dal loro sito, i servizi disponibili on line (tutti i loro servizi) e verso il miglioramento dei sistemi di pagamento. Resta molto lontana la possibilità di “avanzare istanze” o di generare utili “messaggi di cortesia”, perché i protocolli di operatività non sembrano attivati, perché l’offerta dalle PA verso IO non è ancora adeguata.

Soprattutto, appare assolutamente necessario accelerare sul processo di dematerializzazione del flusso documentale. Peraltro, le norme contenute nel decreto in materia di lavoro agile implicano un’accelerazione nell’adozione del paradigma cloud e nella piena digitalizzazione del documentale.

IO resterà poca cosa se si ridurrà ad essere una sorta di Google che facilita l’accesso ai servizi presenti sui siti dei Comuni. Google è meglio e più forte di IO per evidenti motivi.

Conclusioni

Laddove hanno “il pallino” la Presidenza del Consiglio dei Ministri e AGID, andranno assolutamente accelerate il “domicilio digitale” e le “norme tecniche in materia di protocollo, fascicolazione e conservazione”.

Per quanto attiene il ”domicilio digitale”, la consultazione on line delle linee guida si è conclusa il 16 luglio. Attendiamo ora un sollecito iter affinché ciò che è delineato anche nel testo di legge divenga rapidamente realtà.

Per quanto attiene le norme tecniche in materia di digitalizzazione del flusso documentale mi auguro che le modifiche al CAD contenute nel Decreto 76/2020 rispondano alle obiezioni avanzate in sede comunitaria che, fino ad ora, avevano ritardato l’attuazione di un tassello fondamentale.

Naturalmente tutte queste previsioni, oltre a ciò che era già previsto e non è stato modificato nel CAD, dovranno essere rappresentate nel nuovo Piano Triennale 2020/2022 che, come noto deve essere approvato entro il 30 settembre 2020.

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