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Cambiare la Sanità con PNRR, telemedicina e fascicolo sanitario elettronico: proposte di policy

Abbattimento delle barriere normative e sostegno concreto alla sostenibilità finanziaria e interoperabilità nazionale tra FSE, cartelle cliniche, Patient Summary sono i due pilastri attorno a cui dovrebbe ruotare la Sanità nazionale post-PNRR, se davvero il Piano vorrà incidere sul SSN del futuro

Pubblicato il 24 Ago 2021

L'evoluzione della telemedicina: gli obiettivi del PNRR nel 2024

Il PNRR rappresenta la grande occasione per ripensare l’intero Servizio Sanitario Nazionale in una ottica nativamente digitale, disintermediata, inclusiva e, soprattutto, finanziariamente sostenibile. Questo è il mantra che quotidianamente ci propinano i media. Ma quanto possiamo attenderci dal PNRR in termini di risultati finali? Come sarà il sistema sanitario nazionale nel 2026 (termine ultimo per utilizzare i fondi stanziati)?

Cerchiamo di capire insieme quante risorse sono stanziate e per fare cosa e proviamo ad analizzare nel dettaglio punti di forza e di debolezza del Piano con riferimento ai due obiettivi declinati per cercare di comprendere se, e a quali condizioni, il PNRR potrà davvero incidere sul SSN del futuro.

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Cambiare il paradigma della sanità digitale

La gran parte delle prestazioni censite nei setting della specialistica ambulatoriale e in quelli territoriali (flussi ex art. 50) può e deve progressivamente passare da prestazione in presenza a televisita, teleconsulto, teleconsulenza, con evidenti benefici in termini di progressivo decongestionamento delle prestazioni ospedaliere non appropriate, agevolmente riscontrabili dalla mole di codici bianchi nei pronti soccorsi e con economie di sistema non trascurabili.

Secondo il rapporto del Ministero della Salute del 2017 sulla rilevazione delle apparecchiature sanitarie in Italia, in media negli ospedali pubblici e privati convenzionati il 36% dei macchinari ha più di 5 anni e il 32% oltre 10. Nel Rapporto 2018 sul coordinamento della Finanza Pubblica la Corte dei Conti, l’obsolescenza è individuata come la causa principale della frequente indisponibilità delle apparecchiature che determina costi crescenti di manutenzione ed il ricorso al privato convenzionato ovvero all’out of pocket.

Dai dati 2021 dell’inventario nazionale risulta da sostituire il 17% delle grandi apparecchiature (1284 su 7753); segnatamente: 344 nuove tac su 2.219, 191 risonanze magnetiche su 1.330, 83 acceleratori lineari per la radioterapia su 575, 197 angiografi su 1.020, 82 macchinari gamma camera per le scintigrafie su 443, 55 apparecchiature uniche per Tac e scintigrafie su 183, 34 pet su 208, e 298 mammografi su 1.775. Vanno aggiunte 947 macchine per le radiografie e 931 per le ecografie.

Secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute con il PNRR saranno utilizzati 1,19 miliardi di cui alla misura M6 C.2 (vedi box in fondo) per sostituire 313 apparecchiature con oltre 5 anni di età entro la fine del 2024. Le prime 3 regioni per fabbisogno di sostituzione sono: Lombardia, Lazio e Veneto. Dunque la strategia del PNRR punta sul upgrade tecnologico. Ottimo, ma bisogna chiedersi: sarà sufficiente sostituire le grandi apparecchiature per cambiare l’approccio dell’utilizzo? E ancora, le procedure di acquisto attuali e l’impianto vigente del Codice degli appalti possono garantire il rispetto degli obiettivi dichiarati?

Un Sistema Sanitario non più sostenibile

L’obsolescenza tecnologica è sicuramente una variante rilevante per la qualità delle prestazioni offerte dal SSN ma non è la principale. Per ripensare il sistema sanitario del futuro, ossia un SSN: universale, inclusivo, centrato sul paziente, sostenibile sul piano finanziario.

Il sistema sanitario cui siamo abituati standardizza fabbisogni, consumi e prestazioni e fornisce una risposta sanitaria uguale per tutti i pazienti, ma (ahinoi!) diversa da Regione a Regione, In questo modo si consumano troppe risorse. Il sistema attuale, che remunera le prestazioni ospedaliere a “DRG” premiando i tempi decrescenti di degenza senza misurare gli esiti, non è sostenibile nel tempo e non è coerente con il trend demografico che il PNRR fotografa.

Si riporta di seguito un passaggio esemplificativo a pag. 150 del PNRR: “L’Italia, infatti, si caratterizza per una popolazione con elevata speranza di vita alla nascita (circa 83 anni secondo la rilevazione Istat relativa al 2019) e un tasso di mortalità inferiore (circa 10.5 per mille abitanti) rispetto ai paesi OCSE”.

Bisogna piuttosto lavorare su un cambio di paradigma: il nuovo approccio deve guardare ai dati non come output per rendicontare la prestazione agli stakeholders competenti ottenendo la remunerazione della prestazione ed il bollino di qualità (LEA) ma come input, come risorsa principale per configurare una prestazione “centrata” per il singolo paziente, cui andranno “prese le misure” per tarare il tipo di prestazione socio-sanitaria necessaria, spendendo esattamente ciò che serve al singolo.

I dati risorsa più preziosa per il SSN

I dati dunque sono la risorsa più preziosa che il SSN ha, a condizione di utilizzarli in maniera adeguata per disegnare una sanità capace di prendere in carico i pazienti quando sono ancora solo cittadini aiutandoli ad avere stili di vita adeguati alle condizioni attuali ed arrivando a sistemi predittivi che ritardino il più possibile le patologie (grazie all’uso della genomica e dell’IA applicate alla sanità).

Ma per realizzare un sistema siffatto, oltre alla dotazione tecnologica serve, a monte, una architettura infrastrutturale di nuova generazione che renda i dati omogenei, accessibili ed interoperabili tra loro. In tale ottica ben venga l’interposizione di strutture logistiche che intercettano il percorso del paziente dalla propria abitazione all’ospedale rendendo obbligatorie fermate intermedie presso le case di comunità e gli ospedali di comunità, a patto però che queste fermate riescano a dare risposte tempestive e concrete alla domanda di assistenza. Ancora una volta, quindi si presenta il tema di fondo: come faccio ad erogare prestazioni adeguate ai bisogni del singolo se non posso avere accesso ai suoi dati sanitari? E’ credibile puntare sulla telemedicina se non abbiamo accesso ai dati sanitari a tutto tondo del paziente in una modalità dematerializzata e disintermediata?

Lo stato dell’arte del FSE e della telemedicina

Proviamo partite dallo stato dell’arte del FSE e della Telemedicina nella loro attuale configurazione e declinando sullo scenario di partenza il nuovo approccio auspicato.

AS IS – Scenario Attuale FSE

Allo stato attuale tutte le Regioni hanno attivato il FSE: 21 Regioni hanno creato Fascicoli Sanitari autonomi, pensati per rispondere alle logiche ed alle eventuali peculiarità dei sistemi sanitari regionali locali, 4 Regioni (Abruzzo, Campania, Calabria e Sicilia) utilizzano il Fascicolo standard in regime di sussidiarietà (per intenderci quello predisposto da SOGEI).

Cosa significa? Significa che i repository nei quali accogliere i dati minimi da inserire nel FSE sono stati predisposti.

Bene, ma quali sono i dati “minimi” da inserire nel FSE? Eccoli:

  • dati identificativi e amministrativi dell’assistito;
  • referti;
  • verbali pronto soccorso;
  • lettere di dimissione;
  • profilo sanitario sintetico;
  • dossier farmaceutico;
  • consenso o diniego alla donazione degli organi e tessuti.

Ora proviamo a fare una ulteriore analisi: quali di questi dati può essere utile per fare telemedicina? Quale di questi dati è nativamente digitale e non un pdf ottenuto da scansione (che digitalmente equivale alla carta)? Ad oggi non esiste una risposta univoca: tuttavia è certo che la gran parte dei documenti sopra citati non sia nativamente digitale. Ultima domanda: quale utilità hanno questi dati una volta messi a disposizione del paziente e del SSN?

Se l’indicatore regionale di attuazione testimonia un livello elevato ed omogeneo (a meno della Regione Abruzzo) di attuazione del FSE, lo scenario appare sensibilmente difforme se si analizza l’indicatore di utilizzo da parte dei cittadini:

La situazione dei cittadini che hanno attivato il Fascicolo è infatti disomogenea e presenta elevate disparità

Se poi analizziamo la situazione dei cittadini che effettivamente utilizzano il fascicolo, la fotografia appare del tutto diversa. Emerge di fatto l’attuale limite del FSE: di essere cioè dei contenitori pieni della documentazione minima prevista dalla normativa, ma priva di qualsivoglia utilità per il cittadino-paziente, come per gli stessi operatori sanitari.

Le Regioni nel tempo hanno disegnato versioni diversamente personalizzate del Fascicolo, arricchendolo di servizi e tool con l’ambizione di aumentarne l’appeal e l’utilità. Il risultato finale non pare tuttavia aver incontrato il gradimento dei pazienti. Proviamo ad indagare quali dati “facoltativi” potrebbe contenere il Fascicolo:

  • prescrizioni (specialistiche, farmaceutiche, ecc.);
  • prenotazioni (specialistiche, di ricovero, ecc.);
  • cartelle cliniche;
  • bilanci di salute;
  • assistenza domiciliare: scheda, programma e cartella clinico‐assistenziale;
  • piani diagnostico‐terapeutici;
  • assistenza residenziale e semiresidenziale: scheda multidimensionale di valutazione;
  • erogazione farmaci;
  • vaccinazioni;
  • prestazioni di assistenza specialistica;
  • prestazioni di emergenza urgenza (118 e pronto soccorso);
  • prestazioni di assistenza ospedaliera in regime di ricovero;
  • certificati medici;
  • taccuino personale dell’assistito;
  • relazioni relative alle prestazioni erogate dal servizio di continuità assistenziale;
  • autocertificazioni;
  • partecipazione a sperimentazioni cliniche;
  • esenzioni;
  • prestazioni di assistenza protesica;
  • dati a supporto delle attività di telemonitoraggio;
  • dati a supporto delle attività di gestione integrata dei percorsi diagnostico‐terapeutici;
  • altri documenti rilevanti per i percorsi di cura dell’assistito;

Appare ora evidente come un fascicolo completo di tutti i dati in formato nativamente digitale in modalità interoperabilità (ossia con contenuti “esposti” verso l’esterno, esattamente come accade per le API) rappresenta la conditio sine qua non per muovere nella direzione individuata dal PNRR di cui di seguito si riporta uno stralcio esemplificativo: “È prevista entro il 2021 la predisposizione di piani regionali e della pubblica amministrazione centrale per il rafforzamento del FSE ed entro il 2022 il completamento di studi di fattibilità per la realizzazione dei nuovi flussi a livello nazionale e regionale. Entro il 2026 si prevede 1 miliardo di documenti digitalizzati. L’obiettivo è anche quello di implementare entro il 2024 2 nuovi flussi informativi a livello nazionale e regionale; di implementare entro il 2026 l’infrastruttura tecnologica ed applicativa del Ministero della salute ed attivare la piattaforma e portale Open Data; di realizzare ed integrare, sempre entro il 2026, un modello predittivo su dati di real world”.

Uno scenario post PNRR

Proviamo a disegnare uno scenario post PNRR ed immaginiamo un FSE unico nazionale, che prescindendo da altri eventuali dati a discrezione delle singole Regioni contenga, in formato nativamente digitale ed interoperabile, tutti i dati che servono a profilare il paziente al fine di individuare il livello di assistenza “personalizzata” da erogare, tra cui, obbligatoriamente:

  • le cartelle cliniche di ogni singolo ricovero in strutture pubbliche e private
  • il Patient Summary del Medico di Base con la storicizzazione delle patologie
  • la storia dei referti del paziente
  • Piani diagnostico-terapeutici
  • Piani di assistenza socio-sanitaria
  • Consumi di ogni tipo di farmaco e vaccino

Per quanto sinora diffusamente rappresentato le migliori intenzioni del legislatore sembrano, finalmente, esserci. Ci sono pure i fondi in misura sicuramente sufficiente. Ma allora cosa manca per realizzare un SSN più digitale e sostenibile?

Le variabili in gioco

Un utilizzo strutturato della telemedicina è tuttavia fortemente subordinato ad alcune variabili strategiche che vanno adeguatamente condivise, programmate e gestite dagli stakeholders della sanità. Di seguito un elenco delle principali variabili:

  • variabile normativa. Il riconoscimento di un sistema di regole condiviso per l’erogazione, la prescrizione, la remunerazione e la rendicontazione;
  • nomenclatura unica nazionale, codificata con un perimetro ben definito e circostanziato;
  • compliance GDPR al fine di garantire la costante perimetrazione di tutte le prestazioni censite all’interno del coacervo di regole e di diritti del paziente in materia di consenso sia alle prestazioni che all’accesso ed all’utilizzo dei dati sanitari;
  • variabile tecnologica intesa come disponibilità di device, piattaforme informatiche interoperabili e connettività adeguate alle esigenze sia degli operatori sanitari che degli utenti;
  • interoperabilità tra piattaforme di telemedicina, dati dei FSE regionali, dati delle cartelle cliniche ospedaliere, dati dei Patient Summary dei MMG;
  • variabile permitting intesa come insieme degli istituti giuridici e contrattuali codificati ed utilizzabili per l’adozione di policy di digital health e telemedicina;
  • sostenibilità economica e finanziaria dell’approccio digitale (il costo dell’innovazione).

Lo stato dell’arte

Con riferimento alle variabili 1 e 2 si registrano significativi passi in avanti. La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome ha approvato, sul finire del 2020, il documento recante “Indicazioni nazionali per l’erogazione di prestazioni in telemedicina”. Detto documento classifica e tipizza le prestazioni di telemedicina riconosciute dal Ministero della Salute, stabilendo norme puntuali in materia di remunerazione tariffaria, flussi di rendicontazione, standard minimi del servizio, sia sotto il profilo della normativa in materia di privacy che di standard minimi tecnologici. Di fatto l’adozione di tale documento rappresenta il vero punto di partenza di un progetto nazionale di telemedicina. È di contro evidente che il passo successivo necessario sarà il recepimento in termini concreti ed operativi delle indicazioni da parte delle singole regioni. In questo passaggio si nascondono non poche insidie e criticità, legate da un lato ai differenti livelli di autonomia e di utilizzo degli strumenti normativi e finanziari che caratterizzano le 21 regioni italiane e dall’altro alla assenza di una policy adeguata di indirizzi e linee guida da parte delle più alte istituzioni sanitarie, in materia di far play regolatorio per sdoganare, una volta per tutte, l’utilizzo prioritario di tutti gli strumenti (peraltro già individuati dal Codice Appalti e dalla normativa comunitaria) in materia di Appalti Precommerciali, Proof of Contest, Concessioni e Partenariato Pubblico Privato in tutte le sue declinazioni per realizzare gli obiettivi di spesa connessi al PNRR.

Proposte per una policy nazionale di Sanità digitale

  • Abbattimento delle barriere normative e sostegno concreto alla sostenibilità finanziaria: ripensare le regole di accesso ai servizi di digital health e telemedicina favorendo, mediante normativa ad hoc, l’utilizzo in via prioritaria ed ordinaria di istituti giuridici di Partenariato Pubblico Privato in materia di Digital Health, finalizzati a spostare il sostenimento degli investimenti infrastrutturali, logistici, di forniture di device e sistemi tecnologici dal pubblico al privato, a fronte di contratti di servizio integrato e di durata (concessioni) che garantiscano: i) alti standard dei livelli di servizio e ii) una durata pluriennale tale da consentire al privato l’integrale recupero degli investimenti ed una adeguata remunerazione del capitale investito. Al fine di rendere operativa tale proposta sarebbe auspicabile l’istituzione di uno smart contract ad hoc, tipizzato per le finalità sopra descritte, anche mediante l’utilizzo di logiche tipiche della blockchain. L’utilizzo di tale tecnologia consentirebbe infatti la totale trasparenza ed immutabilità dei contratti di servizio stipulati tra la PA ed i privati, condizionando il pagamento dei corrispettivi pattuiti solo all’esito della positiva chiusura della prestazione tracciata sulla blockchain.
  • Interoperabilità nazionale tra FSE, cartelle cliniche, Patient Summary: sarebbe auspicabile attivare una gara nazionale (tramite Consip) per la realizzazione di una Piattaforma Unica Nazionale dei Dati Sanitari, che sia interoperabile con l’ANPR (gestita da Agid ed in fase di realizzazione) e che consenta di censire i dati sanitari di ogni cittadino in modalità centralizzata, univoca e “GDPR compliant”, esponendo il dato in modalità open data verso tutti gli operatori sanitari abilitati ad accedervi. In tale ottica appare fortemente auspicabile l’applicazione di tecnologie di nuova generazione per tokenizzare il consenso dei pazienti ottenendo certificati NFT, ovvero marche digitali dotate di un certificato di autenticità ed unicità, utilizzabili in forma anonimizzata o in chiaro (a seconda delle esigenze) mediante l’utilizzo di una chiave pubblica e di una chiave privata. Quanto all’utilizzo dei dati è fortemente consigliato l’uso di crittografie “on the fly” che garantiscono la non conservabilità dei dati nei device dell’utilizzatore finale.

La creazione di una Banca Dati Sanitaria Nazionale con tecnologia blockchain garantirebbe totale compatibilità con gli standard di Cyber Security e del GDPR oltre che favorire enormi economie di scala in termini di costi regionali per la gestione e la manutenzione evolutiva di 21 piattaforme regionali (situazione attuale).

Da ultimo non sfuggiranno i potenziali vantaggi di una base di dati sanitari così strutturata e ricca per finalità di ricerca scientifica in ottica di Intelligenza Artificiale, medicina di precisione, appropriatezza prescrittiva e farmacovigilanza.

Conclusioni

Durante lo stato di emergenza e di forte restrizione degli accessi alle prestazioni sanitarie “tradizionali” sia le istituzioni sanitarie che gli utenti hanno  toccato con mano le potenzialità della dematerializzazione delle prestazioni resa possibile dalla digitalizzazione. È successo con riferimento alle piattaforme elettroniche e alle app per la prenotazione per le vaccinazioni, ma anche per prestazioni “estemporanee” di teleconsulto, teleconsulenza, teleasssitenza, spesso rese in modalità destrutturata e con i “device” personali a disposizione dei pazienti e degli operatori sanitari.

Ma tanto è bastato a fronteggiare la grave emergenza e a dimostrare che non è più possibile tornare indietro. La sfida del futuro è di cambiare il paradigma della sanità digitale: da risposta all’emergenza a fattore principale di rinnovamento del Servizio Sanitario Nazionale.

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